Da Orazio a Gadda il dilemma eterno tra fuga e mischia
Da Orazio a Gadda il dilemma eterno trafuga e mischia Da Orazio a Gadda il dilemma eterno trafuga e mischia ASCRIVETE appartati. FirL ' mate. Rientrate nell'omm bra», diceva Pierre Louys, il I J raffinato pornografo di «La hJA femme et le pantin», bello e timidissimo. «Bisogna chiudere porte e finestre, chiudersi su di sé come un riccio» predicava Flaubert asserragliato con maman a Croisset, a parte le faccende con Louise Colet e l'assiduità presso le puttane. «Cabina del capitano» era chiamata dai figli la stanza dove Balzac lavorava più volentieri. Tutti cervelloni sempre chiusi nella torre d'avorio? 0, come ammetteva Jules Renard, «non ho torri, ho solo un quaderno d'avorio...»? Macché torri; o meglio, sì torri che però assomigliano a osservatori dotati di potenti strumenti per scrutare non tanto il cielo quanto la terra; scandagli o periscopi per vedere meglio, se possibile senza essere visti. Perché i grandi scrittori forse hanno questo di comune, da Orazio a Gadda, magari a Calvino: partecipare, buttarsi nella mischia da cui trarre la linfa vitale per le loro opere, però sapendo di avere alle spalle il rifugio, la tana (il castello?), l'alessandrino Vittoriale di D'Annunzio o la casa borghese sul lungotevere di Moravia, in cui scomparire, o, quando occorre, fare almeno la salvifica «finta». Difficile categoria. La voglia di capire quanto vi sia di sovrastruttura, di gioco che l'artista usa per ripararsi da una sempre difficile realtà, e quanto invece di partecipazione e spesso di passione civile (una buona curiosità anche per oggi), è la molla che ha probabilmente spinto Giuseppe Scaraffia a scandagliare nella vita e quindi negli «intérieur», studi, saloni, bagni e alcove, vale a dire nella storia segreta, di una nutrita serie di poeti e narratori, ognuno grandissimo. Da buon francesista ha scelto l'800 transalpino, paurosamente ricco di geni, e ha scritto, ora in uscita da Sellerio, Le Torri d'avorio, titolo non a caso jamesiano d'un libro strano e serio dove, uno a uno, compaiono tutti, da Chateaubriand a Apollinaire, a raccontare come e dove sono vissuti, mettendo alla fine a nudo virtù e vizi. Ed ecco Baudelaire nascondere, come Beardsley, i libri negli armadi; Hugo far ballare i tavolini in eroicomiche sedute spiritiche; Anatole France riuscire ad addormentarsi solo con un incunabolo tra le braccia; Valéry Larbaud costruirsi una stanza come la sala strumenti di una nave e identificare la propria torre d'avorio nelle appena nate valigie Vuitton... Perché? Questa è tutta gente amante dei viaggi? «Per nulla, a parte Larbaud, a parte naturalmente Loti, e Hugo costretto, dalle sue posizioni "progressiste" a rifugiarsi prima in Belgio, poi a Jersey e a Guernesey rassicura l'autore ricordando che «quando Maxime Du Camp va a trovare Flaubert con cui deve parti- NON ci si può distrarre un attimo. Il gran tapis roulant del presente ti scappa via da sotto i piedi e ti porta dove vuole lui. Tocca riprendere le misure continuamente, rifare le mappe, aggiustare le enciclopedie. Non se ne stanno fermi un attimo, quelli là. Esempio minimo, ma neanche poi tanto: Jovanotti. Ero rimasto a quando era Jovanotti, cioè uno che detto il nome era detto tutto, al confronto Dorelli è un nome d'arte da intellettuale. Nella mappa più o meno consapevole di quel che c'è, se ne stava tranquillamente nelle zone del cretinismo giovanile, zona rassicurante perché non interroga l'intelligenza e non dà fastidio, almeno fino a quando quei giovani lì non vanno a votare, e allora capisci cne magari qualche domanda bisognava farsela, ecc., ecc. Comunque. Uno di certe cose se ne accorge sempre dopo. Per intanto Jovanotti se ne stava lì, e non me ne poteva fregar di meno. Poi un giorno becco Cecchetto
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