Guerra Serenissima di spie

Tra ciacole, servizi segreti e tresche da convento: torna la grande raccolta di documenti che curò Comisso Tra ciacole, servizi segreti e tresche da convento: torna la grande raccolta di documenti che curò Comisso Guerra Serenissima di spie Così morì la Venezia dei dogi La prima versione fu pubblicata nel 1940: «Moise l'ebreo» si chiamava Mussolin, la censura fascista lo trasformò in Massarin EON largo anticipo sugli Stati moderni, la Repubblica Veneta ebbe due servizi segreti: un «Sismi», tanto per intenderci, che faceva spionaggio e controspionaggio all'estero, e un «Sisde» che si occupava prevalentemente di affari interni. Il primo si serviva della rete diplomatica della Repubblica e la proteggeva dalle cattive intenzioni delle potenze straniere; il secondo, in patria, si serviva prevalentemente di agenti «part-time» e la proteggeva dalle cattive intenzioni dei veneziani. Del secondo sappiamo che nacque il 20 settembre del 1539 quando il Consiglio dei Dieci si accorse che le sue deliberazioni segrete passavano in poche ore dal palazzo alla piazza. Fu deciso di creare una nuova magistratura - gli Inquisitori di Stato - e fu deciso che nessun nobile, se eletto alla carica, avrebbe potuto rifiutarsi di prestare servizio. Comandati a spiare, i tre inquisitori crearono la loro organizzazione. Dovettero reclutare agenti e compensare informatori, ma poterono contare immediatamente sul volenteroso contributo di numerosi «anonimi veneziani». Pettegolezzi e informazioni Venezia era già allora una città chiacchierona, pettegola, maldicente. La geniale trovata del Consiglio dei Dieci consistette nell'usare a profitto dello Stato quel gusto del pettegolezzo e della chiacchiera che metteva continuamente a rischio la segretezza delle sue delibere. Il problema, se mai, era quello di evitare che la magistratura dell'inquisizione venisse sommersa da una massa di false informazioni, «ciacole», vendette private. Quando Giovanni Comisso, grande narratore e inviato speciale, cominciò a spulciare gli archivi segreti veneziani nell'inverno del 1940, scoprì che fra quelle carte erano Se tenete a viagRenault 19 RN Liancora più ricco sepolti due secoli di vita quotidiana: avventure di nobili decaduti, tresche di convento, giochi d'azzardo nei casini della città, amori furtivi nei palchi dei teatri, feste ambigue, letture di libri proibiti, truffe, complotti e scandali. Ne nacque un libro, pubblicato da Valentino Bompiani, che riappare ora presso Neri Pozza (la casa editrice vicentina fondata dall'intellettuale che le dette il suo nome) sotto il titolo .Agenti segreti a Venezia 1705-1797. A prima vista, un'opera innocua, una pagina di storia minore vista dal buco della serratura; e tale fu considerata la prima edizione sino a quando gli occhi di un lettore non caddero sulla lettera di un agente segreto, G. B. Mannuzzi, che durante la Guerra dei Sette Anni denunciò «un certo Moise Mussolin ebreo, partitante per i prussiani (...) il quale in piazza San Marco suscitava discussioni». Correva l'anno 1941, eravamo in guerra a fianco dell'alleato tedesco e l'Italia era dal 1938 ufficialmente «ariana». Terrorizzati i censori del regime passarono il libro al setaccio, raddoppiarono lo zelo e la severità per meglio far dimenticare la loro originale negligenza, scovarono altri peccati in cui nascondere il peccato maggiore e bloccarono la seconda edizione. Il libro uscì dalla storia veneziana per entrare nell'attualità fascista e aggiunse involontariamente un'altra pagina tragicomica a quelle che Comisso aveva raccolto per la sua antologia. Fu negoziato un compromesso, come sempre accadeva in quelle occasioni, e Mussolin divenne Massarin, senza indicazione di fede religiosa. Fu anche necessario sopprimere un passaggio in cui si parlava di un giovane che aveva «un poco il far di femminella» e si alludeva a certi costumi del clero veneziano. Comisso obbedì, ma si permise una raffinata vendetta letteraria. Al posto della pagina soppressa scrisse egli stesso la denuncia di un Ignoto che aveva passato la notte passeggian- e dito loro di portare il tabarro. E gli agenti? A giudicare dall'antologia di Comisso sono, come in tutti i servizi segreti di questo mondo, puntigliosi, ossessivi, maniacali, forse convinti di dare un contributo fondamentale alla salvezza della Repubblica. Fra questi fece la sua apparizione negli Anni Settanta del Settecento una spia di eccezione, Giacomo Casanova. Dopo essersi macchiato di tutti i peccati possibili e immaginabili divenne il loro più severo censore. La denuncia più involontariamente ironica dell'antologia di Comisso è quella in cui Casanova descrisse (?) le feste licenziose nei palchi del teatro di San Cassano. «Lunne di malavita e giovanotti prostituiti scrisse agli inquisitori il 1° dicembre 1776 - commettono ne' palchi in quarto ordine que' delitti che il governo, soffrendoli, vuole almeno che non sieno esposti all'altrui vista». Erano gli stessi delitti che Casanova aveva commesso per tutta la sua vita e descritto con grande compiacimento nelle sue memorie. greti, desiderava soprattutto evitare che i nobili si montassero la testa e facessero a gara per procurarsi lusso, prestigio, potere. Mai Stato moderno fu al tempo stesso così aristocratico ed egualitario, sfarzoso e austero, etico e immorale. Per certi aspetti va alla Repubblica il dubbio merito di aver anticipato i grandi Stati ideologici del ventesimo secolo. Fra la toga nera che la Repubblica imponeva ai nobili del Maggior Consiglio e la blusa militare che Stalin imponeva di fatto ai membri del Comitato Centrale corre una lontana parentela. Ma i documenti raccolti da Comisso appartengono al periodo della decadenza, quando il Consiglio dei Dieci lanciava grida inascoltate e i nobili sapevano che nessuno avrebbe impe¬ L'epilogo del libro di Comisso è malinconico. Gli Inquisitori fecero il loro dovere sino all'ultimo momento informando fedelmente il Consiglio dei Dieci sulle trame e sui complotti che si preparavano a Venezia per ispirazione dei francesi. Al momento della resa Buonaparte dettò le sue condizioni: volle che la Repubblica consegnasse nelle sue mani i tre Inquisitori di Stato e il comandante del forte di Sant'Andrea, colpevole di essersi opposto all'avanzata di una nave francese di fronte al Lido. Il doge Manin e il Maggior Consiglio cedettero perché «el rifiuto non faria che portar l'eccidio de tutta la città». Così morì la Repubblica. Le sue spie erano meglio dei suoi reggitori. peccato era di gran lunga l'inosservanza delle regole suntuarie. Erano colpevoli di gravi mancanze i nobili che indossavano il tabarro, trascuravano di coprire il volto con la maschera nei giorni di Carnevale, conducevano vita dispendiosa e licenziosa, giocavano smodatamente d'azzardo. Venivano poi i con¬ tatti con gli stranieri, il possesso di «libri oltremontani» (Rousseau, Voltaire, Mirabeau), l'esportazione di segreti industriali per la fabbricazione del vetro e la costituzione di logge massoniche. La Repubblica era occhiuta, sospettosa, diffidente. Temeva gli stranieri, conservava gelosamente i propri se¬ cinture con pretensionatore elettronico, poggiatesta con bloccaggio di siguida a triplice regolazione anatomica, chiusura centralizzata con telegarantiti fino alla consegna. RENAULT 19. TUTTE LE TENTAZIONI D Il momento della resa Sergio Romano curezza, sedile di ecomando. Prezzi ELLA QUALITÀ'.

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