Daphne torbida madre mia

Daphne torbida madre mia Incontro con la figlia della Du Maurier: escono a Londra le sue memorie d'infanzia Daphne torbida madre mia «Mi ha abbandonata appena nata» PLONDRA REFERI' far da madre a Rebecca piuttosto che alla sua neonata. Per lavo I rare in santa pace al libro più importante della sua vita Daphne du Maurier consegnò la piccola Flavia alla nanny e sparì per nove mesi. La bambina che avrebbe dovuto, nelle intenzioni della scrittrice, essere un maschio, oggi commenta soave: «Il suo bisogno di spazio e di libertà era più grande del suo bisogno di noi. Forse desiderava essere un maschio lei stessa: per non sposarsi e non fare bambini». E' figlia di tanta madre, Flavia, nello sguardo intenso e nel riso lieve; la stessa mandibola quadrata che faceva assomigliare Daphne a una diva altera fa quasi a pugni col candore di questa donna che non usa un linguaggio letterario e non si atteggia a erede di un'arte da cui si è tenuta timorosamente a distanza. Ha appena pubblicato un libro di ricordi d'infanzia che ricostruisce gli anni trascorsi a Menabilly, la grande casa in Cornovaglia che la celebre scrittrice amava «più delle persone». Daphne du Maurier. A daughter's memoir, uscito a Edimburgo da Mainstream, è immemore delle infelicità della madre e pervaso da quelle della figlia: Flavia Leng, 57 anni, si è imposta di restare bambina in queste pagine e di parlare di Daphne come ebbe modo di osservarla allora. Non si è fatta condizionare dalla scandalosa biografia di Margaret Forster, che l'anno scorso rivelò la passione saffica della scrittrice per Ellen Doubleday, moglie del suo editore americano Nelson, e Gertrude Lawrence, attrice e ultima amante del suo infaticabile padre Gerald. «La mamma non era lesbica», smentisce garbata la sua secondogenita. Era al corrente Flavia dell'amore per Ellen, che quasi prostrò Daphne verso la fine degli Anni Quaranta? Nel suo libro ci sonò soltanto due episodi eloquenti: l'incontro tra le due donne a bordo della Queen Mary («Fu colpita subito dalla simpatia e dalla bellezza di Ellen, e stette seduta a rimirare quella visione dai capelli scuri») e l'angustia che colse la scrittrice quando la Doubleday annunciò il suo prossimo arrivo a Menabilly. La Maurier, sull'orlo della crisi di nervi, temeva che la casa non fosse all'altezza della sua ospite e per farle onore le restaurò addirittura un appartamentino. «Ammirava Ellen tremendamente, come donna - è la versione della figlia -. Per lei era una grandissima amica. Con la sua mente d'artista Daphne faceva sempre finta di essere qualcun altro». La voce acuta di Flavia si assottiglia in una risatina da monella. «Perché questo le rendeva la vita più divertente, ecco». Si spiegherebbe così la sua violenta ostilità verso le lesbiche, che definiva con disprezzo «le veneziane» o «gente con la L»? «Sì. Non si considerava tale. Viveva nei panni dei personaggi dei suoi libri. Ellen diede vita a Rachel, in Mia cugina Rachele: e scrivendo di lei Daphne la espulse dal suo organismo». Sempre secondo quella biografia controversa, l'amore con Ellen non fu consumato. Quello con Gertrude sì. «Margaret Forster può pensare quello che vuole - sorride Flavia -. Noi, come famiglia, e altri amici ce l'hanno confermato, non abbiamo notato nulla che esulasse dall'ordina- Ma voi figli vi eravate accorti che vostra madre soffriva tanto? Ellen sarebbe comparsa in un periodo di vuoto emotivo, dopo che vostro padre tornò dalla guerra e la distanza con Daphne si accentuò. «Noi non ci siamo mai accorti di nulla. Quelle affermazioni sono state uno choc. Mio padre e mia madre hanno sempre avuto un fortissimo rispetto e amore reciproco. Hanno sempre fatto in modo di rendere felice la nostra vita in comune. Ma lei non volle mai trasferirsi a Londra: scriveva bene solo a Menabilly. E papà si stancò di venire in Cornovaglia tutti i weekend». Sussurra, con la sua pronuncia staccata, aristocratica: «Probabilmente mia madre sapeva dissimulare molto bene le sue sofferenze: non l'ho mai vista perdere le staffe». E' stato uno choc anche apprendere del poco più che platonico amore di Daphne durante la guerra, Christopher Puxley? Lei ne descrive la casa, in cui avete abitato da sfollati, con il pianoforte che sua madre suonava a notte fonda. «Sapevamo tutto di Christopher. E lui veniva a trovarci a Menabilly. Era un uomo molto affascinante e suadente. Anche in queste caso, vede, lei si era autosuggestionata. Nella sua testa le cose uscivano sempre di proporzione». Certe altre proporzioni nel cuore di sua madre, l'esile Flavia ha dovuto riconoscerle a malincuore fin da bambina. «Il suo senso materno venne fuori tutto d'un tratto quando le nacque il sospirato maschio, Kits. Con me e mia sorella Tessa non aveva mai mostrato nessuna particolare inclinazione verso i bambini». Le femmine finirono per rassegnarsi all'ingiustizia di quella mamma che improvvisamente divorava di coccole il fratello, e non loro. Era lui l'unico essere umano mai ammesso nei pressi della du Maurier che lavorava. Non le è pesato sentirsi esclusa dalla creatività di sua madre, cioè dalla sua vera forza? «Mi irritava, certo. E per farle dispetto cavalcavo il mio pony proprio davanti alla finestra della rimessa dove scriveva. Sì, penso proprio che mio fratello, il favorito, abbia tratto beneficio da quella forza. Non io. Non ho mai osato farle leggere le cose che scrivevo». Quella bellissima mamma che desiderava essere un maschio inculcò a Flavia il disprezzo per pizzi, frappe e gli attributi più frivoli della femminilità. E anche un certo disprezzo per se stessa: «Sei proprio scialba», la prendeva in giro. Col menarca arrivò la mortificazione più cocente: «Ormai non sei più un maschio, soltanto una vecchia ragazza noiosa - notò Daphne -. E quando hai le mestruazioni, sei ancora più scialba». Oggi lei ci scherza su: «Sono stata un incidente, me lo ripeteva sempre. A differenza di Rebecca)). Di comparse, in questa cele brazione filiale ce ne sono davvero poche. «Ecco quel che succede ad avere una madre virtualmente reclusa», arrossisce Flavia, come per scusarsi. «Quando scoprì Menabilly, capì che quella casa era ciò che aveva sempre voluto. Era la sua casa dei segreti, il posto dove poteva veramente essere se stessa, e libera. Amava la sua solitudine, odiava la vita mondana. Faceva qualche eccezione quando andava a trovare mio padre a Londra: ricordo bene il loro amico Douglas Fairbanks junior». Fa un'apparizione affettuosa Noel Coward, ritratto mentre soccorre Kits punto da una vespa. Di Margot Fonteyn la piccola Flavia ricorda soprattut to le caviglie: «Mentre sedeva le ruotava, come se le esercitasse». E Gertrude Lawrence si materializza sotto forma di un sensuale pigiama di seta bianco. Ma insomma, verso questa mamma ora latitante, ora apprensiva, che veniva a patti con le proprie turbolenze silenziose soltanto quando i tasti della macchina da scrivere ticchettavano rassicuranti sotto le sue dita, sua figlia ha qualche risentimento? «Nemmeno per sogno squilla Flavia -. E' vero, mi ha lasciato sola, specie durante i primi anni della mia vita. Ma la adoravo. Quando divenni adolescente prese a scrivermi lunghe lettere intime. E quando c'era, c'era veramente: di lei conoscevamo soltanto il lato solare, eia sempre di buon umore. Il lato oscuro, torbido, lo scaricava nei suoi libri». Maria Chiara Boriazzi «Avrebbe voluto nascere uomo ma non era lesbica» «Trascurò me e mia sorella: il suo istinto materno si risvegliò solo col maschio» Sopra Daphne du Maurier col marito e i figli Christian e Flavia Da sinistra, la scrittrice il commediografo Coward e, sopra, Margot Fonteyn

Luoghi citati: Edimburgo, Londra