«Hitler kaputt, illusione di un pomeriggio» di Emanuele Novazio

«Hitler kaputt, illusione di un pomeriggio» «Hitler kaputt, illusione di un pomeriggio» La bomba a Rastenburg nel ricordo di uno dei golpisti QUEL GIORNO DI 50 ANNI FA BERLINO DAL NOSTRO INVIATO Quando si accorse che «tutto era finito», perché l'attentato al quartier generale di Rastenburg era fallito e Hitler era rimasto in vita nonostante la bomba gli fosse esplosa a pochi metri, Ludwig von i"ÌGiTìrTiorst,Gm ssito xxtì 3tXi~ mo soltanto: non aveva più senso restare nella «tana» - la sede dell'Allgemeines Heeresamt, l'Ufficio generale dell'esercito, a Berlino - dalla quale i congiurati del colonnello von Stauffenberg avrebbero dovuto guidare ^operazione Valchiria» e la presa del potere, assicurarsi della fedeltà delle truppe coinvolte nel tentativo di putsch, e diffondere proclami con la firma del nuovo capo dello Stato, il generale Beck, o del nuovo Cancelliere, l'ex borgomastro di Lipsia Cari-Friedrich Goerdeler. Adesso che tutto crollava, bisognava fuggire e «pensare al dopo»: se mai ci fosse stata ancora, in futuro, un'occasione per «colpire». Era la tarda sera del 20 luglio 1944, un giorno che «poteva cambiare il mondo», e in quelle stanze affacciate alla Bendlerstrasse si stava scatenando la tempesta, la più tremenda da quando il Fuhrer era diventato un «obiettivo da distruggere», per molti ufficiali preoccupati della Germnnia e della guerra. Era difficile perfino riconoscersi, capire «chi era contro chi», in quei momenti di grande confusione che esprimevano il disordine di ognuno, fra lo scompiglio per le scale e il subbuglio «interno» che minacciava di sopraffare gli indecisi. Era difficile capire se chi sparava quei colpi di pistola disordinati o in successione, nei corridoi e nell'anticamera del generale Friedrich Olbricht il capo dell'Heeresamt che aveva aderito alla congiura di Klaus von Stauffenberg - faceva parte del complotto e cercava di fermare «gli altri»; o se al contrario era «un nemico» che usciva allo scoperto. Era difficile distinguere, e per qualcuno forse fu il momento davvero decisivo, quello che capita una volta sola nella vita: quando bisogna «scegliere per sempre» con chi stare. Fu cosi, forse, per il giovane ufficiale che confessò gridando la paura: «Se non reagisco adesso, sarò impiccato». Fu così per il tenente colonnello Franz Herber, che si pentì e riuscì a far entrare nel palazzo mitra e munizioni, mandati a prendere a Spandau. Nella sua casa fra i giardini di Dahlem, a Berlino, Ludwig von Hammerstein si chiede oggi - a 75 anni portati con elegante sobrietà - quanti scelsero davvero «all'ultimo» con chi schierarsi, quella giornata afosa di cinquantanni fa. Di certo - ricorda l'ex tenente della Wchrmacht incaricato di arrestare le SS della Bendlerstrasse - i primi dubbi sull'evoluzione del putsch e la situazione nel Paese affiorarono poco dopo il ritomo di von Stauffenberg all'Heeresamt, direttamente dal bunker di Rastenburg e dopo un volo di tre ore. Poco dopo le quattro e mezzo, dunque. C'era un grande nervosismo nei corridoi dell'edifìcio, mentre entravano via via altri protagonisti del complotto con notizie discordanti, spesso, frammenti di una storia che si sarebbe compiuta a sera. Ma c'era soprattutto incertezza e attesa per quel che stava succedendo nella capitale del Terzo Reich: Olbricht aveva deciso di aspettare a mettere in moto le sue truppe, nel timore di ripetere l'errore commesso il 15 di luglio, quando l'attentato era stato rinviato all'ultimo. Allo.?., si era mosso in anticipo e col rischio di far scoprire i piani. Questa volta, aspettando il rientro a Berlino di von Stauffenberg, Olbricht era andato a pranzo col generale Hoeppner, un altro congiurato: prima di tornare alla Bendlerstrasse avevano brindato al successo. La tempesta invece stava per scoppiare, anche se von Hammerstein contesta le accuse di in¬ decisione che sarebbero slate poi rivolte a Olbricht: «Il punto era che Hitler era rimasto in vita, e che il colpo di Stato che avevamo preparato avrebbe potuto aver successo soltanto se fosse morto». Con il Fuhrer vivo, insiste e si anima nell'evocazione di dubbi che da cinquantanni probabilmente inquietano anche lui, «la stragrande maggioranza degli ufficiali gli ò rimasta fedele, e la controffensiva ha potuto organizzarsi e vincere». Anche se ci furono davvero dei ritardi nell'azione e probabilmente degli sbagli, per esempio la mancata occupazione della stazione radio, per impedire ai nazisti di riorganizzarsi e di trasmettere comunicati. Anche se non fu arrostato Goebbels, nonostante il ministero della propaganda fosse sguarnito, e non si pensò di occupare il quartier generale della Gestapo sulla Prinz Albrecht Strasse, anch'esso praticamente incustodito. Anche se la confusione e l'inazione di molti ufficiali superiori, all'Heeresamt, indusse tanti alleati potenziali a cambiare idea, a non schierarsi, a ritirare carri armati e truppe già pronti ad occupare i punti chiave. Ma tutto questo restava sullo sfondo, nella concitazione drammatica della Bendlerstrasse. Von Hammerstein ricorda molto bene i momenti decisivi del fallito putsch, la sera: quando ormai la controffensiva nazista si stava organizzando, davanti all'ufficio di Olbricht arrivarono di corsa otto ufficiali, capeggiati dal colonnello Bodo von der Heyde: «Mentre il conte von Stauffenberg si affacciava all'anticamera di Olbricht, sentii uno sparo. Mi sono riparato e stavo per rispondere, ma un ufficiale mi disse che non aveva senso farlo, e davvero non capii se parlava soltanto perché aveva perduto la speranza». Von Stauffenberg reagì con rabbia, invece: «Sparò anche lui, ma intanto gli ufficiali arrivati all'improvviso sparavano anche loro, tutti insieme». Il colonnello cercò di fuggire ma fu ferito a un braccio, l'unico che aveva. Gli furono addosso in due, lo arrestarono, mentre altri uomini di von der Heyde sparavano e gridavano di arrendersi. Due minuti, forse tre e presero anche Olbricht e Beck: «Dicevano che dovevamo entrare "tutti insieme" nella stanza accanto, perché il putsch era fallito ed eravamo "a disposizione"». Mentre racconta quell'«occasione estrema» che stava per chiudere una fase della resistenza a Hitler, l'ultima, e scatenare la vendetta, il volto elegante e stanco di Ludwig von Hammerstein si contrae, la voce quieta accelera. Accanto a lui, nella piccola biblioteca affacciata alla strada e agli olmi, c'è un compagno di quei tempi: Heinrich von Kleist, figlio di uno dei cospiratori di più antica data, il generale Ewald von Kleist, fino al '44 co¬ mandante del Gruppo A, in Ucraina. Anche lui era fra i congiurati del 20 luglio ed era già stato protagonista di un complotto contro il Fuhrer, nel dicembre del '43. «L'attentato del cappotto, come lo chiamò sbagliando Goebbels», corregge oggi von Kleist: «Anche allora si era trattato di una bomba nascosta in una borsa». Un ordigno inglese come quello usato da von Stauffenberg a Rastenburg, più affidabile dei modelli nazionali per via dell'innesco ad acido, ma inutile: il Fuhrer non si presentò alla sartoria dov'era atteso, e ancora una volta si salvò. Von Hammerstein e von Kleist si incontrano con regolarità. Sono amici, forse perché sono gli ultimi congiurati dell'Heeresamt ancora in vita. Anche quel pomeriggio di grande confusione e di scompiglio erano insieme, ma toccò a von Hammerstein comprendere per primo quel che sarebbe accaduto di lì a poco, a Berlino e nel resto del Paese; toccò a lui intuire il terrore e la vendetta che in poche settimane avrebbero spazzato via centinaia di ufficiali superiori dell'esercito tedesco. Mentre l'amico era impegnato con gli uomini di guardia ai ministeri della Wilhelmstrasse, dove a sera fu arrestato, von Hammerstein rimase tutto il giorno all'Heeresamt. Fu fra i pochissimi a salvarsi, e gli riuscì perché conosceva benissimo «la tana»: ci aveva vissuto per tre anni, dal 1930 al '33, quando suo padre, il generale Kurt von Hammerstein, era comandante in capo dell'esercito, e l'appartamento di famiglia era al secondo piano del palazzo che sarebbe diventato il simbolo della forza militare del regime. Mentre il giovane tenente scivolava fra cunicoli e corridoi dimenticati, nel cortile il plotone di esecuzione aspettava i congiurati, alla luce dei fanali oscurati di una macchina. Von Stauffenberg cadde poco dopo Olbricht, gridando «la nostra sacra Germania viva a lungo». Intanto parlava alla radio Hitler, che aveva dovuto aspettare a Rastenburg il furgone con le attrezzature di trasmissione: «Sono rimasto illeso, a parte qualche irrilevante graffio», disse ed era vero. «Vedo in questo la conferma del compito affidatomi dalla provvidenza». Von Hammerstein avrebbe saputo del messaggio p^co dopo: da sua madre Maria, che l'aiutò a nascondersi in casa di una studentessa in medicina «convinta antinazista», Barbara von Steinreck. Il giovane tenente rimase da lei due giorni, ma era pericoloso per entrambi e scappò di nuovo: «La persona che alla fine mi salvò davvero si chiamava Piksa Kerb». Aveva una drogheria a Kreuzberg, «dove aveva già ospitato degli ebrei». Von Hammerstein si nascose al quarto piano, sopra il negozio, con una pistola e «una buona radio» con la quale era possibile ascoltare la Bbc e Radio Mosca. Riuscì a farsi preparare un passaporto falso, che non gli servì mai, da un uomo grasso che si chiamava Oscar Hut e che gli portava regolarmente il burro, perché falsificava anche le tessere. Visse così per nove mesi, fino all'ingresso dei russi a Berlino, e a chiedergli adesso perché ci furono la bomba di von Stauffenberg e il tentativo di putsch, risponde che ognuno dei 150 ufficiali coinvolti aveva una ragione, forse: la guerra che diventava una catastrofe, i morti che non si riusciva più a contare, la Germania che si copriva di rovine. C'era tutto questo, nel complotto fallito anche per la sventatezza e l'imprevidenza dei suoi leader, «ma non solo»: «Bisognava ricreare uno Stato di diritto e riportare la giustizia, bisognava far vedere che c'era un'altra Germania», dice nella sua casa di Dahlem Ludwig von Hammerstein. E si capisce che da 50 anni lo tormenta il fallimento di un putsch durato 11 ore e mezzo. Emanuele Novazio Ma la sventatezza dei leader decretò il fallimento del putsch di 150 ufficiali Sopra il Fuhrer a Rastenburg, «tana» dei nazisti, subito dopo l'attentato Accanto il generale Olbricht e Goebbels

Luoghi citati: Berlino, Germania, Ucraina