«Sorda Italia uccidi la musica»

la polemica. Il violinista chiede una «rivoluzione» per salvare Beethoven la polemica. Il violinista chiede una «rivoluzione» per salvare Beethoven «Sorda Italia, uccidi la musica» Uto Ughi: dateci un ministro PADOVA A com'è possibile abbandonare la musica nelle mani di qualche assessore imbecille? Ormai siamo diventati un Paese del Terzo Mondo. Dove imperano, quando va bene, i dilettanti e gli incompetenti. E, quando va male, i corrotti. Basta. Bisogna rifondare il ministero dello Spettacolo. Perché mai l'hanno abolito? Non si capisce che, senza un indirizzo generale, tutto viene delegato all'arbitrio locale? Qui muoiono le orchestre, i cori, gli auditorium. Nessuno fa niente, tutti se ne fregano». I violinisti, si sa, sono gente bizzarra, sempre in combutta col diavolo che danza luciferino sul loro archetto. Ma Uto Ughi, ex ragazzo prodigio - ora signore posato e riflessivo -, non esplode perché colto da un improvviso attacco di bile o per uno sgarbo ricevuto. Anzi, la sua è una riflessione sofferta. E' persino disposto a «pagare» di persona. Nel senso che, se ci fosse da lavorare con qualcuno desideroso di impegnarsi sul serio, lui non si tirerebbe indietro. E' una sorta di autocandidatura? Sta nascendo il primo governo della Seconda Repubblica e questo è un segnale di fumo? «Per carità. Non ho mai nascosto di non essere di sinistra. Ma la politica non mi interessa. L'unica cosa che conta è la competenza: e quella non ha colore. Come i dati. Proviamo a considerarli: 60 milioni di abitanti e solo tre orchestre sinfoniche. Le altre dove sono finite? Soppresse per mancanza di fondi. Ma la Rai, per quelle sue trasmissioni imbottite di cialtroni, di soldi ne ha sperperati a iosa. E la cultura? Da quanti anni non si vede una commedia di Shakespeare in tv?». La classica non fa audience... «E lo sa perché? Perché questo Stato non l'ha mai insegnata a scuola. E' l'ultima cosa del mondo. Guardiamo la Germania, perfino il Giappone: là i ragazzi crescono studiandola. E, quando arrivano in università, la suonano nelle orchestre universitarie. Da noi i giovani sono disabituati, le sale sono sempre più vuote. I concerti decentrati di un tempo arrivavano da sinistra. Beh, erano un'ottima cosa. E lo dico io che non sono mai stato tra quelli che facevano le marce contro gli americani in Vietnam ed ora, per la Bosnia, non alzano un dito». Si riferisce a Pollini, per caso? «No. Non mi tirerà fuori un nome. Non ho colpevoli da indicare. Solo rimpiango Bach o Beethoven suonati su un'3ia fiesolana, davanti a cento facce di contadini ammaliati da quei suoni. Allora c'era più coscienza». Lei però è stato consulente della Boniver, quando il ministero c'era ancora. «Certo. Ma sa cosa succedeva? Lei mi ascoltava, annuiva, io andavo via e poi decideva tutto un tal Carmelo Rocca. Non un Bogianckino, un Siciliani, un Vidusso, un Isotta o un Bortolotto. No. Rocca Carmelo. Che non mi sembra possa essere annoverato nell'elenco dei vecchi o nuovi direttori artistici che hanno lasciato un segno o che posseggono il cromosoma per lasciarlo. Ero semplicemente un alibi dietro il quale nascondersi». E come dovrebbe essere, allora? «Il ministro e, al suo fianco, uno specialista per ciascun di¬ partimento: musica, teatro, cinema e così via. Un esperto, insomma. Non un droghiere politicizzato. Se questa era la situazione a Roma qualche anno fa, figuratevi in periferia oggi». Abbiamo sistemato l'Italia. Adesso passiamo al Vaticano. «Già: che senso ha sbarrare le chiese ai concerti? In tutte le fasi di decadenza il clero si distingue sempre per la sua lontananza dalla gente. Si chiude su se stesso. Espelle Schubert e Bach dai suoi templi. Vado a Messina e il vescovo mi dice: no, lì non si suona. Vietato». A dire il vero, la sua è una voce abbastanza isolata. Non si sentono molti colleghi a dar fiato alle trombe. «E' vero in parte. Qualcuno fa l'esule nella sua torre d'avorio. I direttori, in genere, inseguono solo ilpartìculare. Ma ci sono anche i Campanella, gli Scimone. Perfino i Muti. Il problema però è un altro. La comunicazione. A Torino, quando volevano chiudere il coro che poi hanno chiuso, qualcuno è venuto a chiedermi: "Dica qualcosa in nostro favore". L'ho detta, iniziando il concerto. Dedicandolo a loro. Sapete com'è finita? Che la Rai non l'ha mandato in onda. Via, cancellato». Sarà per questo che i grandi emigrano. «No. Il motivo è un altro. Siamo i primi al mondo. Solisti e direttori. Eppure la politica delle società dei concerti è miope, provinciale. Ci ha trasformato in un Paese di conquista. Ma ci crede che su cinquanta artisti in cartellone quarantacinque sono stranieri e solo cinque italiani? A loro cachet altissimi e a noi le briciole del convito? E' per questo che tutti scappano. In Germania ci sono sempre almeno novanta tedeschi su cento. E poi guardiamo i manager: quello di Palermo va a Roma, quello di Torino a Bari, quello di Milano a Canicattì: una gran girandola. Sembrerebbe il preludio a grandi cambiamenti. Ma è falso: sono sempre le stesse facce che, fallito qua, vanno a fallire là» La conclusione? «E' che per gli stadi di calcio si trovano tutti i miliardi necessari e oltre. Ce n'ò anche per fare la cresta. Per gli Auditorium, no. Tolto il Lingotto a Torino e il Carlo Felice a Genova, non è mai successo niente. A Roma se ne parla da cinquantanni. Il Sud è come il deserto, mentre in Giappone basta una cittadina di 80 mila abitanti per incominciare a costruire». Non le resta che candidarsi... «Io faccio il violinista, non avrei tempo»... Ma qualche consiglio nell'orecchio giusto, insensibile ai Rocca Carmeli... Piero Soria «Da noi impera l'incompetenza L'estero ci sta colonizzando E anche il Vaticano ci boicotta» Il violinista Uto Ughi. In alto, il nuovo auditorium del Lingotto. A destra, l'ex ministro Margherita Boniver