BERNHARD IN FUGA DAL SOMMO INFERNO

BERNHARD IN FUGA DAL SOMMO INFERNO BERNHARD IN FUGA DAL SOMMO INFERNO Un bambino» sopravvissuto a guerra e famiglia DURANTI : LA TV FALSA L'UTOPIA // «Progetto Burlamacchi» « Thomas Bernhard: «Un bambino» è la quarta e ultima parie della sua UN bambino ha titolato lo scrittore austriaco Thomas Bernhard la quarta e ultima parte della sua autobiografia che Adelphi ci propone nella splendida traduzione di Renata Colorai. Non se stesso, ma un ragazzino di otto anni che vive sullo schermo del tempo, a una distanza che solo la parola sa colmare. Strano e un po' paradossale: in un autore che a teatro e in prosa crea personaggi così intonati alle proprie ossessioni, le pagine autobiografiche scavano un impercettibile solco verso il loro interprete. Non un monumento all'infanzia, ma l'impersonalità della letteratura: ecco un primo messaggio dal libro. E' in tale spazio che sensazioni e avvenimenti, figure e cose, biografia e storia ritrovano una traccia, segnano un percorso, un senso. Che esso si dimostri, a conti fatti, terribilmente vuoto, segregando aspirazioni e libertà in un mondo di folli coercizioni, fa parte dell'universo di Bernhard. I tasselli dell'infanzia sono tutti, a caso, scivolati fuori posto e il disegno complessivo suggerisce una totale disarmonia, immagini affastellate di sconfitte, di delusioni. Ma non è il solito repertorio d'incomprensioni fra grandi e piccoli, fra impulsi giovanili e prescrizioni patriarcali. In queste pagine vibra lo stupore, quasi la vitalistica gioia, d'essere sfuggiti al grande Caos, al sommo Inferno. Bastava un nonnulla e un destino ingrato l'avrebbe fatta da padrone ingoiando non solo i resti di quell'infanzia, ma la vita intera. E' su questa linea di rischio costante che lavora l'autobiografia: il soggetto scrive dalla roccaforte della letteratura come un sopravvissuto. Scampato a malapena agli umori di una madre che lo sente come un peso (il padre si è volatilizzato ancor prima della sua nascita), sottrattosi ad una scuola becera e violenta, reduce da un istituto di rieducazione nazista nella foresta turingia, il piccolo Thomas, che questo volume segue fino all'entrata nel collegio di Salisburgo a tredici anni, vive i capitoli di un romanzo di deformazione. A confronto col suo mondo, perfino le disavventure adolescenziah' di un Hesse o del Tòrless di Musil risultano gioiosi intrattenimenti. E Copperfield diventa lo stereotipo di un bambino ultrafelice. Eppure Bernhard sa incantare, anche nel terrore, anche nella disillusione. Il suo minuscolo io nel cratere della guerra, che scruta stormi di bombardieri in volo verso Monaco o coglie al volo le lussuose carrozze deU'Orient-Express come le nicchie di una favola multicolore, scivola sull'onda della leggerezza. Di fronte al massiccio, opaco peso della Storia questo fanciullo corre via: cerca identità e affetto, sicurezza e slancio. Lui, un incorreggibile piscialletto, diventa un eroe, un gladiatore. E' applaudito dai coetanei, ammirato dagli insegnanti: arriva primo in ogni tipo di corsa. Ha iniziato a gareggiare con la vita, fino all'ultimo respiro, pronto a ingolfarsi nella sconfitta più amara. Inforca la bici del proprio tutore, una vecchia SteyrWaffenrad, e si lancia verso Salisburgo, lontana come il paese dei suoi sogni. Così principia questo libro, con la leggerezza che tanto sarebbe piaciuta a Italo Calvino: un bambino che fugge verso se stesso, con una meta che gli si sbriciola fra i piedi man mano che pedala, due ruote troppo HO sempre trovata sospetta la figura dello stroncatore accanito e feroce, che pure va abbastanza di moda, perché, da un lato, mi sembra assurdo e autolesionista leggere un'opera che deve subito essere apparsa come insopportabilmente brutta, e poi volerne perfino parlare. Dall'altro lato, è un atto ambiguo quello di dare tanto rilievo, sia pure negativo, a un libro che non vale nienfe, tanto più che è ormai una sentenza banale quella che proclama il vantaggio, per l'autore, di essere in ogni modo discusso, anche se per dirne male. Nei confronti di Progetto Burlamacchi di Francesca Duranti il giudizio negativo è stato presso che unanime; e tale accordo potrebbe anche indurre a credere che la Duranti abbia, questa volta, sbagliato, se non fosse che gli stessi stroncatori di Progetto Burlamacchi sono andati, prima e dopo la stroncatura, lodando e, in qualche caso, esaltando, libri di scarso valore come se fossero capolavori. H romanzo della Duranti ha molte e alte ambizioni: anzitutto, quella di proporre una nuova utopia, mezzo informatica e mezzo archeologica, in un tempo in cui le utopie sono o morte o non ancora formate. Così abbiamo una mescolanza curiosa di modernità e di antica ambientazione fra l'aristocratico e il campagnolo, di televisione come suprema celebrazione del vuoto mentale, dello spettacolo per un pubblico che vuole vedere e ascoltare esattamente quello che si aspetta per abitudine, e di ima villa fatiscente, nella quale c'è perfino un fantasma, e di miracoli medievali e moderni ugualmente impossibili perché sarebbero l'attuazione di quell'utopia che da sempre la storia e le istituzioni hanno negato. C'è il solitario Antonio Micheli, professore di informatica a Lucca, che, abbandonato dalla moglie, organizza con gli allievi, per una volta entusiasti, un progetto di storia alternativa rispetto a quella accaduta, ponendo appropriate domande a un calcolatore su come sarebbe mutata l'Italia se la rivolta di Burlamacchi, nel 1548, avesse avuto successo invece di portare il promotore alla decapitazione, e a Lucca fosse stata introdotta la riforma protestante per il rinnovamento radicale del cristianesimo contro la Chiesa di Roma. Il professore è convinto che, di fronte alla storia come luogo di ciò che è accaduto, sia bene porre l'infinita raggiera degli eventi che sarebbero stati possibili e che non sono stati, ma che, anche dalla piccola repubblica di Lucca, avrebbero potuto dare una svolta al mondo. Così, la carica di entusiasmo utopico non si perderebbe, anzi si po- autobiografia grandi e tanta inesperienza. «Come tutte le imprese che iniziavo - si legge -, anche questa la spingevo fino all'estremo». Ecco un tratto ostinatamente autobiografico, ma anche il percorso di tutta un'opera letteraria. E' la somma di gesti senza grandi speranze, la coercizione a ripetere (che in Bernhard diventatura retorica), il bisogno di non mollare sapendo tuttavia che la vita, come dice un personaggio del suo teatro, «consiste in ciò: nel vanificare le domande». Un bambino non va però letto come un'antologia di motivi letterari o una metafora un po' dimessa dell'opera di Bernhard: meno che mai come un gioco di riflessi e di nostalgie. E' un libro feroce, dove lo scrittore distrugge ogni mito, ogni possibilità d'infanzia. Anzi, ogni illusione pedagogica. In un mondo infame, poco resta da salvare. Perciò la testimonianza diventa essenziale e la leggerezza con cui si corre verso la sconfitta un'arma astuta per depistare il destino. E' un modo anomalo di vivere: un po' marginale e ossessivo fino alla disperazione. Il modo di suo nonno, scrittore senza successo e suo unico maestro: una voce intonata alla resistenza, al disaccordo. L'angelo buono e saggio nell'inferno della quotidianità in cui rintrona il ruggito nazista. Ma lui, Thomas Bernhard ha ormai inforcato la bicicletta e già corre verso la propria opera. Leggero e al riparo dalla vita, dietro la sua scrittura amara. Francesca Duranti: fantasmi, rivolte trebbe proporre oggi qualche novità e trasformazione nel cuore dell'attuale situazione negativa della storia e della vita condizionate dalla televisione. Accanto, gli viene a un certo punto il diciottenne Ruggiero Pacini, che vive con i parenti nella vecchia villa delle colline fra Lucca e Pisa, dove la madre coltiva funghi per guadagnare quanto permetta alla famiglia di tirare avanti, visto che il padre, folgorante rivelazione da giovane come commediografo, si è chiuso subito dopo in un ozio assoluto. Ruggiero scopre in un vano murato della casa la vera statua del Volto Santo venerata a Lucca, rapita nel 1273 da un pittore per costruirvi intorno un miracolo capace di scuotere le ottuse coscienze mercantili dei concittadini lucchesi; e insieme con la statua anche la pergamena in cui il trafugatore spiega come sono andate le cose (con la conseguenza, di cui Ruggiero si rende subito conto, che allora la statua della chiesa di San Martino a Lucca è una copia). Il ragazzo dapprima vorrebbe dare la notizia per televisione, nella trasmissione guidata da uno studioso di arti figurative trasformatosi in cinico presentatore di successo; poi si accorge che sarebbe un errore e allora fugge a casa senza aver detto nulla, ma il presentatore, Alvise Furlanetto, sospetta qualcosa di insolito e di importante, lo segue e viene messo al corrente della scoperta della statua. Furlanetto con il più gretto cinismo cerca di convincere Giulia, la madre di Ruggiero, a vendere la statua per moltissimo denaro a un petro¬ Luigi Forte Thomas Bernhard Un bambino trad. di Renata Colorni Adelphi. pp. 147. L. 20.000 , statue ritrovate nel suo romanzo liere texano, e arriva fino a tentare di sedurre Giulia; ma proprio nel momento culminante gli appare il fantasma del rapitore della statua (morto fulminato durante un temporale), e allora anch'egli si converte all'idea di sceneggiare televisivamente il miracolo della statua ricomparsa per sollecitare gli uomini a un esame di coscienza. Il miracolo televisivo fallisce miseramente, come ogni utopia. E qui è forse il limite del romanzo, perché, di fronte al luogo comune della decadenza e della volgarità dei tempi, la riuscita paradossale di un'utopia così sgangherata sarebbe pur stata una bella novità narrativa. Ma il romanzo è costruito con intelligenza e con ironia fresca, anche nell'alternanza della terza persona con.la prima di Alvise Furlanetto che manda relazioni sugli accadimenti a un'amica, critica d'arte, e nella successiva apparizione in scena, di volta in volta, dei vari personaggi così fortemente caratterizzati nelle loro manie e nelle loro bizzarrie, all'interno della stranezza della dimora campestre in grave stato di decadenza. E il tema non è usuale, né è trattato banalmente. Non sarà, allora, che gli stroncatori appartengano un poco almeno alla categoria degli Alvise Furlanetto prima della visione del fantasma dell'utopia? Giorgio Bèrberi Squarotti Francesca Duranti, Progetto Burlamacchi Rizzoli pp. 220. L. 24.000 «Come la vita»: » Taibo inette a soqquadro una cittxì mineraria corruzione, di povertà e marginalizzazione. Condizioni che hanno portato alla violenza, alla disperazione, alla rabbia; a quell'insofferenza sfociata nei recenti avvenimenti di Chapas; quasi, sembra, presagiti da Taibo: «... passano i minatori, in fila per quattro, con leve e picconi, con bastoni. Il rumore della folla cresce...: "Se ne vadano, non hanno niente a che fare con la nostra città. Nessuno può negoziare la nostra libertà. Nessuno può venire a dirci come vogliamo vivere, cosa vogliamo fare dei nostri giorni, delle nostre passioni, delle nostre esigenze... Nessuna assemblea di deputati venduti che striscia di fronte al potere centrale può decretare che non esistiamo. Noi siamo qui! Siamo la città di Santa Ana! E non ci saranno voci, voti, giornali, o carri armati in grado di negare questa semplice ma definitiva realtà: noi esistiamo. Esistiamo e come. Noi esistiamo. Santa Ana vincerà!"». Giuliano Soria