VOLTAIRE l'impero dell'intelligenza

A tre secoli dalla nascita: le sue opere e la sua vita vincono il tempo A tre secoli dalla nascita: le sue opere e la sua vita vincono il tempo VOLTAIRE l'impero Wll pdeWintelligenza F~ U filosofo, storico, poeta tragico e comico, romanziere, polemista, volgarizzatore di teorie scientifi che, autore di feroci epigrammi e di racconti moraleggianti, promotore di memorabili campagne di opinione, instancabile scrittore di lettere. Ma fu soprattutto il fondatore di un principato che divenne, nella seconda metà del '700, una delle maggiori potenze d'Europa. Lo Stato era lui, Voltaire, gli ordinamenti costituzionali erano i suoi libri, il popolo erano i suoi lettori e ammiratori. Lo «Stato Voltaire» aveva una capitale - il castello di Ferney, a breve distanza da Ginevra - e confini che si spostarono gradualmente sulla carta geografica sino a comprendere la Francia, la Svizzera, la Prussia, l'Italia, la Polonia, la Russia, persino le Americhe. Nato borghese il 21 novembre 1694, FrangoisMarie Arouet detto Voltaire morì re a Parigi il 30 maggio 1778 dopo avere assistito alla propria incoronazione nel teatro dove fu rappresentata la sua ultima tragedia e in cui il suo busto venne teneramente baciato dalle attrici che avevano recitato i suoi versi. Il lettore moderno può ancora leggere senza timore di annoiarsi le sue opere più belle - lì Dizionario filosofico, Candide, Zadig, Micromega, Il secolo di Luigi XIV, Storia di Carlo XII -, ma niente resiste all'usura del tempo quanto la sua vita. Altri borghesi, nelle generazioni seguenti, conquisteranno imperi coloniali, potentati industriali, ducati agricoli e baronie finanziarie. Voltaire è il primo borghese che usò l'intelligenza per edificare una signoria di tipo nuovo. Con la sua apparizione la storia registra la nascita di un potere inedito, quello dell'intelligenza. L'irresistibile ascesa di FrancoisMarie Arouet cominciò con una solenne bastonatura. Accadde a Parigi nel 1726 quando il cavaliere di Rohan, ferito dalla punta della sua lingua, lo fece picchiare dai suoi servi. Voltaire gli mandò un cartello di sfida, Rohan dichiarò che non intendeva battersi con un borghese e lo mandò alla Bastiglia. Non era il primo soggiorno, vi era stato dieci anni prima per espiare peccati analoghi. Ma questa volta l'avventura si concluse con l'esilio. Uscito dalla fortezza Voltaire dovette andarsene in Inghilterra dove la sua vita subì una brusca trasformazione. Era stato, sino ad allora, poeta e letterato; divenne, da quel momento, saggista e filosofo. Frequentò Pope, Swift e Bolingbroke, ma soprattutto lesse i testi «Vedere è come ritagliare, cioè una convenzione» r|Tl GINEVRA ■ j IDEA, in fondo, come 1 sempre, l'aveva avuta Za| i vattini, molti anni fa, proUSéJprio per lamentarsi - una vecchia consuetudine - contro i furti delle sue trovate, da parte dei registi. In un toccante documentario televisivo, quando nemmeno poteva sospettare che avrebbe esordito da vegliardo come regista di La veritàaaaa, si era portato sul set una cornice vuota ed aveva urlato. «Ecco, io farò il regista così, andando per il mondo, ed incorniciando la vita. Sarà il mio film, scritto direttamente con la realtà». Peter Greenaway, che alle imprese faraoniche ed onnipotenti è più abituato, grazie anche all'infuocata caparbietà di due giovani organizzatori di mostre come Dominique Levy e Simon Studer e ad una costellazione di sponsor, è riuscito a realizzare quel sogno. filosofici di John Locke e gli scritti scientifici di Isaac Newton. Il sensismo e l'empirismo di Locke, la sua tesi secondo cui ogni conoscenza umana è fondata sull'esperienza divennero da allora i maggiori punti di riferimento del pensiero speculativo di Voltaire. Come Locke negò l'esistenza di concetti astratti, naturalmente depositati nella coscienza dell'uomo, e da Locke apprese la suprema virtù della tolleranza. Ma nelle sue mani il razionalismo e la tolleranza del filosofo inglese divennero spade fiammeggianti, brandite contro le astrattezze geometriche del pensiero di Cartesio, le meditazioni di Pascal sulla grazia, i pregiudizi delle religioni rivelate, il potere della Chiesa, l'arbitrio dei principi, le barbarie della giustizia. Ritornato in patria pubblicò un testo - le Lettere inglesi - che rappresenta per molti aspetti il primo documento dell'illuminismo francese. Il libro fu condannato al rogo, il libraio venne arrestato e l'autore, per sfuggire alla sua terza Bastiglia, fuggì in Lorena. Ma la lama della sua intelligenza e del suo straordinario talento letterario gli garantirono da allora una certa immunità. Il suo nome e i suoi libri circolavano per l'Europa, i potenti (fra cui Federico II, re di Prussia) desideravano fare la sua conoscenza. Tornato a Parigi divenne, grazie a Madame de Pompadour, storiografo di corte e membro dell'Accademia. Cortigiano, ma libero, caustico e sferzante, osservò ironicamente che per fare carriera è meglio «sussurrare quattro parole all'amante del re che scrivere cento volumi». Qualche anno dopo cambiò corte e si installò a Potsdam, nel palazzo di Federico II, con la carica di ciambellano, una chiave d'oro, un generoso stipendio e l'incarico, tra l'altro, di correggere i versi francesi a cui il re di Prussia si dedicava durante i suoi ozi intellettuali. Il rapporto con Federico durò una vita. «Sire - gli scrisse Voltaire poche settimane prima di morire - mi auguro che viviate più a lungo di me per consolidare gli imperi che avete fondato. Possa Federico il Grande essere Federico immortale». Prima di quella lettera tuttavia il re filosofo e il sovrano dei filosofi si erano ripetutamente divisi e pacificati. Intelligenti, vanitosi, ambiziosi e egocentrici, Federico e Voltaire si adorarono e si tradirono come due amanti. Nel 1759 comprò alcune terre nei pressi della frontiera svizzera e s'installò a Ferney. La sua casa divenne la sua corte. Di lì corrispose Mettere in film l'intiera città (perbenista) di Ginevra, scritturando tutti noi, spettatori consapevoli o semplici «camminatori» distratti di città, quali inarrestabili attori di un film aperto che si «girerà» per cento giorni e cento notti, negli angoli più turistici o più segreti della laboriosa città di Calvino. Una provocazione che non si fermerà qui: dopo aver già animato spettacolarmente il Palazzo con Federico, Caterina di Russia, Cristiano di Danimarca, la margravia d'Assia, il duca di Richelieu, il conte di Choiseul. Di lì condusse le sue instancabili campagne di opinione contro i gesuiti e quella per la riabilitazione di un povero diavolo, Jean Calas, che era stato falsamente accusato di avere ucciso il figlio per impedirgli di abiurare la religione protestante. La vita quotidiana di Ferney erano gli spettacoli teatrali, di cui Voltaire era contemporaneamente regista e attore, i banchetti per gli amici, le «udienze» agli ammiratori di passaggio. Fra questi, un giorno del 1760, apparve Casanova con cui Voltaire parlò di Newton, Algarotti, Ariosto. Sono vent'anni, gli disse Casanova, che mi considero vostro discepolo, e sono felice di vedere finalmente il mio maestro. Voltaire gli chiese ironicamente di continuare a onorarlo per altri vent'anni e di portargli, alla fine di quel periodo, i suoi onorari. Casanova, se le sue memorie sono fedeli, se la cavò brillantemente: «Volentieri, purché mi promettiate di aspettarmi». Voltaire visse ancora diciotto anni durante i quali fu onorato, rispettato, adulato e soprattutto temuto. I suoi saggi e i suoi pamphlet avevano una straordinaria risonanza, inquietavano i potenti, erano la «prova» di cui le polizie d'Europa s'impadronivano trionfalmente quando perquisivano le fGm Qui a fianco Casanova, nell'immagine grande Voltaire, in alto Federico II di Prussia Contro l'arbitrio deiprìncipi, il potere della Chiesa, la barbarie della giustizia