E guerra bombe sui tesori dello Yemen di L. Ca.

Il Sud colpisce il palazzo del Presidente e l'aeroporto della capitale, raid del Nord su Aden Il Sud colpisce il palazzo del Presidente e l'aeroporto della capitale, raid del Nord su Aden E' guerra, bombe sui tesori dello Yemen Turisti italiani in fuga da San 'a E' morto in culla, lo Yemen unito: ucciso da quattro mesi di guerra civile strisciante, seppellito dalle bombe su San'a e Aden. Le fanfare dei giorni della riunificazione, quattro anni fa, sono finite in fumo assieme alle speranze di sviluppo e di ricchezza. Avevano messo in comune tutto, i due tronconi, il Sud marxista e il Nord filoccidentale, tranne l'esercito. Non si sa mai. Ieri le due aviazioni hanno colpito le rispettive capitali nemiche: mentre i bombardieri del Nord si accanivano su Aden, il vecchio porto britannico all'imboccatura del Mar Rosso, gli aerei del Sud colpivano il palazzo del governo di San'a, minacciavano le mura, le splendide case torri, i samsara dove da secoli i mercanti stipano le merci, i suk percorsi da venditori e turisti. Le radio che intimavano di non uscire per strada e annunciavano lo stato d'emergenza, celebravano in realtà la fine della più giovane Repubblica araba e l'inizio della guerra civile. Gli occidentali preparano la fuga. I francesi stanno già partendo, Parigi ha allertato i quattromila legionari di stanza a Gibuti, dall'altra parte del Mar Rosso. Bonn e Londra stanno pensando di sgomberare tedeschi e inglesi. La Farnesina annuncia: l'ambasciata di San'a e il consolato di Aden si mantengono in costante contatto con i cinquanta italiani che risiedono nel Paese. Dieci connazionali che si trovavano ad Aden sono saliti su navi francesi dirette a Gibuti. Anche il gruppo di turisti italiani sorpreso dalla guerra a San'a sta lasciando il Paese. Una parte è già stata imbarcata su un aereo per Amman, il resto del gruppo partirà oggi. Arrivano, invece, i diplomati¬ LA PACE DIFFICILE GERICO DAL NOSTRO INVIATO " La bandiera israeliana è ancora là, bianca e azzurra, che sventola alta nel cielo polveroso della piazza del municipio. E ancora là ci sono i soldati di Tsahal, le loro jeep che pattugliano ogni strada, i posti di blocco, i ragazzi che si nascondo dietro un muretto per tirare le loro pietre dell'Intifada. Tutto appare come prima, qui a Gerico, come sempre; c'è perfino il vecchio asino che ogni mattino strappa qualche ciuffo d'erba dall'aiuola della piazza e osserva il tempo che passa, forse miope, forse indifferente. Ma deve avere ragione lui. L'altro ieri, dal teatrino del Faraone, al Cairo, tutti i grandi attori della pace, Rabin e Arafat, però anche Christopher, Kozyrev, Peres, lo stosso Mubarak, tutti avevano ripetuto in coro che «s'inizia una nuova era», che «il passato della guerra è finito e comincia il mondo della coesistenza». Dev'essere che a Gerico non guardano molto la televisione, e perciò non si sono ancora accorti nessuno, né i soldati né quelli che gli tirano le pietre - che uno «storico evento» ha cambiato il mondo; e allora uno che viene fin qui per vedere com'è il primo giorno della capitale del nascente Stato palestinese, la gente in festa, i segni concreti della rivoluzione che ha vinto, la porta aperta per l'arrivo di Arafat, scopre invece che la vita continua con la stessa difficile ambiguità di questi ultimi 27 anni, quando Israele occupava la Cisgiordania, e i palestinesi erano soltanto cittadini senza patria di una terra senza nome. Qualcosa non deve avere funzionato. Il furbo Ahmed che vende un po' di tutto, nel suo negozietto stretto e lungo che sta proprio in piazza, a due passi dal municipio, lo sa bene, che cosa non ha funzionato: «E' Arafat, mio caro amico. Arafat si è fidato troppo degli israeliani, e ormai ci ha svenduti a loro». Ahmed, con Arafat ci ha fatto una piccola fortuna, perché le magliette che portano stampata la faccia a colori del vecchio ex capo guerrigliero sono andate davvero a ruba, e sulla porta del negozietto ce n'è ancora una serie appesa a un l'ilo di nylon; costano 10 lire israeliane (quasi 5 mila delle nostre lirette), e sono di buon cotone. Ma una cosa sono gli affari, e un'altra i sentimenti: «Arafat si è accontentato di promesse, che il Signore lo perdoni. Ma le promesse sono come lo hamsìn, il vento del deserto, che viene, riempie l'aria, ti mette sotto, ma poi anche se ne va e tutto torna come prima». ci. L'inviato di Clinton, Robert Pelletreau, sottosegretario di Stato per il Medio Oriente, è già a San'a, dove cerca di avviare una trattativa. I mediatori del Cairo, tradizionale arbitro della regione, sono rimasti bloccati in Egitto dalla chiusura dell'aeroporto di San'a. Il ministro degli Esteri Ainr Mussa, l'uomo-chia- ve della pace tra Israele e Olp, ha lanciato un drammatico appello. All'inizio dell'anno, i primi fuochi del conflitto si erano accesi nell'antica capitale del regno di Saba, a Mareb, nel deserto, vicino alla vecchia linea di confine tra Nord e Sud: sabbia, palme, frammenti di colonne e pozzi di petrolio. Qui la faida fra Ali Abdullah Saleh presidente dello Yemen zayditi, la setta sciita che guida la coscienza religiosa del Paese, hanno cercato una mediazione. Il Sud chiede una fetta più grande di finanziamenti, di potere e di petrolio. Il Nord risponde di no. I fedelissimi di Saleh uccidono i familiari di al Baid. La parola è alle armi. Il 13 gennaio le truppe del Nord aprono il fuoco. Mesi di guerriglia, di attacchi improvvisi, di fughe. La settimana scorsa, attorno alle mura di Amran, un borgo medievale di fango, pietra e capre a due ore da San'a, la prima battaglia campale. I carri armati di Saleh hanno ragione dei rivali, si parla di un migliaio di morti. L'altra notte, il primo raid aereo su Aden. Poi la vendetta del Sud. L'aviazione ha colpito l'aeroporto di San'a, il palazzo del Presidente, la sede della radio e della tv. Si combatte anche nelle strade. Altri attacchi su Taiz, l'antica capitale del Nord, e sul principale porto, Hodeida. Duelli aerei si combattono nel cielo di Aden, il Sud annuncia di aver abbattuto cinque caccia. Le comunicazioni con le regioni settentrionali sono interrotte. Le due armate si scontrano lungo la linea dell'antico confine. Nella notte gli aerei del Nord tornano a colpire Aden, in particolare la grande raffineria di petrolio. In tutto il Paese infuria la battaglia. [al. ca.]