Convegno in ricordo del giornalista morto di cancro di Marina CassiGigi Ghirotti
Convegno in ricordo del giornalista morto di cancro Convegno in ricordo del giornalista morto di cancro Ghirotti, 20 anni dopo La sua «lotta» continua TORINO. Chissà se Gigi Ghirotti sarebbe riuscito anche ieri mattina a esorcizzare la commozione con il suo inattaccabile humour? E ieri mattina, al convegno organizzato per ricordarne la figura a vent'anni dalla morte, commozione ce n'era davvero tanta nella sala gremita di amici, medici, colleghi. Ghirotti - che a poche ore dalla fine scongiurava gli amici di non trasformarlo «nell'Enrico Toti del cancro» - sicuramente della manifestazione avrebbe apprezzato il solido impianto scientifico. Medici di grande fama riuniti per discutere di tumori del sistema linfatico e dei progressi fatti per sconfiggerli. Oggi il calcio di rigore del «silor Hodgkin» può essere parato. Il male, a patto che la diagnosi sia precoce, battuto. E strade nuove si sono aperte anche per altre emopatie che un tempo erano, oltreché incurabili anche inguaribili. Anche grazie alla testimonianza personale di Ghirotti e all'opera costante e generosa dei comitati sorti nel suo nome, per molti malati la guarigione è possibile. ìl comitato piemontese da quindici anni promuove un'attività di studio delle malattie neoplastiche del sangue, finanzia borse di studio a giovani medici in Italia e all'estero, acquista apparecchiature per gli ospedali, gestisce biblioteche ospedaliere per offrire un'alternativa nelle vuote giornate dei malati, organizza campagne di informazione sui tumori. Il bilancio dell'attività è arrivato a fine mattinata dopo momenti di profondo turbamento. Il direttore della Stampa, Ezio Mauro, aveva disegnato la figura di Ghirotti con toni solo apparentemente asciutti. Intensa, in realtà, la partecipazione emotiva a un percorso umano nel quale essere persona non era mai disgiunto dall'essere giornalista. «Il giornalismo può a volte riscattare se stesso e svolgere una funzione civile», ha detto Mauro ricordando i reportage televisivi e l'inchiesta sulla Stampa che Ghirotti ha realizzato, lavorando fino all'ultimo giorno. Quei pezzi di grande giornalismo, quelle frasi scritte e pro¬ nunciate da dentro il tunnel della malattia, sono diventati documenti di denuncia di una realtà in cui il malato è solo di fronte al dolore e alla morte. Emarginato dalla società dei sa¬ ni, ridotto a numero dalla burocrazia ospedaliera. Il professor Enrico Dini è un medico anziano. Vicentino, dalla parlata morbida, ha ricordato di Ghirotti la voglia di strappare un solo attimo di vita. «Gigi era vivo un minuto prima di morire». Ai laureati in medicina ha lanciato una esortazione: «Diventate medici, battetevi per i malati. Imparate a ascoltare, parlare, vivere con loro». Lui, primario ospedaliero, l'esperienza di essere trasformato in un numero, il «poco simpatico 13», l'aveva sofferta per curare una malattia non grave. E quell'esperienza aveva messo a disposizione di Ghirotti che l'aveva inserita nel suo libro «Lungo viaggio nel tunnel della malattia» che è stato ristampato in questi giorni. Ricordare Gigi Ghirotti è impossibile senza ricordare Mariangela, la donna che gli è stata compagna, amica, collega. Il cognato di Ghirotti, Giulio Cisco, ha svelato che anche la sorella era stata attaccata dal cancro. Due volte il male aveva invaso l'esistenza della coppia indissolubile, due volte era stato respinto. Forse quelle vittorie avevano sostenuto la speranza che anche nel caso di Gigi fosse possibile vincere. Gigi, che per la moglie aveva scelto l'allora rivoluzionaria terapia al cobalto al posto di una grave mutilazione, rispondeva secco agli studenti di medicina che con timidezza e pudore telefonavano per avere notizie di Mariangela da utilizzare in tesi di laurea. Li gelava con un rapido: «E' viva, è viva». Marina Cassi Gigi Ghirotti, giornalista de La Stampa, lavorò fino all'ultimo per denunciare la realtà in cui il malato è lasciato solo di fronte alla morte
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