Dalla tradizione retorica alla società dei consumi: fra inganni e lusinghe, come vivere la vecchiaia?

Dalla tradizione retorica alla società dei consumi: fra inganni e lusinghe, come vivere la vecchiaia? Dalla tradizione retorica alla società dei consumi: fra inganni e lusinghe, come vivere la vecchiaia? mfjON ignoro che c'è nella ■ nostra storia letteraria » una lunga tradizione retori rica di trattatelli scritti è 11 per esaltare la virtù e la felicità della vecchiaia, dal De senectute di Cicerone, scritte nel 44 a.C. all'età di 62 anni, all'Elogio della vecchiaia di Paolo Mantegazza, scritto alla fine del secolo scorso. Queste opere costituiscono un vero e proprio genere letterario; comprendono, insieme con l'apologia della vecchiaia, la sdrammatizzazione della morte. Il tema è trattato da Cicerone secondo il modulo classico del disprezzo della morte. Anche i giovani muoiono. E poi di che preoccuparsi se l'anima sopravvive al corpo? «Un albergo ci ha dato la natura per fermarvisi, non per abitarvi. Bellissimo sarà il giorno che partirò verso quel divino ritrovo e concilio delle anime, c mi staccherò da questa turba e confusione». Più prosaicamente il positivista darwinista Mantegazza si libera dal pensiero della morte con uno sbrigativo: «Basta non pensarci». Perché tormentarsi al pensiero della morte? E poi la morte non è che il ritorno alla natura in cui confluiscono tutte le cose. Non ho bisogno di dirvi che considero queste opere apologetiche, stucchevoli. Tanto più fastidiose quanto più la vecchiaia è diventata, come dicevo, un grande e irrisolto, difficile da risolvere, problema sociale, non solo perché è aumentato il numero dei vecchi, ma anche perché è aumentato il numero degli anni che si vivono da vecchi. Più vecchi e più anni di durata della vecchiaia: moltiplicate un numero per l'altro e otterrete la cifra che rivela la eccezionale gravità del problema. Mi raccontava un medico che si era trovato un giorno in mezzo ad ammalati che parlavano della vecchiaia e naturalmente si lamentavano. Ma uno di essi interloquì: «Non è che la vecchiaia sia brutta. Il guaio è che dura poco». Davvero dura poco? Per quanti vecchi malati, non autosufficienti, dura, invece, troppo! Chi vive in mezzo ai vecchi, sa per quanti di loro la tarda età è diventata, anche grazie ai progressi della medicina che spesso non tanto ti fa vivere quanto ti impedisce di morire, puramente una lunga, e spesso sospirata, attesa della morte. Non tanto un continuare a vivere, ma un non poter morire. Eppure anche oggi c'è una retorica della vecchiaia che non prende la forma, peraltro nobile, della difesa dell'ultima età contro il dileggio, se non addirittura il disprezzo, che vengono dalla prima, ma si presenta, soprattutto attraverso i messaggi televisivi, come un forma larvata e peraltro efficacissima di captatio benevolentiae verso eventuali nuovi consumatori. In questi messaggi non il vecchio, ma l'anziano, termine neutrale, appare ben portante, sorridente, felice di essere al mondo, perché può finalmente godere di un tonico particolarmente corroborante o di una vacanza particolarmente attraente. E così anche lui diventa un corteggiatissimo fruitore della società dei consumi, portatore di nuove domande di merci, benvenuto collaboratore dell'allargamento del mercato. In una società dove tutto si può comprare e vendere, dove tutto ha un prezzo, anche la vecchiaia può diventare una merce come tutte le altre. Basta guardarsi attorno, allungare il proprio sguardo nelle case di riposo e negli ospedali, o nei piccoli appartamenti della povera gente che ha un vecchio in casa da sorvegliare e continuamente curare, perché non può essere lasciato solo neppure per un momento, per rendersi conto di quanto sia falsa la raffigurazione non disinteressata, ma interessatamente lusingatrice, del «vecchio è bello». Formula banale, adatta alla società del mercato, che ha sostituito l'elogio del vecchio virtuoso e sapiente. Sulle condizioni dei vecchi poveri rinvio alle numerose inchie¬ ste in cui sono loro stessi a recare la loro dolorosa testimonianza, e quella, non meno dolorosa, e in certi casi ancora più compassionevole, dei familiari. Mi riferisco in modo particolare, perché vi ho partecipato io stesso, ad alcune raccolte di scritti e testimonianze come Vecchi da morire (1987) e Eutanasia da abbandono (1988), pubblicate nei Quaderni di promozione sociale, diretti da Mario Tortello. Raccomando soprattutto la lettura del libretto di Sandra Petrigani, Vecchi, la cui lettura mi ha insieme affascinato e rattristato per l'intensità della rappresenta¬ zione del mondo dei vecchi in ospizio e mi ha fatto riflettere sul tema della vita e della morte più che un saggio filosofico. I vecchi che si confidano all'autrice sono quasi tutti senza speranza. Non affiora quasi mai neppure la speranza religiosa. Sono letteralmente dei disperati. (...) Il vecchio soddisfatto di sé della tradizione retorica e il vecchio disperato sono due atteggiamenti estremi. Li ho messi in particolare rilievo per farci riflettere ancora una volta sulla varietà dei nostri umori verso la vita nel pluriverso dei valori contraddittori in cui ci muoviamo, e quindi sul¬ la difficoltà di comprendere il mondo e, dentro questo mondo, noi stessi. Tra questi due estremi vi sono infiniti altri modi di vivere la vecchiaia: l'accettazione passiva, la rassegnazione, l'indifferenza, il camuffamento di chi si ostina a non vedere le proprie rughe e il proprio indebolimento e si impone la maschera dell'eterna giovinezza, la ribellione consapevole attraverso il continuo sforzo, spesso destinato al fallimento, di continuare inflessibilmente il lavoro di sempre, o, al contrario, il distacco dagli affanni quotidiani, e il raccoglimento nella riflessione o nella preghiera, il vivere questa vita come se fosse già l'altra, lacerati tutti i vincoli mondani. La vecchiaia non è scissa dal resto della vita precedente; è la continuazione della tua adolescenza, giovinezza, maturità. Rispecchia la tua visione della vita e cambia il tuo atteggiamento verso di essa, secondo che hai concepito la vita come una montagna impervia da scalare, o come una fiumana in cui sei immerso che corre lentamente alla foce, o come una selva in cui ti aggiri sempre incerto sulla via da seguire per uscire all'aperto. C'è il vecchio sereno e quello mesto, il soddisfatto giunto tranquillamente alla fine delle proprie giornate, l'inquieto che ricorda soprattutto le proprie cadute e attende trepidando l'ultima da cui non riuscirà più a sollevarsi; chi assapora la propria vittoria e chi non riesce a cancellare dalla memoria le proprie sconfitte. Il vecchio, ormai fuori di senno, penoso non a sé ma agli altri, vittima di una crudele penitenza di cui lui e noi ignoriamo la causa. (...) Il mondo dei vecchi, di tutti i vecchi, è, in modo più o meno intenso, il mondo della memoria. Si dice: alla fine tu sei quello che hai pensato, amato, compiuto. Aggiungerei: tu sei quello che ricordi. Sono una tua ricchezza, oltre gli affetti che hai alimentato, i pensieri che hai pensato, le azioni che hai compiute, i ricordi che hai conservati e non hai lasciato cancellare, e di cui tu sei rimasto il solo custode. Che ti sia permesso di vivere sino a che i ricordi non ti abbandonino e tu possa a tua volta abbandonarti a loro. La dimensione in cui vive il vecchio è il passato. Il tempo del futuro è per lui troppo breve perché si dia pensiero di quello che avverrà. La vecchiaia, diceva quel malato, dura poco. Ma proprio perché dura poco impiega il tuo tempo non tanto per fare progetti pur un futuro lontano che non ti appartiene più, quanto per cercare di capire, se puoi, il senso o il non senso della tua vita. Concentrati. Non dissipare il poco tempo che ti rimane. Ripercorri il tuo cammino. Ti saranno di soccorso i ricordi. Ma i ricordi non affiorano se non vai a scovarli negli angoli più remoti della memoria. Il rimembrare è un'attività mentale che spesso non eserciti perché è faticosa o imbarazzante. Ma è un'attività salutare. Nella nmembran- za ritrovi te stesso, la tua identità, nonostante i molti anni trascorsi, le mille vicende vissute. Trovi gli anni perduti da tempo, i giochi di quando eri ragazzo, i volti, la voce, i gesti dei tuoi compagni di scuola, i luoghi, soprattutto quelli dell'infanzia, i più lontani nel tempo ma i più nitidi nella memoria. Quella strada nei campi che percorrevamo da ragazzi per giungere a una cascina un po' fuori mano, la potrei descrivere passo dopo passo, pietra dopo pietra. Nel ripercorrere i luoghi della memoria, ti si affollano attorno i morti, la cui schiera diventa ogni anno sempre più numerosa. La maggior parte di coloro coi quali ti sei accompagnato ti hanno abbandonato. Ma tu non puoi cancellarli come se non fossero mai esistiti. Nel momento in cui li richiami alla mente li fai rivivere, almeno per un attimo e non sono morti del tutto, non sono scomparsi completamente nel nulla: l'amico morto adolescente in una disgrazia di montagna, il compagno di scuola e di giochi precipitato col suo aereo durante la guerra, di cui non si è mai più trovato il corpo e la famiglia lo ha atteso per anni. Ti domandi perché. La morte di Leone Ginzburg in un carcere romano durante l'occupazione tedesca. Il suicidio di Pavese. E ti domandi ancora perché. Ho accennato a molti modi di vivere la vecchiaia. Qualcuno potrebbe chiedermi, ma tu come la vivi? Da quest'ultima parte del mio discorso credo di averlo lasciato capire. Direi con una parola che ho la vecchiaia melanconica, intesa la malinconia come la consapevolezza del non raggiunto e del non più raggiungibile. Vi corrisponde l'immagine della vita come una strada, ove la meta si sposta sempre in avanti, e quando credi di averla raggiunta, non era quella che ti eri raffigurata come definitiva. La vecchiaia diventa allora il momento in cui hai piena consapevolezza che il cammino non solo non è compiuto, ma non hai più il tempo di compierlo, e devi rinunciare a raggiungere l'ultima tappa. La malinconia è temperata, tuttavia, dalla costanza degli affetti che il tempo non ha consumato. Norberto Bobbio Il tema classico del disprezzo per la morte, da Cicerone aMantegazza I oggi è diventato stucchevole I Nella società del mercato l'anziano può divenire merce: ma è la memoria il suo vero mondo e la sua difesa I I Leone Ginzburg, morto in carcere durante l'occupazione tedesca: un amico che Bobbio ricorda nella sua riflessione sulla vecchiaia Norberto Bobbio riceve oggi a Sassari la laurea ad honorem in Scienze Politiche. La cerimonia, con la quale si vuole celebrare la recente istituzione della Facoltà, avrà luogo alle diciotto nell'aula magna dell'Università, presenti il rettore Giovanni Palmieri e il preside Virgilio Mura. Il filosofo terrà un discorso sul tema De senectute. Ne anticipiamo un brano. Cesare Pavese, un altro compagno della gioventù. Nell'immagine grande Seneca, il filosofo stoico che rifletté su morte e vecchiaia

Luoghi citati: Sassari