E «falco» andò sui monti

In una ricerca i nomi di battaglia dei partigiani in clandestinità In una ricerca i nomi di battaglia dei partigiani in clandestinità E «falco» andò sui monti Lo stratagemma usato per evitare ritorsioni sui famigliari In un falso lasciapassare italo-tedesco la vera identità Cinquant'anni fa, aprile 1944, infuriava nelle vallate torinesi la battaglia che avrebbe portato, un anno dopo, alla rivolta e alla Liberazione. Oggi, 25 aprile, si celebra la cacciata dei nazifascisti e la fine della guerra, e si ricordano i tanti partigiani caduti per l'Italia libera. Uomini diventati celebri per le loro azioni, ma anche per i nomi di battaglia che si erano dati in clandestinità, per evitare rappresaglie sui famigliari. Quei nomi leggendari tornano oggi in una ricerca di Bruno Carli, storico della Resistenza. Sulle nostre montagne vigilavano il «Falco» e lo «Sparviero». «Don Dinamite» minava i ponti. «Gaeta», bersagliere di Campania, era un alpino. «Binda» sabotava le linee telefoniche sull'Appennino ligure-piemontese, e «Capitan Nemo» comandava una brigata. Dice il ricercatore che sovente nome e cognome veri comparivano su un lasciapassare italotedesco, perfettamente contraffatto. A Torino maestro di questi falsi era un geometra della Società Idroelettrica Piemontese. Carli ha elencato 10 «Leoni»; 5 «Volpe»; 8 «Lupo»; 3 «Pantera»; «Agnello» e «Toro»; 3 «Lince» e 3 «Stambecco»; 2 «Vipera». Non potevano mancare «Faina», «Lumaca», «Drago», «Condor», «Aquila», «Merlo», «Orso», «Gatto», «Cappone», «Giaguaro». Passando alla natura, 4 partigiani si chiamavano «Fulmine»; 3 «Lampo»; 2 «Uragano»; 2 «Vento»; 2 «Tempesta». E poi «Aurora», «Vampa», «Fiamma», «Fuoco», «Slavina», «Pietra». Vi erano «Gino Nuvola» e «Pierin Nebbia», «Verdura», «Pesca», «Cipolla», «Cipollino». Alcuni nomi di battaglia rivelavano il luogo di origine: «Bergamo», «Camogli», «Biella», «Paris», «Sardegna», «Tarùn», che era Orlando Gioacchino di Canicatti. Poi «Barge», «Siviglia», «Milan», «Gorizia», «Napoli», «Ventimiglia». Anche l'aspetto fisico o il carattere davano spunti: ben 12 «Moie»; 3 «Pacifico»; 2 «Boia»; 4 «Barba»; 3 «Baffo»; 3 «Moretto»; 2 «Biondo». Quindi «Vendicatore», «Tremendo», «Furia», «Svelto», «Pensiero». E i numeri: Domenico Luciano era «Undici», Mario Baretta «Millecento». C'è chi si ispirò alla storia, allo mitologia, allo sport, alla letteratura. Ci furono 4 «Gordon»; 3 «Tom Mix»; 3 «Ulisse»; 3 «Athos»; 2 «Sandokan»; 3 «Negus», «Churchill», «Papa»; 2 «Morgan». E «Giove», «Socrate», «Mazzini», «Turati», «Girardengo», «Bartali», «Cottur», «Guerra». E chi si ispirò alle armi: «Bomba», «Granata», «Siluro», «Bombarda», «Sten». Poi «Tricolore», «Bandiera», «Battaglia». Combattevano «Polenta», «Pellagra», «Barbera», «Barolo», «Bacco», «Gelato», «Gavetta», «Pipa», «Lira», «Amba», «Carburo», «Treno», «Cachi», «Stringa», «Rex», «Fiat», «Birichin», «Tartaglia», «Bullone», «Alpinot». C'erano professioni e mestieri: «Professore», «Ragioniere», «Sarto», «Ingegnere», «Dottore». Giovanni Dutto era «Calzolaio». Poi «Capitan Gabbia», «Capitan Millo», «Tenente Bambù», «Capitan Rosso». O semplicemente «Il capitano», come Carlo Carli. E i ragazzi? Li chiamavano: «Grillo», «Cartuccia», «Gagno», «Topolino», «Pulcino», «Verme», «Scintillino», «Boria»: avevano 14-16 anni. Caduti anche loro per un avvenire di pace e libertà. Giuliano Doifini Sfilata di partigiani in via Roma

Luoghi citati: Bergamo, Campania, Gorizia, Italia, Napoli, Sardegna, Torino