UNA LUCE ALLA VELAZQUEZ TRA LE MACERIE DI SPAGNA

UNA LUCE ALLA VELAZQUEZ TRA LE MACERIE DI SPAGNA UNA LUCE ALLA VELAZQUEZ TRA LE MACERIE DI SPAGNA Hortelano, un grande degli Anni 30, da riscoprire Margaret Mazzantini Il catino di zinco SIAMO a Madrid, nel 1938: un bambino che ha appena acquistato il pane, risale la strada, e, camminando, prende a calci un barattolo. Di colpo, a schiacciarlo contro il marciapiede è il peso di un altro ragazzo che gli si scaglia addosso. Ma non si tratta di una aggressione brutale. E', al contrario, la salvezza: infatti, in quella mattina di sole, un'esplosione distrugge e ingoia metà di quella strada madrilena. Ignoti il numero dei morti e le cause della catastrofe nella Madrid martoriata dalla guerra civile, ormai prossima alla fine. Unica cosa certa: il «premonitorio corpo a terra» ha impedito ai ragazzi «di volare a pezzettini per l'onda d'urto». Anzi, consente a tutt'e due di recarsi, «tremando ancora una volta in quella guerra», a casa del bambino più piccolo, che è poi il narratore. «Mianonna... ci preparò due tazzoni di malto con latte e ci sminuzzò dentro il pane, che odorava di polvere, e dal quale, come da un viscere in più, non mi ero staccato». Con quel pane che sa ancora di polvere e di guerra, e con quei due bambini salvati e ora sorvegliati dalla nonna, è questa, a parere di chi scrive, una delle scene più struggenti di una guerra, quella di Spagna, che pure ne ebbe molte, e tutte narrate in modo altamente drammatico. Si trova, con il titolo La capitale del mondo, nella raccolta Macho cuento Tante storie di Juan Garda Hortelano: sorta di cuneo nell'indifferenza della editoria italiana per reintrodurre da noi un grande autore spagnolo, scomparso due anni fa, che in Italia come nel resto del mondo, negli Anni Sessanta, era stato, al contrario, tradotto e ammirato. Nato nel 1928, Juan Garda Hortelano ebbe, come altri della sua generazione, Aldecoa, Sànchez Ferlosio, Juan Goytisolo, Carmen Martin Gaite, la vita non soltanto segnata dalla Guerra Civile, ma lacerata proprio al momento dell'adolescenza, nel passaggio tra la fine della guerra e la cosiddetta normalizzazione del franchismo. In un paio di storie, tra le più riuscite, di Mucho cuento, egli narrò i riti della nuova educazione, con parole diverse ma parallele a quelle adoperate dal famoso editore e poeta, Carlos Barrai, nelle sue memorie Arìos de penitencia: «Si trattava ora, agli albori della quarantena franchista, di allontanarci dai cammini della vita e di inculcarci le E Hortelano? E Hortelano rimase come lo leggiamo oggi: un grande scrittore, dalla ricca messe romanzesca di variegata sperimentazione, ma caratterizzata da una cifra sua, inconfondibile: uno sguardo acuto, da grande «osservatore di questi tempi di disprezzo». Un disprezzo che, tuttavia, sa sempre guardare al di là della realtà contingente, anche se dolorosissima, anche se incongrua e grottesca, anche se fatta di macerie (reali, come accadeva nell'esplosione della guerra civile) oppure spirituali (come accadeva nel collegio degli Scolopi). E poi, e qui sta la sua singolarità vera, fu poeta e interprete della Madrid, goduta e assaporata fin dall'infanzia, resa esplicita non tanto e non solo nei suoi segreti (non per niente, il suo grande amico, Jaime Salinas, «omo dei fautori della ricostruzione democratica sotto il franchismo» chiamava Hortelano con affetto, «la portinaia di Madrid») quanto nella sua essenza intima e premonitrice. E conviene allora far ritorno a quella Capitale del mondo che, dall'infanzia del 1938, spazia fino a inglobare le lunghe passeggiate dei due protagonisti, il salvatore e il salvato. E ancora una volta è il più grande, Silverio, a intuire quello che verrà e a indicarlo, quasi come speranza, all'amico più giovane: «In una fotografia, che, dai soprabiti e dai cappelli flosci che portavamo Silverio e io, doveva essere stata scattata verso il 1952, l'obiettivo ci aveva fissati mentre salivamo per Mesón de Paredes in un pomeriggio d'inverno... Ventanni dopo, su questa prova incontestabile, Silverio basava la sua tesi che la marna stomachevole di vedere velazquerìa la luce dei pomeriggi d'autunno da calle Bailén rispondesse al fato che quei tramonti fastosi, che mai avevano avuto nel secolo XVII una simile qualità, l'hanno acquisita sulle tele sotto l'influsso mutante dell'atmosfera madrilena». Una luce recondita e anticipatrice, fatta del nuovo che ingloba l'antico e lo rende nuovo, la luce velazquena: non dissimile, davvero, dalla sottile magia dei racconti di Hortelano che ci restituiscono più di mezzo secolo di realtà spagnola.

Luoghi citati: Italia, Madrid, Spagna