Berger lotterò per salvare questo mondo impazzito di Cristiano Chiavegato

Berger: lotterò per salvare questo mondo impazzito Berger: lotterò per salvare questo mondo impazzito LA RABBIA DEL FERRARISTA IMOLA DAL NOSTRO INVIATO E' scappato nella notte, dall'ospedale Maggiore. Senza lacrime sul volto, ma con l'espressione segnata che lo faceva diventare più vecchio di vent'anni. Probabilmente è fuggito nel suo rifugio di Worgl, in Tiralo, un villaggio vicino alla mondana Kitzbuhel. Dove ha imparato ad andare forte sugli sci, prima che in auto, dove ha potuto abbracciare l'adorata Cristina, la figlia dodicenne. Gerhard Berger, il pilota che dopo la scomparsa di Senna, diventa uno degli uomini guida della Formula 1, per esperienza e risultati, è uscito profondamente segnato dai tragici avvenimenti di un nero weekend di incidenti e lutti. «Non sarà facile dimenticare raccontava prima di partire -. Anzi non potremo dimenticare. Ma la vita, almeno per noi, continua. In questi giorni si potrà dire tutto e il contrario di tutto. Tuttavia il rischio è il nostro mestiere, una scelta personale. Non voglio fare commenti su quanto è successo. Sono contro tutte le speculazioni che verranno fatte in questo momento di <brti emozioni». Speculazioni, emozioni, polemiche, critiche, accuse. Non vi sembra che il «circus» abbia raggiunto un punto di rottura? «E' vero, siamo arrivati al limite. Bisogna fare qualcosa, correggere certi errori. Resta comunque il fatto che il nostro è un mestiere legato al rischio della vita. Non si può t.jninarlo totalmente, possiamo tentare di ridurlo». Chi se ne occuperà? La Federazione che su certi problemi sembra essere assente? Ecclestone che vede soltanto il business e vuole che lo spettacolo continui, a tutti i costi? Oppure i piloti i quali si sono sempre comportati come pecore, accettando di fare i gladiatori pronti al sacrificio? «Dobbiamo metterci tutti una mano sulla coscienza. Dopo la motte del mio amico Ratzenberger, ci siamo parlati: io, Senna, Alboreto e Schumacher. Ora che Ayrton non c'è più, mi prendo l'impegno in prima persona per sensibilizzare i corridori sul discorso sicurezza». Eppure proprio Gerhard Berger, dopo l'incidente di sabato costato la vita a Ratzenberger, ha deciso di tornare subito in pista. «Parliamoci chiaro. Non facciamo della pura demagogia come hanno tentato di fare altri. Le corse sono pericolose. Roland è morto perché sulla sua vettura si è verificato un guasto imprevedibile, la rottura di un alettone. Se, nell'impatto di un incidente tragico, decidiamo di non correre più, allora tanto vale restare a casa. E questo doveva allora valere per le prove come per la gara, ieri, oggi, domani o fra un anno». Non c'è stato solo Ratzenberger. L'uscita di pista di Barrichello, venerdì, poi la trage- dia di Ayrton Senna... «Onestamente, quando Barrichello è finito contro le gomme, ho avuto come una fotografia di come noi siamo qualche volta così vicini tra la vita e la morte. Adesso so che siamo al limite. Dovevo decidere se ero preparato a prendere certi rischi. Mi sono detto: vuoi o non vuoi correre domani? La risposta è stata: voglio correre». E in gara cosa è successo, perché il ritiro senza una causa precisa? «E' semplice. Mi piace fare il pilota, affrontare i pericoli della guida, dell'agonismo. La mia vettura però mi ha mandato un segnale strano, c'era qualcosa che non andava nella parte posteriore sinistra. Ho pensato: forse è una gomma. Soltanto più tardi i tecnici hanno scoperto che si trattava di un guasto a un ammortizzatore. Ero andato diritto alla chicane, per lo stesso problema. A quel punto sarebbe stato folle continuare. E ho annunciato alla Ferrari il mio rientro ai box. Paura? Forse sì, ma soprattutto non sono un incosciente». Quanta paura dopo l'uscita di pista della Williams di Senna? «Tanta. Nella squadra mi hanno poi detto che sembravo sconvolto. Jean Todt, prima del secondo via, mi ha sussurrato: se non riparti, ti diciamo soltanto bravo. Io ho risposto: se non riparto non risalirò mai più su una monoposto». E poi ai box sono stati travolti i meccanici della Ferrari. «Una scena davvero straziante. Anche in quella occasione ho temuto il peggio. Ma bisognava farsi forza, ero lì e ho cercato di dare il mio contributo. Sono tutti bravi ragazzi. E, loro, non guadagnano miliardi con la Formula 1. Se fosse successo qualcosa di più grave, quello sarebbe stato il dramma vero. Loro, con il rischio, non devono entrarci». Berger parlava in italiano, in tedesco, in Liglese. Fra pause e riflessioni, con gli occhi assenti. Forse pensava ai tre anni trascorei alla McLaren con Ayrton Senna, forse al futuro. Forse alla famiglia, a Cristina, alla compagna Anna. Magari anche al sogno della sua vita: vincere il titolo mondiale con la Ferrari. Pensava se il gioco vale la pena, se i miliardi servono anche, come l'oppio, a provocare l'oblio... «No - diceva -, io sono già benestante, posseggo una bella azienda, tutto ciò che desidero. Voglio fare un mestiere che è una passione, fino in fondo». Cristiano Chiavegato «Ma non facciamo demagogia Il rischio è il compagno di vita di noi piloti» A destra, Gerhard Berger. A sinistra il pilota austriaco Ratzenberger