«Sul mostro indagini da bocciare»Il presidente in aula: troppe le lacune

Firenze, a carabinieri e polizia: «Avete scambiato i luoghi dei delitti per una passeggiata» Firenze, a carabinieri e polizia: «Avete scambiato i luoghi dei delitti per una passeggiata» «Sul mostro indagini da bocciare» //presidente in aula: troppe le lacune FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Sulle indagini, sul lavoro degli investigatori sembra non ci sia molto da contare. Altro che criminologia d'alto livello, o uso della scienza del comportamento: qui par di essere di fronte a qualcosa che somiglia a un disastro investigativo. Enrico Ognibene, il presidente della corte d'assise, lo sottolinea senza mezzi termini. Primo segnale, a metà mattina, mentre viene descritto il delitto n. 6, Galluzzo, 9 settembre 1983, vittime due giovani tedeschi: Jens Huwe Ruesh e Horst Meyer. Una tappa importante perché il mostro sbaglia obiettivo, pensa di trovarsi di fronte a una coppietta e rimane deluso, tanto da rinunciare ai suoi macabri riti. Ma ci sono altri indizi: un blocco da disegno, che pare appartenuto a una delle vittime, vien trovato in casa Pacciani e anche un portasapone, forse di quei ragazzi, salta fuori in una perquisizione a Mercatale. E poi il maniaco ha fatto fuoco anche attraverso le lamiere, un vetro non è andato in frantumi: insomma, ci sarebbe la possibilità di stabilire con ragionevole approssimazione la sua statura. E invece no. Depone l'ispettore Giovanni Autorino, della Scientifica. C'è tutto in aula per assistere alla rivelazione: il poliziotto super-preparato, il maxischermo su cui vengono proiettate le immagini del furgone Vw dove trovarono la morte i ragazzi, il laser rosso che sottolinea i particolari. «A che altezza sono i fori nella carrozzeria?», chiede il pm Canessa, certo di una risposta semplice e sicura. «Non furono fatte misurazioni». Perché? «Erano intervenuti per primi i carabinieri e noi avevamo fatto alcune foto per portare a casa qualcosa a futura memoria». Acido, La Confcommercio de interviene il presidente: «Ma eravate lì come a fare una passeggiata? E' gravissimo che non siano state fatte queste misurazioni». Tranne Pacciani, che forse segue un pensiero suo, tutti nell'aula fissano il presidente, ma lui è furibondo e prosegue: «D furgone sarà stato restituito ai familiari, le auto degli altri delitti chissà dove sono ora: sono sorpreso per rilievi così scadenti». Certo, è dello stesso parere anche il pm che però deve portare avanti l'accusa e tenta di smorzare la situazione: «Cerchiamo di lavorare su quello che abbiamo». Il fatto è che ciò che ha in mano l'accusa all'improvviso diventa dannatamente instabile. Forse non è il momento più adatto, a ogni buon conto si cerca di stabilire da che distanza siano stati sparati i colpi. Ma anche questo è un problema di soluzione impossibile. Ognibene sbotta ancora: «In tutta questa sciagurata indagine si è persa un'occasione come questa per fare degli accertamenti seri...». Il peggio deve ancora arrivare. Il pomeriggio riserva altre occasioni d'ira. Ora, sulla poltrona dei testi, siede il maresciallo dei carabinieri, Giovanni Leonardi. Era al Nucleo operativo nel 1983. Delle indagini su quel duplice delitto sembra però aver dimenticato tutto. E poi, sul posto lui arrivò tardi rispetto ad altri: «C'erano già carabinieri, polizia, vigili del fuoco... Fare rilievi in quelle condizioni, capisce...». Eh, sì, la Corte capisce. E anche il presidente. Che sibila: «Maresciallo, mancavano i brigidini e poi quella era la fiera dell'Impruneta!». Son questi, dirà qualcuno, gli inconvenienti del processo celebrato col rito semi-anglosassone. E allora, maresciallo, insiste la pubblica accusa, a che altezza erano quei fori? «Un metro e settanta circa, ma è una misura presa a occhio». Il presidente non sopporta: «Quindi, voi nuncia: «Gli strozzini sta senza prendere misure avevate valutato...». Si provano altri temi: una valigia. Apparteneva a Meyer, conteneva gli abiti del ragazzo. Scomparve, non figura nei rapporti, ma un paio di mesi dopo il delitto dalla Germania la chiesero indietro, e fu trovata in un armadio. E prima, quando era stato raccontato il delitto del giugno 1982, era emerso che tre proiettili erano scomparsi, e un preservativo con tracce di spenna era stato consegnato a medicina legale quattro giorni dopo il delitto, quindi non era più utilizzabile. Vincenzo lessandoti :.::;:::w: :.:<xvvv:.v::::::v;.^ L'IDENTIKIT DALLE MICROSPIE aFIRENZE UANDO gli chiedono se abbia qualcosa da dire, il contadino Pacciani Pietro prima di tutto piange. Ma questa è l'immagine pubblica, quella che lui offre ai giornali e alla televisione. In casa è diverso, in casa, rivelano le intercettazioni ambientali, è uno feroce. Ignora di essere ascoltato. Dorme un sonno agitato, di notte si sveglia. Sospetta di tutti. Sono le 4,30 del 16 marzo '92 quando si desta all'improvviso e se la prende con le figlie, quelle che lo hanno fatto condannare per violenze sessuali. Dice: «Se hanno detto qualcosa contro di me, qui taglio il collo a tutt'e due, le ammazzo come capretti, le scanno come un tordo». Poi, come parlando a se stesso, ripete ciò che le figlie dovrebbero di- tanno aumentando» REGGIO CALABRIA. Ucciso (per decisione di una cupola composta da uomini della 'ndrangheta ed esponenti politici locali) perché, costretto ad abbandonare la presidenza dell'Ente Ferrovie dello Stato, travolto dallo scandalo delle «lenzuola d'oro», era rientrato a Reggio proponendosi come uno dei «soggetti attivi» che doveva gestire le centinaia di miliardi stanziati dal governo per il rilancio della città dello Stretto. A decidere la fine di Lodovico Ligato, assassinato nell'agosto del 1989, sarebbero stati, secondo il pm Roberto Pennisi, che ne chiede il rinvio a giudizio, Piero Battaglia (ex deputato e sindaco di Reggio), democristiano; Giovanni Palamara (pure lui ex sindaco reggino ed ex assessore regionale), socialista; Giuseppe Nicolò, che della de è stato segretario regionale negli Anni 80. Con loro, per il pm, responsabili dell'uccisione di Ligato sono alcuni fra gli elementi di maggiore spessore della 'ndrangheta reggina, Pasquale Condello, Santo Areniti, Domenico e Paolo Serraino, Diego Rosmini, indicati come mandanti; Giuseppe Lombardo e Natale Rosmini, sospettati di essere gli esecutori. Ligato quindi sarebbe stato eliminato perché non avrebbe accettato il fallimento della sua carriera di manager di Stato cercando di riciclarsi su Reggio, dove aveva ancora molti amici, come soggetto economico. Per questo si sarebbe servito di una serie di società (alcune delle quali intestate a familiari) che dovevano servire a catalizzare parte del miliardario investimento statale. Un inserimento, come dissero gli investigatori all'indomani della retata di politici e mafiosi accusati dell'omicidio, che lo poneva «come un ingombrante masso che poteva ostruire il "normale" flusso degli appalti». Un tentativo che sarebbe stato punito con la morte quando Ligato non volle accettare i «consigli» di farsi da parte, [d. m.] A sinistra, una scena del delitto del 9 settembre del 1983 in cui furono uccisi Jens Huwe Ruesh e Horst Meyer. Sopra Pietro Pacciani, accusato di essere il mostro di Firenze

Luoghi citati: Firenze, Germania, Impruneta, Reggio, Reggio Calabria