Bruciata in casa per vendetta

Roma, ritorsione della mala per uno sgarro del marito fuggito in Brasile Roma, ritorsione della mala per uno sgarro del marito fuggito in Brasile Bruciata in casa per vendetta Donna muore, feriti ifigli Bimbo aggredito Bari, Luca in classe dopo il coma Sarà subito chiuso Napoli apre l'ospedale fantasma ROMA. La malavita brucia la porla di casa, in segno di ritorsione contro chissà quale sgarro del marito, delinquente di lungo corso e rifugiato in Brasile da un paio d'anni. E lei, Anna Maria Ferretti, 48 anni, muore per salvare i figli. Si è alzata in piena notte, rendendosi conto del pericolo. E' corsa a svegliare i ragazzi - Diego, 25 anni e Olimpia, 26 - poi si è accasciata in una stanza, svenuta per il fumo. E' morta intossicata. E' successo l'altra notte, a Fiumicino. Una palazzina di cinque piani a Isola Sacra, tra il Tevere e il mare, in una terra di nessuno che non è città né campagna. Qui abitava Vasco De Luca. Un pregiudicato ben conosciuto in questura. Niente di eclatante, agli inizi, se non una lunga e poco onorevole consuetudine: il suo nome compare spesso nei verbali della polizia all'inizio degli Anni 70. E' accusato di truffe e reati contro il patrimonio. Poi, dopo dieci anni, il salto di qualità. Viene accusato di rapine, traffico di stupefacenti, detenzione di armi. Ma succede qualcosa e si incrina la sua «carriera» nella mala romana. All'improvviso, un paio di anni fa, decide di cambiare aria. Sparisce dalla sera alla mattina. Si sospetta che abbia tirato un «bidone» a qualcuno di quelli che non perdonano. Le sue ultime tracce portano in Brasile, dove gestisce un locale notturno. Non si sa bene se abbia tagliato i ponti con la famiglia. Certo è che qualche settimana fa, sotto la casa di Fiumicino, è andato a fuoco il camioncino di famiglia. E il figlio Diego ritiene che si trattasse di un incendio doloso. Poi, l'altra sera, il secondo «incidente». Secondo un copione classico nella malavita, qualcuno appicca il fuoco alla porta di casa. E' l'una e venti di notte, quando la signora Ferretti si sveglia. La puzza di benzina è fortissima, racconteranno i figli scampati per miracolo alla tragedia. Si sente il rumore del fuoco che divora la porta. Un momento terribile. La signora non ci mette molto a rendersi conto del pericolo. Balza dal letto e corre nelle stanze vicine. Fa alzare i figli. I tre si avvicinano alla porta, sperando di uscire da quell'inferno. Ma tutto è inutile. La strada è sbarrata dalia fiamme. E il fuoco avanza. Tornano indietro, allora. Mentre il fumo comincia a diffondersi nell'appartamento, e la vernice sintetica alle pareti inizia a sciogliersi (rilasciando nell'aria altri gas letali), i Ferretti cercano disperatamente un'altra via di fuga. Si affacciano alle finestre. Chiedono aiuto. E' una scena straziante, quella a cui assistono i vicini di casa. «Ho visto Diego sul balcone, con la sorella vicina - racconta Rossana Trinca, che abita al piano superiore e ancora non si capacita dell'accaduto -. Era disperato e chiamava aiuto. Diceva: "Correte, mamma sta male". Ma quando sono arrivati i primi mezzi dei vigili del fuoco, per colmo della disgrazia, la scala era troppo corta». Ne accorrono altri, di vigili del fuoco, per fortuna, con una scala più lunga. E saranno loro a entrare nell'appartamento. Adesso i due giovani sono ricoverati con gravissime ustioni. Diego è quello che sta peggio: prognosi riservata. Per la madre, invece, non c'è stato nulla da fare. Soffriva di asma. Il fumo l'ha soffocata. Poi le fiamme hanno fatto scempio del corpo. La polizia ha interessato l'Interpol per raggiungere De Luca in Brasile. Si indaga sui rapporti tra il pregiudicato e la famiglia anche se i vicini di casa la descrivono come assai modesta, che viveva in un appartamento di tre stanze e si accontentava di mandare avanti un negozietto di cartoleria; qualche volta per integrare i magri guadagni la signora Ferretti lavorava come bidella in una scuola della zona. Il sopralluogo dei vigili del fuoco nella c Francesco Grignetti NAPOLI. L'inaugurazione è fissata per oggi, ma il nuovo ospedale rischia già la chiusura. Per realizzarlo ci sono voluti dieci anni e una spesa di 3 miliardi e mezzo: ora, però, una legge regionale prevede tagli e riconversioni per le strutture sanitarie sottoutilizzate. Con quali conseguenze? L'edificio parzialmente ristrutturato, con un unico piano agibile dove attualmente sono ricoverati una decina di ammalati, potrebbe finire nell'elenco dei nosocomi da cancellare, prima ancora di entrare pienamente in funzione. A Palma Campania, un paesone dell'entroterra napoletano, tutto è pronto per la cerimonia che sancisce l'apertura dell'ospedale. I lavori non sono ancora ultimati, ma un motivo per inaugurarlo subito c'è. Il palazzo che sorge su di un suolo di 20 mila metri quadri è stato donato al Comune nell'84 da una famiglia del paese. I benefattori, però, non avevano troppa fiducia nella burocrazia e stabilirono in dieci anni il termine massimo, che scade il 15 maggio prossimo, entro cui il presidio avrebbe dovuto essere messo a disposizione della collettività. In caso contrario, sia il terreno sia l'edificio sarebbero tornati in possesso degli eredi. Una clausola senza margini di scappatoie. Si spiega così la scelta di dare il via all'inaugurazione, benché la presenza della struttura non sia prevista nella rete ospedaliera delle emergenze decisa dalla Regione Campania. Ma quale sarà il destino dell'ospedale che adesso apre i battenti? L'assessore non ha dubbi: «Confermo che la linea è di chiudere, o meglio riconvertire e trasformare, tutte le strutture sottoutilizzate». Una recente legge, infatti, fissa in 120 il numero minimo di posti letto dei nosocomi da «salvare». Che senso ha, allora, aprire un ospedale che sarà chiuso tra pochi mesi? Salvatore Ioveno, commissario straordinario dell'Usi 33, una risposta ce l'ha: «L'apparente paradosso dell'inaugurazione di una struttura destinata a chiudere - spiega si giustifica con la necessità di acquisire al pubblico un suolo e una costruzione che altrimenti tornerebbero ai privati. Sarà la Regione Campania a stabilire che cosa fare del nuovo ospedale, se farlo funzionare o destinarlo ad altre esigenze», [m. e] BARI. I capelli cortissimi, una lunga cicatrice sulla testa, Luca guarda e muove le labbra disegnando un sorriso dolce mentre gli occhietti scuri guardano i suoi amici, seduti tra i banchi. Nella terza elementare della scuola «Lupara» di Grumo Appula è festa, i 22 alunni applaudono. E' ritornato Luca De Serio, 11 anni, il bambino che il 20 marzo venne picchiato a colpi di pietra e ridotto in fin di vita. Abbandonato sull'asfalto, caduto in uno stato di coma dal quale si è risvegliato grazie anche alle stimolazioni di un nastro registrato con le voci dei suoi compagni di scuola, Luca ora parla a fatica. Ci vorrà ancora tempo perché torni come prima, ma sorride. Ha rivisto anche il luogo in cui venne picchiato, alla periferia del paese, dove arrivò incuriosito dagli incontri proibiti dei grandi. Al magistrato che si occupa dell'inchiesta, il sostituto procuratore Antonino Mirabile, Luca ha raccontato tutto rivivendo i momenti della violenza, e le sue parole hanno contribuito a mandare in carcere un ragazzo di 17 anni, che ha già confessato. Con lui, a bordo di un motorino, il bambino sarebbe arrivato alla periferia di Grumo. Il diciassettenne voleva farsi toccare dal bambino, anche quello era un gioco proibito. Luca rifiutò, e ora ricorda: «Fu lui a colpirmi per primo». Poi arrivarono altri due e lo colpirono ancora lanciandogli pietre. Accusati di avere partecipato alla violenza sono Francesco Di Santo, 36 anni, che ha ammesso di avere lanciato le pietre, ma non al bambino («Era un cane» ha detto al magistrato) mentre era in compagnia di Raffaele Rella, 27 anni, un omosessuale che tutti in paese chiamano «Raffaella». Sono entrambi in carcere. Il minorenne, parente di uno dei due arrestati, ha spiegato al magistrato di avere ferito Luca ma, qualche ora dopo, di avere chiamato i carabinieri affinché lo soccorressero. Ma il bambino venne ritrovato da alcuni suoi coetanei il giorno dopo, con la testa insanguinata accanto alla porta del garage di una villa in costruzione. Luca, che ha undici anni e frequenta ancora la terza elementare avendo difficoltà di apprendimento, ricorda ogni momento di quella tragica e maledetta sera. Ma adesso sorride a Clelia Calabrese, l'insegnante di sostegno che lo definì, dopo quel maledetto 20 marzo, «un bambino estroverso», [s. t.] casa incendiata a Roma