LO SPECCHIO DEL NOVECENTO di Gianni Vattimo

LO SPECCHIO DEL NOVECENTO LO SPECCHIO DEL NOVECENTO Fornero continua l'aggiornamento della storia della filosofia di Abbagnano Scelte e recuperi in base al «peso» degli autori nel dibattito contemporaneo 4 ORSE la sola obiezione che si può sollevare contro questo quinto volume della classica Storia della filosofia di Nicola Abbagnano, opera, come il IV uscito due anni fa, di Giovanni Fornero (coadiuvato qui da Franco Restaino e Dario Antiseri) riguarda la sua mole e la sua veste editoriale. Come parte integrante di un'opera che si è affermata da anni come un grosso manuale di uso prevalentemente universitario, il libro rischia di raggiungere solo in minima parte il pubblico generale, quelle sempre più numerose persone di cultura non specialistica che negli anni recenti hanno cominciato a interessarsi di filosofia. Questo interesse è stato finora rivolto, per lo più, alla filosofia classica, quella la cui fama e i cui problemi sono ormai patrimonio consolidato. Si sono visti così circolare come bestseller libri sui grandi filosofi greci, dai presocratici e Platone, Seneca, Marco Aurelio. Niente di male; ma l'immagine della filosofia che così è passata nella cultura comune è stata quella, un po' auratica un po' sentenziosa, delle grandi proposizioni sull'essere e il non essere o delle massime di saggezza che sono sempre a un passo dallo scivolare nella banalità dei proverbi. Con il rischio incombente di trasformare il filosofo in una macchietta pronta per le caricature di Woody Alien. La filosofia con cui ci mette in contatto Fornero, invece, è tutto meno che un insieme di massime di saggezza levigate e talvolta banalizzate dalla tradizione. I filosofi e i movimenti di pensiero di cui parla sono cosa dei nostri giorni e anche della cultura a noi più vicina (giacché il volume dedica finalmente un largo spazio, sia nei capitoli tematici, sia nella lunga parte conclusiva di quasi duecento pagine, all'illustrazione delle principali correnti e figure della filosofia italiana dal 1925 al 1990). Il che, ovviamente, richiede nel lettore un atteggiamento diverso da quello richiesto per accostarsi alla tradizione filosofica più consolidata. Il panorama, senza essere confuso, non si presenta certo ordinato in forme ben definite. Si aggiun- Claude Quétel pubblica dal Saggiatore una storia socio-culturale della sifilide: «Il mal francese» EMBRA che tutto sia cominciato nel 1494, con la spedizione in Italia del re di Francia Carlo VIII che, alla testa di un esercito composto da mercenari, portò con sé la più «sociale di tutte le malattie», la «più culturale di tutte» quella «che più ha influenzato la morale e la letteratura»: la sifilide. Curiosamente, quello che in Francia fu indicato come mal de Naples, in Italia venne chiamato mal francese: era evidentemente più facile attribuire al Paese vicino la paternità di un morbo temuto e ignorato, piuttosto che assumersene l'onerosa responsabilità dei natali. Vero è che la sifilide, simbolo dei più turpi peccati della carne quindi anche (e soprattutto) della corruzione dell'anima, marchio indelebile che ha romanticamente segnato e stroncato la vita di molti artisti e scrittori, da Schubert a Maupassant a Karen Blixen, ha attraversato si? la storia che la letteratura a partire dalla fine del Quattrocento, assumendo le dimensioni di un fenomeno sociologico ben superiore alla sua effettiva pericolosità clinica. Nella ricca, variegata e talvolta disorganica storia complessiva della sifilide, Il malfrancese, compilata per la prima volta da Claude Quétel, si individuano quattro costanti: la diffusione dilagante del contagio senza distinzione di classi sociali, la sua relativa curabilità (hi assenza di una terapia univoca, il mercurio, l'arsenico e il guaiaco si sono alternati periodicamente), l'omertà che avvolgeva gli amma- ga che anche la successione cronologica tra i pensatori non è sempre rigorosamente rispettata, anche perché, come dice esplicitamente la prefazione, qui si sono inseriti autori magari più «antichi» che non erano stati inclusi nel volume precedente (già dedicato al pensiero contemporaneo) e che sono stati ora «ripescati» perché nel frattempo è cresciuto il loro peso nel dibattito filosofico. Un criterio che farà rabbrividire chi immagina una storia della filosofia come una sistemazione definitiva di valori, che giudica e manda senza alcuna possibilità di appello. Fornero e i suoi collaboratori non si arrogano affatto il diritto di proporre valutazioni assolute di ciò che merita e non merita di essere ricordato nella filosofia contemporanea. Forniscono però, proprio per questo, un utilissimo sussidio per farsi una prima idea, abbastanza sostanziosa e approfondita, degli autori che circolano e si discutono oggi. Di qui l'uso, che si rivela anch'esso molto proficuo, di dare, nell'esposizione dei vari autori, ampie Vattimo, Eco, Pareyson, Gadamer A fumar. Nicola Abbagliano citazioni della letteratura secondaria, lasciandosi per così dire guidare dalle risonanze che le varie proposte filosofiche hanno già suscitato in critici e studiosi. Una linea di condotta che sembra l'unica possibile in un terreno in cui non si è ancora costituito un canone, una valutazione e un ordine generalmente accettato a cui ci si possa tranquillamente riferire. E' fin troppo ovvio che, su queste basi, le discussioni che accompagnarono la pubblicazione del volume precedente (tra le trasmissione del morbo diventa bersaglio delle reprimende che durarono ininterrotte nel corso dei secoli. Se si considera che il primo trattato scientifico risale al 1496, ad opera di Grunpeck, un chierico di Augsburg che descrisse per primo i terribili sintomi della malattia poiché ne fu egli stesso colpito, e che alla fine del XVTJI secolo esistevano quasi duemila pubblicazioni sull'argo¬ lati, specie se di classe sociale elevata (cosa che, oltre che ad ostacolare i lentissimi progressi della medicina contribuiva ad espandere piuttosto che a fermare il contagio), e la forza del concetto di castigo divino, che fornì a laici e religiosi ottimi spunti per riflessioni moralistiche. Fin da subito, cioè a partire dalla fine del XV secolo, l'amore fisico come principale veicolo di rinchiuderla entro rigidi schemi storiografici cari alla tradizione ottocentesca. Qui la mancanza di schemi, oltre che da una scelta deliberata, dipende dalla cosa stessa; ma il risultato è il medesimo, la sensazione di trovarsi di fronte a uno sforzo di comprensione estremamente rispettoso delle personalità e dei testi (talvolta per nulla facili) con cui si trova a misurarsi. Non possiamo non segnalare ai lettori che, se alcune stroncature che hanno accolto il precedente volume erano anche (o soprattutto) motivate dalla constatazione di certe esclusioni, il nostro giudizio positivo potrebbe essere ora condizionato dal fatto che il pensiero italiano di oggi è qui oggetto di una trattazione molto ampia e per lo più amichevole. Sono anche le pagine delle quali, essendo personalmente coinvolti, possiamo valutare più fondatamente l'esattezza e la completezza espositiva. Ma per quanto, con competenza di grado diverso, possiamo giudicare, non sono meno attendibili e completi, giusto per fare qualche esempio, i capitoli sul pensiero ebraico (Rosenzweig, Benjamin, Buber, Simone Weil, Hannah Arendt) con cui si apre il volume; o le parti dedicate alla rinascita della filosofia pratica, ad Apel, a Deleuze e Guattari. Accanto alle quali vanno ricordati almeno, per dare un'idea della sensibilità all'attualità che caratterizza quest'opera, i due capitoli dedicati al pensiero della filosofia feniminista e al feniminismo cristiano. La filosofia, diceva Hegel, è il proprio tempo, colto nel pensiero. Una lettura come quella, quasi sempre molto piana e agevole, che ci offre il libro di Fornero, se anche non trasmette la sensazione tranquillizzante di un panorama armonioso e ben ordinato, dà almeno la certezza che la filosofia, e il tempo che essa si sforza di pensare, sono ancora carichi di futuro. troppo facile rispondere che proprio i pensatori più conosciuti possono essere presentati più sommariamente di altri che, per essere meno noti, hanno bisogno di una attenzione più analitica, Comunque, diciamolo subito a scanso di equivoci, non c'è nel volume alcuna esposizione sommaria; anzi, semmai, talvolta sembra che lo scrupolo di non esercitare valutazioni e scelte troppo nette in situazioni ancora del tutto aperte e in evoluzione, conduca gli autori a eccedere in esposizioni troppo dettagliate: p'oiché non è ancora chiaro che cosa è importante e che cosa no, meglio abbondare e buttare via il meno possibile. Molto più che un (perdonabile) difetto, questo, alla fine, è un pregio che i lettori non finiranno di apprezzare; e che, nonostante ogni apparenza in contrario, si mantiene fedele allo spirito che aveva guidato Nicola Abbagnano nei tre volumi «classici» di questa storia. Abbagnano si era sforzato di considerare ogni filosofia come una risposta personale a un nucleo di problemi, rifiutando di Un lavoro fedele al vecchio maestro Buono spazio all'Italia In alto, da sinislm: quali spiccò la stroncatura, che oggi appare francamente ingiusta, di Emanuele Severino) sono probabilmente destinate a ripetersi. Non più, si spera, a causa delle molte esclusioni a cui si è ora posto rimedio. Ma per esempio riguardo all'estensione maggiore o minore di questo o quel capitolo: a prima vista, le venti e più pagine dedicate al «Razionalismo pancritico di W. W. Bartley III» possono apparire eccessive di contro al capitolo della stessa lunghezza che espone il pensiero di Lévinas. Ma sarebbe persino voi. IV, tomo 2, a cura di G. Fornero Utet,pp.XX-786.L. 120.000 Gianni Vattimo Nicola Abbagnano Storia della filosofia

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