I fisici vogliono restare al Top

IL FUTURO DELCERN IL FUTURO DELCERN I fisici vogliono restare al Top Dopo la scoperta negli Usa del sesto e ultimo quark l'Europa deve decidere la costruzione deWacceleratore Lhc Cf E' un nuovo momento di grande euforia per la fisica fondamentale che studia la struttura della materia nel campo dell'infinitamente piccolo. La settimana scorsa, simultaneamente negli Stati Uniti, in Italia e in Giappone è stata data la notizia della scoperta del quark Top, l'ultimo mattone di materia mancante per la completa conferma del «modello standard» delle interazioni nucleari e elettrodeboli la cui formulazione teorica procurò il premio Nobel a Glashow, Salam e Weinberg nel 1979. La verifica sperimentale di questa teoria, ottenuta al Cern con la scoperta della «luce pesante», cioè delle particelle portatrici assieme al fotone, delle forze elettrodeboli, valse il premio Nobel a Carlo Rubbia (con Van der Meer) nel 1984. La scoperta del quark Top è avvenuta al Fermilab, in Illinois, vicino a Chicago, dove funziona un acceleratore (chiamato Tevatron, vedi «Tuttoscienze» di mercoledì scorso) capace di ottenere un'energia totale di 1800 Gev nelle collisioni protone-antiprotone. La massa misurata di questa particella è di circa 174 Gev: ci troviamo dunque di fronte alla particella di gran lunga più pesante tra i costituenti fondamentali della materia (un GeV equivale a un miliardo di elettronvolt). Il rivelatore che ha permesso di osservare il quark Top viene indicato dai fisici con la sigla «Cdf» ed è stato costruito con fondi americani, giapponesi e italiani (tramite l'Infn, l'Istituto nazionale di fisica nucleare, il cui attuale presidente Luciano Maiani predisse, insieme con Glashow e Iliopoulos, uno degli altri cinque tipi di quark, il «Charm quark», scoperto venti anni fa in America). Sempre nell'ambito della fisica delle alte energie, è importante ricordare che la settimana scorsa in una sessione straordinaria del consiglio del Cern, l'organo che finanzia, coordina e decide i programmi scientifici dell'organizzazione europea per la ricerca subnucleare con sede a Ginevra, è stata adottata all'unanimità una importante risoluzione che prevede l'approvazione finale del progetto Lhc (Large Hadrom Collider) entro giugno di quest'anno. Questa sarà, per almeno venti anni, la più potente macchina acceleratrice mai costruita dall'uomo. La scoperta del Top e l'approvazione del Lhc aprono nuove prospettive per la ricerca fondamentale, alle soglie del ventunesimo secolo, con affascinanti potenziali scoperte, come la fantomatica «particella di Higgs» (responsabile di tutte le masse delle particelle) e la Supersimmetria, che prevede un nuovo mondo subnucleare vicino all'energia del Tev (1000 Gev). Le masse delle nuove particelle subnucleari, predette dalla Supersimmetria, sono in¬ timamente connesse alla massa del Top e della «particella di Higgs». La fisica sperimentale in questo campo avrà probabilmente una programmazione, nei prossimi anni, non più su scala continentale ma mondiale: lo indica anche la recente risoluzione del Consiglio del Cern per Lhc dove vengono auspicate forme di partecipazione al progetto non solo scientifiche ma anche finanziarie, di Paesi extraeuropei come Stati Uniti, Canada e Giappone. Per concludere, un commento generale sulla relazione tra fisica teorica e sperimentale, un tema già dibattuto di recente su questo giornale. Molte delle teorie fisiche formulate in questo secolo hanno preceduto di gran lunga l'esperimento che le ha poi verificate. Questo non vale solo per il «modello standard», ma anche precedentemente per teorie che implicarono vere rivoluzioni concettuali, come la relatività generale formulata da Einstein e l'esistenza dell'antimateria predetta da Dirac. Le teorie più recenti, sviluppate in questi ultimi venti anni, come la Supersimmetria, la Supergravità e le Corde, cercano di estrapolare le teorie attuali basandosi su principi di simmetria e consistenza matematica interna, che dovrebbero permettere di spiegare alcune pro¬ prietà «misteriose» del modello standard e la relazione di tale teoria con quella della gravitazione. E' probabile che la Supersimmetria verrà scoperta nei prossimi dieci anni e questa eventuale impresa potrebbe, per importanza, paragonarsi alla scoperta dell'antimateria e avrebbe conseguenze e applicazioni oggi forse inimmaginabili. Per ricordare una famosa frase di Einstein, «la fondazione assiomatica di una teoria fisica non può estrarsi dall'esperimento ma deve essere liberamente inventata». Ciò ovviamente non significa che la fisica sperimentale non sia altrettanto fondamentale, perché è l'osservazione che permette alla fisica teorica di progredire e svilupparsi in una direzione piuttosto che in un'altra, in modo tale da comprendere i fenomeni già osservati. Tuttavia il significato della frase di Einstein è che la formulazione di una teoria fisica fondamentale viene per lo più da una richiesta di bellezza estetica, semplicità e consistenza matematica, prescindendo da un'osservazione sperimentale di facile verifica o da un fenomeno naturale di facile interpretazione. Sergio Ferrara Cern, Ginevra IN piena civiltà dell'immagine, può sembrare strano dubitare dei nostri occhi. Eppure a livello scientifico è ben dimostrato che la vista non sempre si può considerare affidabile in condizioni di illuminazione particolari («visione povera») o quando due oggetti sono così lontani da superare il potere risolutivo dell'occhio, che è di circa 60 secondi d'arco, nelle migliori condizioni. Un caso di eccessiva fiducia nella visione, questa volta attraverso un telescopio, è quello ben noto dei pretesi «canali» di Marte. Ce lo ricorda un ottimo libro in arrivo dall'America: «Planets and perception» di William Sheehan, pubblicato dall'Arizona University Press e che varrebbe sicuramente la pena di tradurre nella nostra lingua: anche perché fra i personaggi dell'interessante rievocazione ci sono due nostri illustri studiosi del cielo, Giovanni Schiaparelli e Vincenzo Cernili. Schiaparelli, l'astronomo di Savigliano divenuto direttore del glorioso Osservatorio milanese di Brera, fu tra i primi a cimentarsi seriamente con gli aspetti che il pianeta Marte va offrendo nel ciclo dei suoi periodici avvicinamenti alla Terra, non tutti ugualmente favorevoli per le caratteristiche dell'orbita del pianeta, sufficientemente eccentrica perché la distanza minima fra Marte e la Terra vari da 56 a un centinaio di milioni di chilometri: il che significa vederlo quattro volte più piccolo in una opposizione afelica anziché perielica. Nel settembre del 1877 Marte era pressoché alla minima distanza e Schiaparelli, che da due anni disponeva di un telescopio Merz di 22 centimetri degno delle sue capacità di osservatore, si accorse, scrutando il pianeta, che molto c'era da fare per migliorare la conoscenza del suo aspetto fisico, contrassegnato da regioni brillanti color ocra e da macchie oscure, fra il bruno e il grigio verdastro: «terre» e «mari» in un mondo che presenta bianche calotte polari e stagioni simili a quelle della Terra. L'assidua opera dell'osservatore di Brera produsse una delle prime mappe del pianeta, iniziata con una nuova determinazione dell'inclinazione del suo asse di rotazione e con la misura micrometrica di 62 punti di riferimento cui appoggiare la costruzione di un planisfero. Pubblicato nel giugno 1878, il lavoro di Schiaparelli fu molto apprezzato, tanto che qualche anno dopo il governo accettava la sollecitazione dei Lincei per dotare Brera di un rifrattore più potente, di 49 centimetri d'apertura: entrò in funzione nel 1886. Ma, allontanandosi il pianeta, nello sforzo di percepire ombre e semitoni sempre più deboli, Schiaparelli finì per sintetizzare molti dettagli minori e sfumature al limite della percezione in linee rette sempre più rigide: già il padre Secchi le aveva chiamate «canali». Fu l'inizio di una lunga e dura polemica con molti altri provetti osservatori, inglesi e di altre nazionalità, decisi nel negare che Marte offrisse aspetti così geometrici. La polemica si arroventò quando l'americano Percival Lowell definì i «canali» come corsi d'acqua costruiti artificialmente per salvare dalla siccità un mondo assetato, il che implicava la presenza di marziani intelligenti e organizzati. Ma i «canali» c'erano realmente? Toccò all'inglese Maunder e al nostro Cerulli, fondatore dell'Osservatorio di Collurania (Teramo) dimostrare irrefutabilmente che le linee rette e altre forme geometriche su Marte erano una «costruzione» dell'occhio su particolari al limite della percezione: non dunque la visione era errata ma l'interpretazione di ciò che si vedeva. E le osservazioni del grande planetologo Antoniadi nel 1909 e poi nel 1924 (avvicinamenti fra i più favorevoli) diedero pienamente ragione ai negatori dei «canali», che restano comunque un capitolo appassionante di psicologia della visione: come appunto ci ricorda nel suo ottimo saggio William Sheehan, pur ignorando (per difetto di riferimenti nella letteratura scientifica anglosassone) che negli ultimi suoi anni pure il vecchio Schiaparelli aveva accettato, in una lettera del 1907 a Cerulli, la giusta interpretazione di ciò che per primo aveva cvisto», collocandolo come tappa della visione verso la realtà. d