« di Maria Corbi

« « Ora è inutile » Parla il fratello di una vittima BOMA. Il passato ritorna. Bitorna con Priebke, con il suo sorriso alle telecamere, con i modi disinvolti di chi sa che l'ha fatta franca. Nuovo dolore e rabbia per i familiari delle vittime del massacro delle Ardeatine. «Non dobbiamo dimenticare», esorta Francesco Agnini, fratello di Ferdinando, ucciso dai nazisti insieme ad altre 334 persone il 24 marzo del 1944. «Per questo, per dare la memoria di quei tempi ai giovani è giusto che Priebke venga precessato». Nessuna vendetta. Agnini chiede per suo fratello e le altre vittime della follia nazista solo giustizia. «Una giustizia che comunque oramai potrà essere solo "ingiusta". Quel criminale si è fatto la sua vita tranquillo, senza rimorsi. A questo punto cosa paga?». «Nell'intervista data alla Bbc appare per quello che è stato e continua a essere un feroce, cinico nazista». Francesco Agnini parla con calma, con la dignità di chi ha imparato a convivere con il dolore, la rabbia e l'ingiustizia. La storia di suo fratello ò stata uguale a quella di tanti altri giovani che decisero di combattere per l'Italia per liberarla da fascisti e nazisti. Ferdinando Agnini era un membro dell'Arsi, l'associazione rivoluzionaria studentesca italiana, una delle cellule della Besistenza. «Per una soffiata, forse di qualche compagno che non ha resistito alle torture delle SS, vennero a prendere mio fratello a casa», racconta Francesco Agnini, che all'epoca aveva 16 anni, due in meno del fratello. «Era di notte e portarono Nando alla caserma dei carabinieri. Venne picchiato selvaggiamente, ma non rivelò i nomi dei suoi compagni». Anzi, per salvarli mandò un biglietto a casa, affidandolo a un maresciallo di pubblica sicurezza di cui pensava potesse fidarsi. «Avverti subito i miei amici, scriveva Nando al padre, perché si mettano in salvo. Sta' tranquillo. Farò tutto il mio dovere. Viva l'Italia, tuo figlio». Per queste poche frasi anche Gaetano Agnini, il padre, fu arrestato. «Papà e Nando furono portati a via Tasso. Li misero in due celle separate. Mio fratello fu interrogato e torturato per dodici volte. Poi la mattina del 24 marzo una voce, dallo spioncino della cella, disse a mio padre: "Suo figlio è andato via, la saluta". Da lì a qualche giorno abbiamo saputo delle Fosse Ardeatine». Di Priebke, Francesco Agnini non si ricorda. «A casa vennnero due ausiliari delle SS, ma erano italiani». Ferdinando Agnini, invece, ha conosciuto la ferocia del vice di Kappler. Prima a via Tasso, durante gli interrogatori. Poi alle Ardeatine, dove il compito di Priebke era quello di spuntare i nomi dei condannati dall'elenco a mano a mano che entravano nelle fosse. E la cosa che più brucia a chi è rimasto a piangere le vittime di questa follia è sentire la "oce calma, senza rimorso, dell'assassino dei loro cari. «Lui non ha chiesto perdono», dice Francesco Agnini. «Fa apparire la strage delle Ardeatine come una cosa normale, un obbligo. Ma non era un dovere, voleva farlo, altrimenti poteva rifiutarsi». Sì, Priebke poteva dire di no, come fece un semplice soldato, che pianse, gridando ai capi che lo ammazzassero pure. «Mettetemi tra i condannati», urlo, piuttosto che macchiarsi col sangue di 335 innocenti. Maria Corbi

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