SINISTRA SENZA ETICA di Giulio Ferroni

SINISTRA SENZA ETICA SINISTRA SENZA ETICA Altre voci nel dibattito su giovani, tv, politica Perché la satira ha preferito la parodia all'impegno? NON dovrebbe tanto inquietarsi Angelo Guglielmi per la sorte di quel «nuovo» a cui tanto tiene, per lo sviluppo e crescita continui della cultura fattuale ed energetica da lui tanto agognata. Non dovrebbe inquietarsi perché, come qualcun altro ha già notato, è stata davvero quella cultura, con la sua Tv e la sua ideologia, a vincere le elezioni! Dietro la scorza del risultato elettorale, si è data la vittoria di quei modi di comunicazione e rapporto, di quegli effetti e di quegli schemi mentali che sono stati sostenuti e promossi dalla televisione «di sinistra»: una televisione che ha cercato una spettacolarizzazione integrale della realtà; una televisione che, pretendendo di far parlare la stessa realtà, ha dato la stura ad un parlato senza confini, ad un'aggressività di massa, a «smascheramenti» a vuoto, ad una comicità narcisistica, ad una dilapidazione e nullificazione fattuale dei contenuti «democratici»; una televisione che ha creduto di rifiutare come «ideologia» ogni etica civile, ogni razionalità critica, ogni responsabilità «pubblica». Di fronte ad un intervento davvero chiarificatore come quello di Cordelli, Guglielmi ribadisce ora la continuità assoluta tra il proprio modello televisivo e la linea di contestazione culturale da lui definita ai tempi del Gruppo 63: e ripropone con dogmatica sicurezza alcuni slogan che possono avere avuto qualche motivazione nell'orizzonte degli Anni 60, ma che non sono in grado di fornire nessun lume critico su di un mondo e su di una cultura che :n questi 30 anni hanno subito mutazioni radicali ed estreme. Gli slogan che il critico ripropone fantasia come fare, pensiero come ricerca, verità come domanda, voontà come determinazione, parola Enrico Ghezzi, « Francesca Sanvitale e Giorgio Montefoschi » che sono stati raccolti e adattati dalla concorrenza berlusconiana: ma in primo luogo, rifiutando di «educare» la coscienza civile globale del Paese, ha educato le vecchie «maggioranze silenziose» sempre in agguato a divenire «maggioranze rumorose» e sfrontate, liberandole da antichi pudori e vergogne, dando la stura a quella cupa aggressività reazionaria che giace nel fondo del corpo sociale di questo Paese. E' stata proprio la sinistra a fornire una «pedagogia rovesciata» alla destra, invitandola ad esprimersi e a riconoscersi senza pudori, a ritrovare la più spregiudicata ed intollerante aggressività; ha aperto la strada al trionfo della politica come apparenza parodica, come effetto pubblicitario, come assoluto karaoke. E non vedo proprio come per tutto ciò si possano chiamare ancora in causa un Gadda o un Celine, la cui viscerale contestazione del linguaggio partiva proprio dall'orrore della costipazione, della violazione, dell'esibizione, dal rifiuto dell'invasione abnorme degli oggetti e della comunicazione degradata. Certo la responsabilità per la situazione attuale non è tutta della televisione; molte sono le cose che la sinistra non è stata capace di vedere e di fare, molti i fantasmi di cui non è riuscita a liberarsi. Ma nella televisione si è consumata nel modo più esplicito la vittoria di un blob infinito, che ovviamente si fa beffe di tutte le riflessioni di intellettuali e ((professori» e riduce naturalmente tutti i nostri discorsi, anche quelli che veniamo qui facendo, ad un'ennesima vuota parodia. Se la sinistra vorrà ripartire, dovrà saper guardare indietro, ritrovare quell'orizzonte razionale, etico, civile, iuuministico, che solo essa può far resistere e «conservare», contro il cieco vitalismo e gli illusori miracoli di un «nuovo» che promette solo apparenza e disgregazione. Continua il dibattito sui giovani, la satira e la jmlitica, a/jerto da Oreste del Buono. Dilxittito die si è allargato ad altri giornali, in particolare dopo l'intervento di/mgelo Guglielmi: su Repubblica Enzo Siciliano ha criticato la «cultura autistica» diRailre, mentre Paolo Mauri l'ha difesa; su l'Unità Corrado Augias ha /xirlato di «cinismo frivolo», capace solo di «decostruire»; gliha replicatoEnricoMentana. Qui seguiranno le ris/mle di Guglielmi e Del Buono. Fiorello, «Karaovano i «contenuti»; cioè alle ipotesi di vita, agli scambi e ai rapporti tra le persone, al senso dell'«esperienza» e della «distanza», della «civiltà» che le forme culturali hanno tradizionalmente mediato. Su questa indifferenza ai contenuti si è sviluppata una comicità che, salvo poche eccezioni, ha trasformato in parodia ogni aspetto della vita e dell'esperienza, creando nel pubblico (non in quello degli smaliziati intellettuali, ma in quello dei comuni spettatorielettori) una vera e propria impossibilità e incapacità di distinguere il parodiante dal parodiato: ogni cosa e ogni persona si sono rovesciate in parodia di se stesse. Il piccolo schermo ha saputo azzerare tutta la «realtà» alla parodia, allo specchio rovesciato di se stessa e cu altro; ha fatto di ogni storia una ripetizione, di ogni tragedia una farsa. Accanto a questa incontrollata «crescita» della parodia, si è imposto il delirio della parola rivendicante e giudicante, l'affermazione mdiscriminata di diritti incapaci di nutrire dubbi su se stessi: si è svolto un sistema dell'informazione come violazione sistematica, negazione di ogni intimità e riservatezza degli esseri umani, esibizione ininterrotta del dolore e della colpa, scempio della stessa giustizia trasformata in spettacolo. Chi ha creduto nel valore dirompente e «democratico» dello shock, ribaltando ogni momento del vivere sulla neutralità dissacrante del mezzo visivo, ha certo elaborato schemi lob» come azione) costituiscono in realtà solo degli schemi vuoti, molto simili a quelli pubblicitari: si pretendono antiideologici, ma si basano su quell'ideologia vitalistica ed energetica che ha variamente percorso questo secolo e che, pretendendo di favorire direttamente l'accelerazione della vita sociale verso il «nuovo», ha quasi sempre avuto esiti autoritari, terroristici o burocratici. Chi non accetta questa ideologia, può da Guglielmi essere facilmente liquidato come «conservatore»: eppure basterebbe guardarsi intorno per comprendere come questo scorcio finale di secolo e di millennio abbia fatto del tutto cadere il mito dell'accelerazione sociale, con tutte le illusorie nozioni di sviluppo e di crescita aU'infinito. Conservatore è oggi chi non è in grado di avvertire la saturazione degli spazi e dei messap,gi, chi rifiuta l'impegno sempre più necessario di pensare e combattere gli squilibri distruttivi che minacciano l'intero sistema civile, chi crede di collaborare ad un «nuovo» ciecamente emergente dal flusso della realtà. Nel quadro «complesso» della società attuale la mera contestazione della realtà e del linguaggio si risolve in collaborazione alla irrazionale deriva che mina equilibri materiali e mentali, in conferma incessante del già dato, di quel movimento di vorticosa degradazione, che trova la sua forma perfetta nella comunicazione pubblicitaria. Veramente agghiacciante appare, in questo contesto, l'indifferenza a quelli che un tempo si chiama- Enrico Ghezzi, «Blob» Fiorello, «Karaoke» Giulio Ferroni