Ann Schindler mia nonna di Giorgio Calcagno
Ann Schindler, mia nonna Ann Schindler, mia nonna «Col marito salvò tanti partigiani» C'era una Schindler anche ad Almese, negli anni della guerra. Veniva dalla stessa terra del personaggio di Spielberg, è possibile che fosse sua parente. Di certo, contribuì anche lei a salvare parecchie vite, nel centro della Val Messa, conteso ogni giorno fra tedeschi e partigiani. Chi scrive l'ha conosciuta molto bene: era sua nonna. Si chiamava Agnes, era nata nel 1871 a Karlsbad, nei Sudeti, allora città dell'impero austroungarico. Suo padre, Florian Schindler, aveva uno stabilimento termale e nonna Agnes vi aveva conosciuto i grandi d'Europa, compresi Francesco Giuseppe e la bella Sissi («la mia imperatrice», diceva). Lì aveva incontrato, e sposato, un torinese che costruiva ferrovie in Boemia, Stefano Bonino, e lo aveva seguito nel 1900 in Italia. Nella seconda guerra mondiale i coniugi Bonino cercarono rifugio ad Almese, con i loro familiari. E quando i tedeschi posero in paese un loro presidio, per fronteggiare i partigiani della Val Messa, si trovarono a essere le sole persone che sapevano la loro lingua. Sfruttarono questa conoscenza per stabilire buoni rapporti con l'Ortskommandantur, e avvalersene poi per aiutare i giovani della zona, quasi tutti legati alla Resistenza, che incappavano nelle retate. Stefano Bonino, a un certo punto, scoprì di essere la sola autorità del paese, senza averne alcun titolo: ma il podestà si era dileguato, abbandonandogli il municipio. E lui lo mandò avanti fino al 25 aprile, riuscendo quasi sempre a evitare rappresaglie sui paesani. Prendeva a braccetto il comandante tedesco, gli offriva da bere nelle osterie e poi gli chiedeva il riscatto di qualche prigioniero, garantendo per lui: «Un mio caro e buon amico» (e quasi sempre partigiano). Fra le varie persone da lui salvate, la centralinista Jucci Bugnone, che usava il posto telefonico pubblico per mandare segnalazioni ai garibaldini di Rubiana. I nazisti la presero, la mandarono in un campo di concentramento a Bolzano, di dove lei scriveva lettere angosciate alla mamma: «Siamo le serve dei tedeschi, in tutti i sensi». E la povera donna, che non poteva accettare quel «tutti i sensi», mostrò la lettera a «monssù Bunìn». Pochi giorni dopo Jucci tornava in famiglia. Aldo Magnetto, classe 1929, la mattina del 2 gennaio 1945 fu bloccato da una pattuglia fascista mentre andava a far legna. «Mi hanno preso, picchiato e poi portato al comando di Avigliana», ricorda oggi. «Insieme con me avevano preso Mario Raimondo e il fotografo Licurgo. Ci hanno fatto capire che ci avrebbero mandati in Germania. E l'interrogatorio dei tedeschi è stato durissimo». Ma la sera, con sua sorpresa, fu chiamato dal comandante, che aveva cambiato tono. «Ero libero. Solo il giorno dopo ha scoperto che dovevo la mia salvezza all'intervento di monssù Bunìn». Ed erano stati liberati anche gli altri due. Alcuni non riuscì a salvarli. I tedeschi avevano preso sei giovani, in montagna; monssù Bunìn corse dal comandante, ottenne la promessa di una liberazione: erano già stati fucilati tutti e sei, sulla strada. Stefano Bonino è sepolto ad Almese accanto alla moglie. La lapide ricorda, a tutti i paesani, la presenza benefica di quella Schindler, negli anni più bui. Maria Valabrega Giorgio Calcagno
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