Philby all'asta una vita da spia di Fabio Galvano

POLEMICA. La vedova russa vende per sopravvivere, ma l'Inghilterra insorge POLEMICA. La vedova russa vende per sopravvivere, ma l'Inghilterra insorge Philby, all'asta una vita da spia Da Sotheby's libri, lettere e oggetti personali dell'uomo che tradì il Foreign Office per l'Urss LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Una vita in 128 lotti: sarà un'asta a riaprire una ferita mai completamente rimarginata della Guerra Fredda. Sotheby's annuncia -18 luglio - la vendita della biblioteca e di numerosi oggetti personali appartenuti a Kim Philby, il «terzo uomo» accanto a Burgess e Maclean nella più complessa storia di spionaggio per l'Urss dall'interno dei servizi segreti inglesi, fuggito a Mosca nel 1963 e diventato poi colonnello del Kgb con incarichi d'istruttore per le spie sovietiche. Nasce una «spy-mania»; e al ricco bottino che si prevede per l'asta - 100 mila sterline, circa 250 milioni di lire - già si affiancano sorpresa e indignazione. Sorpresa perché Rufina - la vedova russa di Philby, morto nel 1988 a 76 anni - ha deciso di vendere spinta dal bisogno («La pensione del Kgb non basta, questi soldi mi servono per mangiare»). Indignazione, dall'Inghilterra che non ha dimenticato quella sua pagina nera, per i frutti postumi del tradimento: «Una vergogna», sibila l'ex ambasciatore a Mosca Sir Patrick Reilly, esprimendo il disgusto di tutto il Foreign Office. Ancora oggi - e la vicenda dell'asta ne è la prova - Philby offende. Lui più di Burgess e Maclean, e quasi quanto il «quarto uomo» Anthony Blunt, l'esperto d'arte della regina Elisabetta smascherato soltanto nel 1979: perché lui, più degli altri, era il tipo d'inglese in cui l'establishment si riconosceva, colto e gioviale, distinto ed elegante, buon parlatore e fine pensatore; e per questo ancora più vituperato nel tradimento. Ma sono i casi della vita; e Rufina Philby, 61 anni di cui 18 trascorsi al fianco della superspia di cui fu la quarta moglie, non ha pentimenti. «La mia esistenza migliorerà se posso comperare della frutta o un limone», dice dal suo apparta- Che business con i cetacei I delfinari educano? Niente affatto. Una prigione non avrà mai finalità educative. E cosa è un delfinario se non una galera di cemento e acqua che imprigiona animali dalla vitalità straordinaria che in libertà, ogni giorno, percorrono migliaia di chilometri a velocità elevatissima? I delfinari sono un business come lo sono gli zoo e i circhi con animali. Oggi più che mai queste strutture cercano ed ottengono il sostegno di compiacenti «scienziati» per mascherare le loro finalità di lucro e sostenere quelle della presunta funzione scientifica; ma non c'è niente di nuovo sotto il sole: dall'ineffabile Andrew Ure che sosteneva come «il lavoro dei fanciulli nelle fabbriche inglesi fosse giovevole alla loro salute e alla loro formazione di buoni cittadini», agli attuali «esperti» sostenitori della schiavitù degli animali. Fortunatamente ovunque sono in atto campagne finalizzate all'abolizione dei delfinari, Fondazione Bellerive in testa guidata dalla moglie dell'Aga Khan; ricercatori di fama mondiale come il dr. Jeremy Cherfas hanno reso pubblici gli studi sulle condizioni di vita dei mammiferi acquatici nei delfinari: la durata della vita ridotta di un terzo, la sofferenza da stress sia fisico sia psichico, le patologie causate dall'innaturalità dell'ambiente e gli innumerevoli conseguenti decessi. Serena Sartini, Rimini vicepresidente nazionale Animai Liberation Non badare alle maldicenze Ho letto con interesse l'articolo a pag. 13 del 13 aprile: Vittima della maldicenza, relativo alle traversie della signora in oggetto. Effettivamente nel nostro Paese a volte il pettegolezzo e la mento poco lontano da piazza Pushkin, dove abitava con il marito e che ora divide con l'anziana madre vivendo della magra pensione (60 mila lire il mese) che le passa il Kgb: «L'appartamento ha bisogno di riparazioni, i mobili vanno a pezzi. Ci sono troppi buchi nella mia vita e forse, se mi avanza qualcosa, potrò anche viaggiare». Patetica reliquia di altri tempi e di un'altra Russia, Rufina ha tenuto solo una parte dei libri e dei documenti che punteggiano quella vita messa al servizio del Cremlino; ma non, per esempio, le lettere di Graham Greene. Era stato Philby a reclutare il romanziere, durante la guerra, nei servizi segreti inglesi. E all'asta di Sotheby's ci sarà il ricco scambio epistolare del periodo 1978-'88, da cui sorprendentemente gli scritti di Philby emergono più vivaci e più profondi di quelli di Greene, che lo aveva sempre difeso e che nel 1968 aveva scritto in toni apologetici un'introduzione alle sue memorie (senza sapere che Philby, in un prò memoria per il Kgb anch'esso all'asta, dichiarava esplicitamente di voler ingannare il lettore occidentale). Quelle lettere hanno trovato la strada dell'asta con migliaia di libri, molti con annotazioni a margine scritte da Philby, altre con dediche di Burgess e autografi di Blunt fin dai tempi del- LETTERE AL GIORN A sinistra, il diplomatico inglese Guy Burgess complice di Philby. A destra, una immagine di «Another Country» film ispirato alla vicenda spionistica Da sinistra, Kim Philby e lo scrittore Graham Greene varie occasioni; un modellino di carro armato consegnatogli nel 1976 in Ungheria; un trofeo («Al compagno Philby dai suoi amici e colleghi che fanno lo stesso lavoro») formato da un globo terrestre e da un satellite-spia sovietico che il generale Kireev gli regalò per il 75° compleanno; le cartoline di auguri per il Primo Maggio e per il compleanno di Lenin firmate dalle spie del Cremlino. Innocue reliquie anche quelle di un mondo che non è più lo stesso. Ma gli inglesi non dimenticano il tradimento, né i numerosi loro agenti ai quali quel tradimento costò la vita. «Sono quasi senza parole», ha commentato Sir Patrick Reilly, che dopo essere stato ambasciatore a Mosca guidò la commissione di coordinamento dei servizi segreti: «E' una vergogna che qualcuno possa comperare o vendere gli oggetti di un traditore». «E' offensivo», gli ha fatto eco il deputato conservatore Toby Jessel. Aggiunge Rupert Allason, anche lui deputato tory, meglio noto per i suoi romanzi di spionaggio con lo pseudonimo Nigel West: «Viviamo in un mondo libero, ma qui c'è una chiara mancanza di gusto». Non per Rufina. Secondo lei non c'è sacrificio troppo grande o prezzo troppo alto per un limone. Chi è vissuto a Mosca può confermarlo. Fabio Galvano