SINFONIA DI BERGMAN

SINFONIA DI BERGMAN SINFONIA DI BERGMAN // regista svedese si confessa in una lunga intervista «All'inferno sarò condannato a rivedere i miei film» a un 'intervista del regista svedese con i critici Olivier Assayas c Slig Bjiirkmann to... E' stata una sofferenza terribile. Il vero Fanny e Alexander dura cinque ore e mezzo, e dev'essere visto in una volta sola». Il regista che ha «creato per tutta la vita» non crede all'ispirazione: «Penso che l'ispirazione sia un'idea romantica, l'idea che le cose vengano da Dio. Ma se non si crede in nessun Dio, se si crede semplicemente nel proprio lavoro e non nell'ispirazione, si crede nella propria personale capacità creatrice, nell'esperienza, nell'applicarsi. Io credo nell'applicazione. Sono molto pedante e cerco, almeno nel mio lavoro, di essere onesto». Detesta l'estro e l'autoindulgenza anche negli interpreti: «La mancanza di tecnica è per un attore una cosa molto, molto pericolosa. Un attore dotato, sprovvisto di tecnica, è completamente perduto». E rimpiange Liv Ullman, una delle sue ex mogli: «Non recita più, è molto triste, è un vero peccato. Lavora per rimesco, gira il mondo, organizza seminari, trovo che faccia tutto ciò magnificamente, ma è un peccato! La macchina da presa la amava». Bergman si vanta d'essere uno dei pochi cineasti al mondo che ami vedere i film degli altri: «Devo aver visto II bandito della Casbah di Duvivier almeno venticinque volte». Parla senza reticenza delle sue crisi, anche della più bruciante, originata nel 1980 da Sinfonia d'autunno e dal giudizio d'un critico, «Bergman ha cominciato a fare Bergman»: «Il disastro per Tarkovskij è iniziato quando ha cominciato a fare Tarkovskij. A parte qualche eccezione, nell'ultimo tempo Fellini ha fatto Fellini. E Bunuel negli ultimi vent'anni di vita non ha fatto che Bunuel. Purtroppo, penso che quel critico avesse ragione, perché avevo fatto Bergman. Detesto quel film. Bergman detesta fare Bergman...». Adesso può non preoccuparsene più. Il suo distacco dal cinema è stato pragmatico e non ha nulla di patetico. Oggi il maestro non è felice, ma neppure infelice: «Non ho vocazione per l'amarezza».