«Addio Nixon ultimo pioniere»

«Addio Nixon, ultimo pioniere» Una fila di cinque chilometri per rendere omaggio al Presidente, nella notte i funerali «Addio Nixon, ultimo pioniere» Kissinger: ha ridato coraggio all'America INSIEME ALLA CASA BIANCA Il presidente Bill CELI/ULTIMA settimana di vita di Richard Nixon, mi è capitato di provare a immaginare come avrebbe reagito all'ondata di attenzione, rispetto, ammirazione e affetto suscitata dalla sua ultima battaglia. Certo non si sarebbe rassegnato ad ammettere di seguire questo grande brusio; ma con la sua arte sottile avrebbe deviato la conversazione sull'argomento del giorno. Pur ostentando indifferenza non sarebbe stato capace di nascóndere la sua soddisfazione, né sarebbe stato restio ad ascoltare quel resoconto, ripetuto più di uno volta. E senza dirlo avrebbe fatto capire che sarebbe stato bello per Julie c Tricia, per David e Ed, sentir raccontare dai loro amici quell'apoteosi al termine della sua sorprendente vita. Quando appresi la notizia della sua morte, tanto annunciata quanto difficile da accettare, provai il senso di un'immensa perdita, di un profondo vuoto. Anche se il nostro rapporto era stato professionale più che personale, mi resi conto, per dirla con Shakespeare, che «era un uomo da prendere per tutto quello che era, non vedrò mai più il suo simile». Nella guida della politica estera, Richard Nixon fu uno dei presidenti-chiave degli Stati Uniti. Entrò in carica nel momento in cui le forze della storia stavano spostando l'America dalla posizione di predominio a quella di leadership. Il predominio deriva dalla forza; la leadership dev'essere conquistata. E Nixon si guadagnò la leadership con coraggio e abilità. Quando Nixon prestò giuramento, 550.000 americani erano impegnati in battaglia in un luogo che più lontano dagli Stati Uniti non poteva essere; l'America non aveva rapporti con la Cina, il Paese più popoloso del mondo, né trattative con l'Unione Sovietica, l'altra superpotenza nucleare; la maggior parte dei Paesi musulmani avevano rotto le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, e la diplomazia con il Medio Oriente era a un punto morto: tutto questo durante la peggior crisi interna dai tempi della Guerra Civile. Quando Richard Nixon lasciò l'incarico, il dialogo con la Cina comunista aveva consentito ai nemici di un tempo di concordare su linee di fondo. Allo stesso tempo, Nixon insegnava al suo intollerante Paese che il suo stesso interesse esigeva un duraturo dialogo politico con gli avversari sul piano ideologico e geopolitico, un dialogo che non si interruppe mai e che produsse due accordi per la limitazione delle armi nucleari, pur continuando a contrastare l'espansionismo sovietico. I primi due accordi tra Paesi arabi e Israele dalla costituzione dello Stato ebraico erano stati conclusi, e un terzo era avviato: quel prò- Cito Sha«Era unda prendquello c nton kespeare uomo dere per he era» cesso di pace è continuato fino ai nostri giorni. La guerra dell'America in Vietnam era conclusa, e tutte le truppe americane erano state ritirate. Era in corso una Conferenza per la Sicurezza in Europa che durante l'Amministrazione Ford avrebbe portato alla consacrazione dei diritti umani nei cosidetti Accordi di Helsinki, unanimemente riconosciuti come base del crollo dell'Impero sovietico. Oltre a tutti questi successi, la realizzazione più impressionante di Nixon fu non solo politica, ma anche morale: agire da una posiIB^B zione di forza in un momento di apparente debolezza; amministrare e incoraggiare la capacità di ripresa del Paese attraverso l'incubo del Vietnam, e porre così le basi per la vittoria nella Guerra Fredda. Molto è stato detto e scritto sulle qualità di comando di Richard Nixon. Ma ci sono due tipi di ambizione: essere o servire. Richard Nixon si impegnò per tutta la vita a servire il suo Paese per portarlo dal punto in cui si trovava al punto in cui non era mai arrivato; a colmare il gap tra la tradizione nazionale, che alimentava l'isolazionismo, e la sua visione dell'interesse nazionale, che richiedeva impegno. Questo si è spesso rivelato un cammino solitario, la cui realizzazione non dava gratificazioni immediate, ma il riconoscimento della Storia. Unico tra i Paesi del mondo, l'America rappresentò una creazione cosciente. Nessun altro grande Paese è stato popolato in misura così massiccia da immigranti, o costituito esplicitamente per difendere l'ideale della libertà. Nessuna grande nazione era vissuta senza la minaccia dei vicini, né era stata così protetta da potenziali minacce da due grandi oceani. Tutti questi fattori, uniti a risorse straordinarie, hanno generato quel particolare approc¬ cio americano alla politica estera che oscilla tra l'isolazionismo e la crociata, tanto idealistico quanto pragmatico, istintivamente sospettoso del potere, e quasi imbarazzato a riconoscere l'interesse nazionale piuttosto che quello generale. Ma quando Nixon assunse l'incarico, le distanze si erano accorciate: erano state inventate le armi di distruzione di massa, il margine di superiorità americano si stava erodendo, e il Paese rischiava di perdere l'innocenza, alle prese con una guerra inutile dall'altra parte del mondo. Nixon capì che il suo estremo dovere era evitare che le frustrazioni dell'America diventassero dubbio, e che le tradizionali accuse di espansionismo diventassero un alibi per abdicare al ruolo mondiale del Paese. E' stata una vera fortuna per l'America che il destino affidasse a Richard Nixon la responsabilità di guidarla in quel viaggio. Nessun altro presidente americano capì mai i problemi internazionali con tanta lucidità; nessuno, tranne Theodore Roosevelt, aveva viaggiato tanto o affrontato i leader di altri Paesi con un interesse tanto profondo. Per quanto possa essere stato maldestro in politica interna, diventando minaccioso quando si sentiva in pericolo o astioso quando si sentiva rifiutato, fu sempre sicuro e sereno con i leader stranieri. Per lui, le divergenze in politica estera riflettevano diverse prospettive dell'interesse nazionale o di ideologie contrastanti; per questo non li considerò mai come affronti personali. Questo perché in politica estera Nixon fu infinitamente paziente e analitico, e perché la sua statuta tra gli altri leader stranieri era straordinaria, quando era in carica come dopo. Allo stesso tempo idealista e pragmatico, sognatore e ostinato, Nixon ammirava Woodrow Wilson e ne condivideva l'appassionato internazionalismo e la fede nel ruolo indispensabile dell'America. A differenza di Wilson, non considerava la pace e l'armonia come l'ordine na- ««^—^^ turale delle ' cose. Piuttosto, secondo lui, la pace e la stabilità dovevano essere salvaguardate da un mondo pericoloso con la continua vigilanza e la continua applicazione. Non si vergognò di usare l'interesse nazionale come il principio guida per distinguere le situazioni nelle quali il ruolo dell'America era indispensabile da quelle in cui sarebbe stato soltanto utile. Richard Nixon mise la sua rara capacità analitica e il suo fervente patriottismo al servizio di una massima che era solito ri¬ ti presidente Wood«Ha avutodalla e molto haNon si arr ow Wilson o molto vita sofferto ese mai» petere: «Si paga lo stesso prezzo per fare qualcosa a metà come per farla fino in fondo. Quindi, tanto vale farla bene». Alla guida della politica estera non tenne conto del proprio vantaggio. Per realizzare la sua idea dell'interesse nazionale, rischiò il confronto con i sovietici in Medio Oriente, nel 1970, poche settimane prima di un'elezione del Congresso, ponendo le basi per il successo diplomatico di tre anni dopo. Strinse d'assedio il Vietnam del Nord due settimane prima del previsto summit di Mosca e cinque mesi prima di un'elezione nazionale, gettando le fondamenta dell'accordo finale. Nel 1973, ordinò il ponte aereo per il Medio Oriente e fronteggiò la minaccia sovietica anche mentre si inabissava nella crisi della sua vita. E fu pronto ad affrontare la disapprovazione dei suoi vecchi sostenitori pur di allentare la tensione con la Cina e l'Unione Sovietica. C'era, naturalmente, un'altra faccia di questo uomo così complesso. Alla padronanza della politica estera si accompagnava una profonda insicurezza personale. Ma le sue qualità dominanti erano l'ostinazione e l'autodisciplina. Pur essendo timido e scontroso, riuscì ad avere successo nella più sociale delle professioni e si temprò fino a compiere gesti di straordinaria audacia. E dopo vent'anni di esemplare riservatezza e di disinteressato servizio per i suoi successori, si rivelò un saggio consigliere per gli statisti del mondo. Richard Nixon sarebbe molto orgoglioso di sapere che tutti gli ex presidenti degli Stati Uniti sono al suo funerale, onorato dalla presenza di Clinton, suo fervente oppositore in passato, la cui partecipazione alla cerimonia simboleggia il fatto che il lungo e spesso amaro viaggio di Richard Nixon si è concluso con quella riconciliazione che aveva sempre desiderato. Ora diciamo addio al nostro prode amico. E' salito su vette che sono sembrate sbriciolarsi in abissi. Ha ottenuto grandi cose e ha sofferto molto, ma non si è mai arreso. Chiuso nella solitudine, ha disegnato un nuovo ordine internazionale capace di comporre ostilità dure a morire, rafforzare amicizie storiche, infondere nuove speranze all'umanità. Nonostante tutte le sue insicurezze e i suoi difetti, è stato sospinto, grazie a teribili prove di volontà, a una visione dell'America e dell'umanità nella quale i sogni e le possibilità combaciano. Richard Nixon ha portato a termine la guerra che aveva ereditato, e ha fatto fare un passo avanti alla visione di pace della sua giovinezza quacchera. E' stato fedele alla sua famiglia, ha amato il suo Paese e considerato un onore servirlo. E' stato un privilegio lavorare con lui. Henry Kissinger Los Angeles Times Syndicate e peri Italia La Stampa Si sono svolti stanotte a Yorba Linda, California, alle 16 ora locale, l'una del mattino in Italia, i funerali di Richard Nixon. Ieri per vedere la bara c'era una coda di cinque chilometri: tanto Nixon divenne impopolare quand'era alla Casa Bianca e fu travolto dal Watergate, quanto ora sembra essere rimpianto dagli americani. Ai funerali hanno partecipato tutti i quattro ex Presidenti degli Stati Uniti viventi - George Bush, Ronald Reagan, Jimmy Carter e Gerald Ford - e l'attuale titolare della Casa Bianca Bill Clinton. L'Italia è stata rappresentata dall'ambasciatore Boris Biancheri. La Stampa pubblica il ricordo di Henry Kissinger, che con Nixon fu segretario di Stato. «Quando giurò gli Usa erano soli Fu lui che riaprì il dialogo» Il presidente Bill Clinton ti presidente Woodr Cito Shakespeare «Era un uomo da prendere per quello che era» «Ha avuto molto dalla vita e molto ha sofferto Non si arrese mai» L'ex Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon in Vietnam e con il suo segretario di Stato Henry Kissinger ow Wilson