Greenaway, cento scale per incorniciare Ginevra di Marco Vallora
Greenaway, cento scale per incorniciare Ginevra Greenaway, cento scale per incorniciare Ginevra // lungolago, Rousseau, una civetta, il jet d'eau: primi piani su particolari urbani Il regista inglese Peter Greenaway ha disseminato Ginevra di cento scalette, da ognuna è possibile ammirare uno scorcio, un primo piano Fortuny di Venezia, quasi un grande tenore della luce e del concettuale, Greenaway ha già impegnato il proprio carnet sino al 2000. Ogni anno - di questo decennio che celebra l'anniversario della nascita del cinema - Greenaway, ex pittore d'avanguardia imprestato alla regia e che oggi si dichiara molto deluso da quello che il cinema ha saputo fare in questi anni di educata routine, ha pre¬ scelto una capitale (Monaco, Barcellona, Tokyo) per discettare nella realtà urbana un aspetto che riguarda la regia cinematografica: il suono, la luce, il pubblico, ecc. Questa volta, a Ginevra, si tratta di Cadrage, ou la situation trompeuse, ovvero, dell'Inquadratura, o della condizione ingannevole. Non voglio fare un ennesimo film per ripetere la mia delusione del cinema - ha riflettuto per alimentare le mie frustrazioni personali. Così ha coinvolto un'intera città, disseminandola di cento scalette da lui disegnate, che sembrano piuttosto dei bianchi tronetti da coro ecclesiatico (la scala, un luogo di transito, dove non ci si ferma, un luogo simbolico di passaggio, verso il Paradiso o l'Inferno). Si fa la coda (rispettosamente: siamo pur sempre a Ginevra) e poi si ha per regalo, da una feritoia detta tecnicamente judas, un'im¬ magine imprevedibile, un dettaglio privilegiato - in primissimo piano od in campo lungo - condito dalla didascalia spesso concettosa di Greenaway, che sostiene (anche sulle magliette-gadget che invaderanno la città): «C'insegnano a leggere e scrivere, ma non a guardare». Una civetta, che non può guardare direttamente «in macchina» la verità, perché la conoscenza brucia. Il distintivo getto d'acqua («spermatico inizio di vita, che pesca nell'umido») che non nacque come emblema turistico, ma per dare sfogo alla gran macchina d'energia delle dighe, la domenica calvinista in cui si deve santificare il riposo. I libri nascosti sotto la poltrona del monumento a Rousseau, che deve occultare lo proprie idee libertine (e la notte, illuminati, paiono bruciare in un rogo sempiterno). Il tratto di lungolago in cui fu «casualmente» uccisa da un anarchi¬ co l'imperatrice Sissi, perché troppo vistosamente aristocratica. Chissà se Greenaway ha riflettuto alla coincidenza di questa fragile esteta che passeggiava sempre con il volto «incorniciato» da un ventaglio o dall'ombrellino, che nessuno potesse studiare il lavoro corrosivo del tempo sulla sua bellezza. Perché cadrage, come bene ha illuminato Greenaway nella mostra al Museo d'Arte, che durerà per cento giorni, significa anche incorniciare, stabilire dei bordi. Vedere è ritagliare. E lo spettatore di oggi (ci fa riflettere ancora il regista dei Misteri del giardino di Compton House, ossessionato proprio da questo tema della quadratura) non si rende conto che questa «rettangolarizzazione» della vista (il quadro figurativo, la scena teatrale, oggi anche la grigiastra finestrella televisiva) è comunque una convenzione, una griglia immaginaria che non esiste nella natura. Far vedere questo, smascherare la finzione divenuta «naturale» è il compito dissacratorio, epico di Greenaway. Che esalta con choccante illuminazione (e l'ossessiva musica minimalista di Mimram) la grande scalinata del museo, abitualmente trascurata per correre trafelati alle opere. Che crea come una siepe di «spettatori» schierati, e sono i busti di questo museo enciclopedico raccolti a grappolo, magari distesi a dormire, nel limbo dello sguardo cieco, sospeso: guardati che ci guardano. Oppure simula un corrusco torrente di elmi (quegli stessi che vinsero gli espugnatori savoiardi) con la celata che si inonda di luce. La celata, ovvero la ferita dove lo sguardo si difende e respira. Marco Vallora
Luoghi citati: Barcellona, Ginevra, Monaco, Tokyo, Venezia
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