Pazzi per Phil Collins il diavolo romantico di Masolino D'amico

Trionfale concerto a Milano con i brani di «Both Sides» Trionfale concerto a Milano con i brani di «Both Sides» Pani per Phil Collins il diavolo romantico New York: nuova commedia dell'ex terribile Albee torna in scena ma non fa più paura Gli sposi ancora in abito da cerimonia, lei in bianco lungo, lui in frac, seduti comodi dietro il mixer, si sono goduti qualche secondo di celebrità, con gli applausi che Phil Collins invocava per loro dai dodicimila fans di Assago. Vittime certamente, i due, del romanticismo lieve, ipnotico e assai professionale che in tutti questi anni ha procurato legioni di appassionati al Collins cantante solista, alter ego del Collins magistrale batterista dei Genesis. Le sue due carriere procedono quiete, in un impiegatizio tran-tran discotour dei Genesis/ disco-tour solista che ha portato l'altra sera il cantautore inglese all'unico concerto italiano qui al Forum, pieno anche di gente umida reduce dalla manifestazione del 25 aprile: perché il quarantatreenne Phil Collins non è solo romantico, è anche una nonstar, un uomo socialmente impegnato che non pensa solo ai miliardi accumulati; è nota la sua battaglia per i senzatetto, seguita all'«Another Day in Paradise» loro dedicata ed eseguita qui in una versione - applauditissima - assai pimpante. Molti che non badano al testo in inglese l'avevano impropriamente scambiata, agl'inizi, per una canzone d'amore, e questo la dice lunga su una certa tendenza del Nostro ad essere musicalmente monocorde; Collins comunque incalza e non dà tregua, legge un foglietto in italiano: «Quando uscite, lasciate qualcosa al banco in fondo per Fratello Ettore, che penserà a distribuirlo. E comprate anche la videocassetta delle prove del tour: i guadagni andranno agli CI SNUO MILANO DAL NOSTRO INVIATO homeless». La paura, all'inizio del concerto, era che Collins ci piazzasse lì tre ore di musica d'atmosfera da tramortire anche i fans più accesi. Il penultimo «Serious Tour» solista, coperto di luci blu, era a rischio di «ron ron» e il nuovo album «Both Sides» che porta in giro adesso non lasciava sperare granché dal vivo, con le sue atmosfere inappuntabili certo, romantiche e/o impegnate di sicuro, ma anche piuttosto ripetitive. Invece qualcuno deve avergli detto qual era il problema, e il buon Phil ha messo su uno spettacolo vivace la cui scenografia ricordava - con scenari di città industriale o di bohème raccolta che le luci di volta in volta rivelavano - addirittura gli show di Prince, re dell'anti-noia. Inizio subito gagliardo, con Collins vestito grunge che scaldava da suo pari i piatti della mitica batteria con «Don't Care Anymore». Poi, via con ballate e ballatone caramellate: «Vai a un party, vedi una, e improvvisamente la tua vita diventa un casino», legge Phil dal suo foglio in italiano introducendo la struggente «I Wish It Would Rain»; «One More Night» e la vecchia «Groovy Kind of Love» fanno piangere il sax; poi, un tamburino sottolinea la marcetta celtica di «We Wait, We Wonder», dedicata alla convivenza dei britannici con il terrorismo. Una omogenea coperta ipnotica si stende, è inutile negarlo, anche sulle sfumature, malgrado Stuemer alla chitarra, Lawson alla batteria e il bravissimo Nathan East al basso intreccino un ottimo accompagnamento alla voce di Collins. Nel secondo tempo, sorpresa, lo scenario musicale cambia con l'innervamento di quattro simpatici fiati che lassù da una balconata stravolgono e vivacizzano anche i pochi brani di «Both Sides». Collins cammina, corre, balla che neanche Mick Jagger, mentre vampate di rhythm'n'blues accendono «Hang In Long Enough», «Missed Again» (dedicata al calcio inglese: ognuno ha i suoi guai), la cover «Easy Lover», fino al funky finale di «Sussudio». Sono passate tre ore e c'è ancora tempo per i bis. Per questa volta, si dormirà a casa. Successone. Marinella Venegoni Presentata una ricerca de NEW YORK. Accanto a quello di Arthur Miller (e non Henry Miller, come è stato scritto erroneamente ieri), un altro ritorno caratterizza l'avara stagione della prosa teatrale americana, quello di Edward Albee, alla cui ultima commedia «Three Tali Women» («Tre donne alte») è stato appena conferito il Premio Pulitzcr, che l'autore di «Chi ha paura di Virginia Woolf?» aveva già vinto più di 25 anni fa. Da molto tempo l'ex ragazzo terribile cercava di tornare al successo; c'è riuscito con un lavoro che dopo un inizio brillante e cattivo quasi alla vecchia maniera, alla lunga si carica di elementi più sentimentali, fino a diventare quasi rassicurante. Il tema, di per sé non troppo ameno, è la morte, con i ricordi e rimpianti che possono accompagnarla. La protagonista è una donna vecchissima (92 anni) e molto ricca, deliziosamente interpretata da un'attrice, Myra Carter, quasi della stessa età del personaggio. Questa donna, indicata come A, e assistita con stanchezza da una specie di governante sciancata (B), deve inizialmente difendersi da una giovane, aggressiva e sciocca legale (C), venuta a contestarle conti non pagati e irregolarità amministrative. Invece di rispondere coerentemente ai quesiti della yuppie, la svampita ma autoritaria signora, che è anche alle prese con le miserie del decadimento fisico - ha un braccio inutilizzabile, è costretta a recarsi continuamente alla toilette parla di sé, rievocando brandelli della sua lunga vita senza attenuare né pregiudizi né arroganza, e nemmeno certi episodi boccacceschi sui propri rapporti col defunto marito, piccolo di statura accanto a lei ma molto generoso. La prima parte (55 minuti) si conclude con la vecchia vittima di Phil Collins l Centro di Cinematografìa un infarto. Nella seconda (60 minuti) intorno al letto dove il suo corpo giace ormai praticamente senza vita, le tre donne ricompaiono vestite alla moda di epoche diverse: ora sono proiezioni della stessa A a 26, 52 e 75 anni, e discutono su come sono andate le cose e come sarebbero potute andare. Assorbita la trovatina, questa zona diventa prevedibile oltre che, come dicevo sopra, conciliatoria. In ogni caso, il pubblico approva, anche data l'eccellente qualità dell'allestimento diretto da Lawrence Sacharow. Nell'insieme tuttavia ci si domanda se la giuria del Pulitzer non avesse avuto un candidato un po' più avventuroso; e si trovano poco convincenti le motivazioni dell'esclusione dalla rosa finale di un testo che da qualche giorno trionfa a Broadway interpretato dalla sua autrice, Anna Deavere Smith. Questa è una non giovanissima donna di colore, che di recente ha prestato la sua faccia sprizzante intelligenza a un personaggio secondario del film «Phi- ladelphia». La Smith costruisce testi teatrali intervistando persone (astanti, autorità, celebrità ecc.) su di un avvenimento preciso, quindi scegliendo e montando brani significativi delle testimonianze a mo' di reportage televisivo: e infine recitandoli lei, così come li ha ascoltati, ossia facendo l'imitazione e talvolta un po' la caricatura dei vari individui. Lo fece tempo addietro a proposito di certi incidenti a Brooklyn; la pièce odierna, intitolata «Twilight: Los Angeles, 1992», tratta invece della sommossa popolare (con 58 morti!) avvenuta all'annuncio dell'assoluzione concessa ai quattro poliziotti teleripresi a loro insaputa mentre manganellavano ferocemente un negro. Da 220 interviste l'attrice-autrice ha ricavato una cinquantina di brevi cammei, che vanno dalla bottegaia coreana alla signora-bene ignara di tutto, chiusa nel Beverly Hills Hotel, dalla zia del brutalizzato al giurato anonimo, dal soprano Jessye Norman al poliziotto assolto. La Smith si cala nei vari intervistati con una strepitosa esibizione di virtuosismo che dura ben due ore e mezzo con una breve intervallo, aiutata da una regia molto agile di George C. Wolfe (fondale nero, luci come sempre qui perfettissime, proiezioni, musiche, elementi come poltrone e sedie che entrano e escono su tapis roulant). Le sue intenzioni sembrano non tanto polemiche, quanto documentarie; più che un senso di sgomento per la situazione di conflitto civile in atto, la serata proietta infatti come una impotenza davanti alla limitatezza delle vedute di quasi tutti i coinvolti. Stimolante, originale evento in ogni caso, e grandi ovazioni del pubblico. Edward Albee, premio Pulitzer Masolino d'Amico

Luoghi citati: Assago, Brooklyn, Los Angeles, Milano, New York