«Venni 2 volte in Italia ma nessuno mi fermò»

«Venni 2 volte in Italia ma nessuno mi fermò» «Venni 2 volte in Italia ma nessuno mi fermò» LA DIFESA DEL CARNEFICE BUENOS AIRES ON sono io il boia delle Fosse Ardeatine: ho partecipato alla rappresaglia, ma solo eseguendo gli ordini del colonnello Kappler. E' stato terribile, ma questa è la guerra». Al telefono dalla sua casa in Argentina, il capitano delle SS Erik Priebke racconta la sua «verità», dopo l'intervista alla televisione americana Abc che ha riacceso i riflettori sull'eccidio del 24 marzo 1944. Parla uno spagnolo impeccabile, solo un leggero accento tradisce la sua origine. Il numero di telefono è sull'elenco di Bariloche, lo splendido centro di montagna duemila chilometri a Sud di Buenos Aires dove Priebke vive dalla fine degli Anni 40. Un santuario sicuro, come tutta l'Argentina lo è stata per decenni per migliaia di gerarchi e criminali di guerra nazisti. «Ho vissuto qui per quasi mezzo secolo e non mi sono mai nascosto, se qualcuno mi avesse cercato sarebbe stato facile trovarmi - dice con voce ferma -. Ho un passaporto tedesco col mio vero nome, sono tornato diverse volte in Germania ed un paio di volte anche in Italia, l'ultima nel 1980 o nel 1981, senza che nessuno mi dicesse niente. Disgraziatamente, adesso sono diventato famoso per colpa delle invenzioni di quel giornalista americano». Invenzioni, senor Priebke? «Si, invenzioni. Mi hanno aggredito, non intervistato. Quattro o cinque persone hanno circondato la mia macchina, iniziando ad urlare in inglese "sei un nazista", "sei un criminale". Io ho raccontato la verità, ma il montaggio effettuato dal giornalista mi ha mostrato come se fossi stato io uno dei responsabili del massacro. Non ho visto l'intervista, ma mio figlio che vive negli Stati Uniti mi ha detto che è stata terribile. Ho 81 anni, non so come difendermi, come fare per ristabilire la verità». E quale sarebbe la verità, secondo lei? «Quella stabilita dal tribunale di guerra inglese che a Venezia processò me ed altri ufficiali del comando delle SS di Boma, assolvendoci da tutte le accuse. Io ero capitano, avevo lavorato con il colonnello Kappler in ambasciata e poi nel comando di Roma. Il nostro era un lavoro di polizia e di intelligence, effettuato insieme alle autorità italiane. Non abbiamo mai preso parte ad azioni contro civili e alla deportazione di ebrei, gli italiani non volevano. Personalmente, ho partecipato solo alla rappresaglia per l'atten- tato, che fu ordinata direttamente da Kappler. A via Basella erano stati uccisi 34 soldati tirolesi del battaglione Bozen: non erano nazisti, erano solo ragazzi. Nessuno di noi voleva fucilare dei civili, neppure Kappler. Eravamo innamorati dell'Italia e degli italiani, tanto che diversi ufficiali del nostro gruppo sono rimasti a vivere nel vostro paese, indisturbati, e forse alcuni ci vivono ancora. Ma eravamo in guerra, e purtroppo queste cose in guerra succedono». Non ha rimorsi per la morte di 335 civili innocenti? «La guerra è sempre orribile. Credo che il pilota dell'aereo americano che sgancio la bomba atomica su Hiroshima non sia mai più riuscito a dormire. Ecco, io dormo, ma ricordo ancora. Alle Fosse Ardeatine ho ucciso una sola persona. Fu deciso che tutti gli uffi¬ ciali fucilassero personalmente un prigioniero per dare l'esempio alla truppa. A quei tempi si faceva così. Ho obbedito agli ordini, ero un soldato. Bipeto, la completa responsabilità per la rappresaglia fu di Kappler, che per questo venne processato e condannato in Italia. Ma fu terribile per tutti». Lei si considera ancora nazista? «Ero un capitano delle SS ed ero iscritto al partito nazista. Ma la mia vita di nazista è finita nel 1945, con la guerra. Non mi sono mai più occupato di politica. In Argentina ho molti amici tedeschi, naturalmente, ma non ho mai frequentato nazisti e non ho mai fatto parte di alcuna organizzazione di questo tipo. Oggi ho 81 anni, sono un semplice pensionato». Sa che la giustizia italiana «Ho sempre utilizzato un passaporto tedesco Alle Ardeatine uccisi una sola volta» chiederà la sua estradizione? Ne ha paura? «Ho sentito alla radio della richiesta di estradizione. Adesso dovrò cercare un avvocato, vedere di difendermi... Non avrei mai pensato che questo potesse accadere. Bipeto, tutti sapevano che vivevo qui. E poi sono già stato processato dagli inglesi, come le ho detto. Proprio non capisco». In realtà Priebke non ha probabilmente nulla da temere: la giustizia argentina ha sempre rifiutato di concedere l'estradizione dei criminali di guerra nazisti rifugiatisi nel Paese, come peraltro il governo del presidente Menem ha regolarmente protetto i militari argentini responsabili per le migliaia di desaparecidos della dittatura. Gianluca Bevilacqua