«Le catene non sono una cura» di S. Man.

«te catene non sono una cura» «te catene non sono una cura» Cardella: un metodo inaccettabile Ma la sentenza divide gli operatori ROMA. Qualcuno si arrabbia, altri esprimono la loro comprensione. La sentenza del tribunale di Bari divide chi da anni si batte contro la tossicodipendenza. Un padre incatenava la figlia perché non andasse a drogarsi, i giudici lo hanno ritenuto impunibile perché agiva in stato di necessità. Francesco Cardella, fondatore delle comunità Saman, prova un'enorme pena sia per il genitore sia per la ragazza: «Non mi sento di dire che le catene siano un metodo terapeutico, ma capisco lui». Cardella ricorda un episodio: «Un padre mi raccontò di aver puntato una pistola in bocca al figlio e di avergli urlato: "O la smetti di drogarti o ti sparo". Il ragazzo ubbidì. Non si può teorizzare un sistema terapeutico di questo genere, tuttavia funzionò. 11 consiglio che dò alle famiglie è di rivolgersi a chi, bene o male, affronta il problema in strutture organizzate». Più duro il commento di Piera Piatti, fondatrice della Lenad: «Mi fa orrore qualunque forma di violenza fisica. E' incredibile che si verifichino fatti del genere. Da anni si parla di legalizzazione e di riduzione del danno, e non si porta avanti la ricerca e l'informazione di aiuto a queste persone». I consigli a un genitore? «Fare disintossicare il figlio che si droga. Basterebbero un medico preparato e un piccolo reparto ospedaliero chiuso al pubblico. E invece i Sert continuano a portare avanti la politica del metadone». Contrario al gesto del padre di Bari è anche don Oreste Benzi, che coordina 23 comunità di recupero. «E' una sentenza antieducativa e fuorviante - dice -. Quei giudici hanno premiato l'incapacità di un genitore di creare relazioni valide con i figli. Quella ragazza non era un oggetto da manovrare, ma un soggetto di sentimenti». [s. man.]

Persone citate: Cardella, Francesco Cardella, Oreste Benzi, Piera Piatti, Saman

Luoghi citati: Bari, Roma