Quando la Russia scriveva all'estero

Cos'è la letteratura «tamizdat» Cos'è la letteratura «tamizdat» Quando la Russia scriveva all'estero m-i I SILIO e tamizdat-Saggi I1 sulla prosa russa contempi ìporanea. E' il titolo comI i pleto di un grosso volume preparato e pubblicato da un gruppo di studiosi polacchi della letteratura russa all'Università di Cracovia, sotto la direzione del professor Suchanek. Nessuno finora, nemmeno gli stessi studiosi russi, ha voluto o potuto affrontare un fenomeno così vasto, ambizioso e meritorio. Un tentativo, cioè, di sostituire, nel Paese totalitario, la letteratura liberata e affrancata alla letteratura asservita al regime. In due modi: il primo è vecchio, si direbbe tradizionale, l'esilio. Il secondo si chiama tamizdat, un allargamento del samizdat. Mentre nella autoeditoria del samizdat si pubblicavano in clandestinità le opere proibite con mezzi di fortuna, in forma rudimentale e in poche copie passate di mano in mano, il tamizdat (che significa letteralmente «l'editoria di là») fu un notevole passo in avanti, consistette nel pubblicare all'estero i libri non conformisti, scritti in patria, con tutte le gravi conseguenze del caso. Il primo libro del tamizdat, che aprì la strada, fu il romanzo di Pasternak II dottor Zivago portato di contrabbando in manoscritto da Mosca a Milano, e uscito presso Feltrinelli (anche in russo). A volte, anzi sempre più spesso col passare del tempo, avveniva una combinazione di ambedue i modi: ciclostilato o fotocopiato nell'Urss, il libro finiva nelle mani di qualche editore occidentale o russo all'estero. E dopo essere stato stampato, prendeva di soppiatto la via del ritorno tra i suoi naturali lettori sovietici. I manoscritti per «Kontinent» Il professor Suchanek, capo dell'equipe di Cracovia, introduce il volume con un lungo saggio dal titolo che ne è la chiave: La letteratura russa si trova dovunque si trovano gli scrittori russi. La frase è stata coniata da Victor Niekrasov, autore del celebre romanzo Nelle trincee di Stalingrado, premio Stalin, costretto poi all'espatrio, e morto a Parigi. Niekrasov si ricordò dell'orgogliosa (e un po' presuntuosa) battuta di Thomas Mann «la letteratura tedesca si trova dove mi trovo io», adattandola con maggior modestia al caso russo. E' davvero imponente la lista degli scrittori russi, ritratti e analizzati dagli studiosi polacchi: Pasternak, Grossman, Solzenicyn, Shalamov, Vladimov, Zinoview, Vojnovic, Erofeev, Niekrasov, Siniavski, Aksionov, la Achmatova. Di questi, una metà scelse l'esilio, il resto non volle abbandonare il Paese. Bersaglio frequente di varie persecuzioni e angherie Solzenicyn, come è noto, fu espulso; e l'ottimo commentatore delle cose russe Vladimir Bukovski fu scambiato con il comunista cileno Corvalan. Sorprende l'assenza di due ottimi scrittori: Vladimir Maksimov, autore di un romanzo straordinario sulle sette religiose in Russia I sette giorni della creazione e direttore della rivista Kontinent fondata a Parigi. E Andrej Amalrik, morto in esilio in un incidente automobilistico, famoso in tutto il mondo per il breve e brillantissimo saggio Sopravviverà l'Unione Sovietica fino al 1984?, meno (e ingiustamente) noto per l'unico vero e perspicace libro russo sulle condizioni di vita dei contadini russi: L'indesiderato viaggio in Siberia. Chi scrive era legato da grande amicizia a Maksimov, e da lui fu invitato a far parte del comitato direttivo internazionale di Kontinent. Avevo modo di seguire a Parigi il lavoro della rivista e in particolare di vedere i frutti del tamizdat: Maksimov riceveva continuamente i manoscritti dall'Urss, all'inizio sotto gli pseudonimi, poi a viso aperto. Però il personaggio principale di cui si sente la mancanza, nel libro uscito a Cracovia, è Andrej Sacharov. Si dirà, a ragione ovviamente, che non lo si può di certo includere nella «prosa russa contemporanea», che egli è stato uno scienziato con una passione politica e non uno scrittore. Eppure l'impatto di Sacharov sulla vita intellettuale nell'Urss, entrata in agonia (senza che nessuno se ne rendesse conto), era così grande, non esiterei a dire decisiva, da giustificare pienamente un saggio a lui dedicato. Era un classico autore del tamizdat: pagava in patria con vessazioni e il confino a Gorki la regolare, ostinata pubblicazione all'estero dei suoi pensieri (per alludere al titolo del capolavoro di Herzen). Non sarebbe esagerato affermare che in fondo l'opposizione spirituale e mentale nell'Urss girava intorno al continuo confronto Solzenicyn-Sacharov. Pur stimandosi reciprocamente, e non di rado attestando expressis verbis questa stima, rappresentavano due diversi punti di vista. Da una parte Sacharov, un tipico occidentalista laico rigoroso, ammiratore senza riserve della democrazia, istintivamente sospettoso verso le più blande forme del nazionalismo, uomo mite e pieno di umana comprensione. Dall'altra Solzenicyn, piuttosto slavofilo, critico nei riguardi dell'Occidente e della democrazia, convinto che la nuova Russia non potrà evitare un periodo di governo autoritario, profondamente religioso, duro nei rapporti umani, avversario di qualsiasi compromesso. Il loro duello diretto fu provocato dalla Lettera ai capi sovietici di Solzenicyn. I quattro testi della polemica dovrebbero essere ristampati oggi in un volumetto come il miglior esempio della maturità intellettuale russa prima della fine dell'Urss. La lungimiranza di Solzenicyn Rileggendo oggi la polemica Sacharov-Solzenicyn, a chi dei due si tenderebbe a dare ragione? Con tutta la simpatia, affinità e ammirazione che suscita Sacharov, non è possibile negare che Solzenicyn si è dimostrato più lungimirante del suo interlocutore. Guardava più lontano. Si rendeva conto già allora (1974-75), che nella Russia libera ci sarebbero state difficoltà con la democrazia di tipo occidentale, che si sarebbe dovuti passare per un periodo autoritario. Diversamente giudicò Sacharov. Bisogna anche dare atto a Solzenicyn, che consigliò nella sua lettera ai capi sovietici di porre fine alla struttura imperiale dell'Urss, lasciando alle Repubbliche insofferenti la libertà di uscire dall'Unione. Rivolgeva invece un appello all'Ucraina e alla Bielorussia di rimanere legate alla Russia. Ma era soltanto un appello. Gustaw Herling