A Gaza giorno primo dell'era Arafat

Senza incidenti l'arrivo dei 150 poliziotti. Raid israeliano in Libano, attentato a un bus in Cisgiordania Senza incidenti l'arrivo dei 150 poliziotti. Raid israeliano in Libano, attentato a un bus in Cisgiordania A Gaza, giorno primo dell'era Arafat Un milione in delirio per l'Armata palestinese HAFAH cancello della frontiera egiziana è tornato a camminare, dopo 27 anni, sulla terra polverosa della sua antica patria: era un uomo non più giovane, con addosso una divisa verde scuro e un basco di color più chiaro; si aggiustava continuamente la cintura del giubbotto, nervoso, e camminava anche con qualche impaccio marciando davanti alla piccola fila dei compagni che lo seguivano. Resterà anonimo, nella cronaca di questo piccolo pezzo di Storia, perché poi è stato impossibile ritrovarlo dentro l'inferno clamoroso che si è scatenato addosso ai 150 eroi di un simbolo ancora tutto da inverare. Gli accordi del Cairo sono di mercoledì scorso, «e noi eravamo pronti per partire subito; eravamo felici, mi tremavano le gambe dall'emozione. Tornare nella terra da dov'ero scappato nel '67, che ancora ero un ragazzino e ora sono un uomo e ho combattuto e ho visto la morte in faccia». Il soldato si guardava la punta delle scarpe e si dondolava. «Poi ci hanno detto che dovevamo aspettare, e i giorni passavano e noi dovevamo aspettare. Ma non abbiamo osato chiedere: siamo soldati, a noi tocca obbedire». Hanno obbedito anche lunedì sera, quando tutto sembrava finalmente a posto e a ogni minuto gli dicevano che si partiva ma in realtà non si partiva mai. «Il gen. Nasser Youssef ci ha incoraggiati, ci ha detto di stare DAL NOSTRO INVIATO Benvenuta, finalmente, Palestina. Gli occhi del mondo ieri erano distratti verso l'eroe Mandela che celebrava l'ultima fine di un'epoca; e però anche quaggiù le grandi bandiere colorate ieri hanno inondato il cielo, e nella notte tiepida di Gaza un nuovo piccolo Stato è nato. Benvenuto. I libri di storia ci ricorderanno che in realtà non può chiamarsi ancora Stato, e che altre notti e altre bandiere riempiranno ancora con altre feste i cieli di questa terra antica del Medio Oriente, prima che le formalità rigide del diritto internazionale siano state compiute; ma quello che contava, ieri pomeriggio, qui, in un angolo di mondo dove si sono incrociate le civiltà del nostro tempo e tutti i suoi odi e le sue ferocie, era la festa di un popolo ch'è stato per mezzo secolo senza patria, senza bandiera, anche senza nome, e ora invece ritrovava il nome, la patria, la bandiera; e finalmente la speranza. Non c'erano Capi di Stato, a celebrarla, né orchestre solenni di professori, né cerimonie in mondovisione o aerei che sfrecciano nel cielo; c'erano soltanto 150 soldati, con la faccia stanca e stranita, le divise stazzonate da 5 giorni d'attesa, e poi un mondo impazzito di gente, forse l'intero milione di palestinesi che saranno il nuovo piccolo Stato nella geografia di un tempo che finisce. La notte di Gaza ieri è stata lunga, stamani non era ancora consumata. E poco importava che il coprifuoco le imponesse il silenzio delle armi già dalle 9 di ieri sera: a quell'ora la festa del Ritorno era appena al suo inizio, e i canti e i balli delle strade riempite di popolo sfondavano il buio della notte e la severità degli editti militari. Benvenuti, diceva la gente, Benvenuti, e agitava rami di ulivo ai suoi 150 soldati che però si chiamano soltanto poliziotti, che però hanno poteri limitati, che però portano le insegne di uno Stato che non esiste, che però difendono una sovranità che nessuno gli ha accordato. Tutto è piccolo, incerto, provvisorio, dentro gli stretti confini segnati dagli accordi di Oslo e poi del Cairo; e la problematicità di questo sogno mediorientale imponeva platealmente la sua prepotenza in questi ultimi 5 giorni, inchiodando alla frontiera una piccola brigata di militari sballottati dentro le promesse, i doveri, le richieste, di un patto tra disuguali. Ma la gente non ci bada, sono 27 anni che aspettava questo giorno e ora tutto va bene. «Cosa sono 5 giorni, di fronte a tutto il tempo che ho dovuto passare lontano da qui, aspettando quest'ora, questo minuto?», chiedeva un soldato palestinese al taccuino del cronista, e con il dito spingeva la carta bianca del foglio e piangeva lacrime vere, le lacrime pesanti degli uomini fatti, non dei ragazzi. L'esilio fa vecchi anche gli anni verdi. Era quasi l'ora stanca del tramonto quando il primo «poliziotto» palestinese che ha lasciato il GERUSALEMME. In un'intervista pubblicata dal quotidiano israeliano «Maariv», la signora Inam Arafat, 70 anni, sorella maggiore del leader dell'Olp, ha raccontato che il fratello «non dorme la notte perché preoccupato del destino del popolo che rappresenta». La donna ha anche affermato che dopo la lunga stagione della guerra deve arrivare quella della pace perché «è il momento di amarsi gli uni con gli altri e di mettere fine a tutte le guerre e agli spargimenti di sangue». «La pace con Israele lo occupa a tempo pieno e a malapena ha il tempo di parlarmi - ha raccontato l'intervistata -; da anni abbiamo perseguito questa pace e ora, dopo gli enormi sforzi compiuti da mio fratello e le sofferenze patite prima di arrivare a questo momento, speriamo di poterne godere». La signora Arafat risiede al Cairo e fino a qualche anno fa lavorava come assistente sociale per i palestinesi in Egitto. [Agi-Efe] SCANDALO A BELGRADO LZAGABRIA A copertina di una rivista sta facendo tremare Belgrado: pubblicando in prima pagina la fotocopia di una ricevuta bancaria intestata alla signora Mirjana Markovic, moglie del presidente serbo Milosevic, il settimanale «Srpska Ree» (parola serba) ha fatto esplodere uno scandalo politico-finanziario in cui sono coinvolti i personaggi più in vista della nomenklatura jugoslava, compresa la famiglia dello stesso Milosevic. La ricevuta attesta che la first lady ha ritirato 278 mila franchi svizzeri dalla banca «Dafiment» alcuni mesi dopo il fallimento dell'istituto che ha ridotto alla miseria decine di migliaia di piccoli risparmiatori. Grosse somme in valuta sono state ritirate dal figlio del leader serbo, Marko, dal primo ministro di Belgrado Marjanovic, dall'ex premier Sainovic, dal ministro degli Interni Sokolovic, dal direttore generale delle Dogane Kertes, dal direttore della televisione Vucelic, dal LA SORELLA ti, ma ha ricordato a tutti che la pace non è nella festa di un giorno felice e che il tempo della riconciliazione sarà assai lungo. Il gen. Youssef, annunciando finalmente l'arrivo dei suoi uomini nel Territorio Liberato, salutava ieri «il primo giorno sulla strada della nostra indipendenza»; il gen. Samyia, dandogli il benvenuto in quel Territorio Occupato che si preparava ad abbandonare, si augurava «la costruzione di un buon vicinato». Dietro le parole di circostanza filtrava comunque un interesse comune a non far fallire questo sogno felice di una tiepida notte di primavera. Lo stradone che dalla frontiera con l'Egitto monta verso Nord e s'allunga dentro tutta la Striscia di Gaza, accompagnando la geografia disperata del nuovo piccolo Stato, i suoi campi profughi, i piccoli villaggi contadini, gli aranceti assetati, è stato ieri sera un unico infinito corteo di felicità che trasportava i soldati quasi su una catena ininterrotta di braccia verso la loro nuova caserma di Dir El Balach. Dall'alto dei minareti, la voce forte del muezzin invitava a onorare il nome del Signore e cantava contro i roseti che si trasformano in trincee. Ieri Gaza non ha avuto morti, né feriti. Non accadeva da un tempo infinito. Benvenuta, Palestina, sogno di un piccolo difficile Stato. Un israeliano offre un dolce a un vecchio che attende gli agenti palestinesi a Gaza