II britannico McLaren innamorato di Parigi

r 1 DISCHI II britannico McLaren innamorato di Parigi a #-« LLELUJA, la quaranJL jLtena è finita. Attorno al giradischi ricominciano ad affluire dischi che solleticano la curiosità, cercano nuovi percorsi o almeno non gettano l'ascoltatore fra le braccia della noia e del già visto. A incuriosire ci riesce benissimo Malcolm McLaren, creativo, irridente e inquieto personaggio della scena inglese, dai Sex Pistols al rap e Hip hop («Buffalo gals» e «Duck rock»), fino alla moda. Ora ha assunto un look Anni 30 - spiccata l'identificazione con Jean Cocteau - e ci offre un innamorato ritratto della capitale francese: «Paris» (Vogue, 1 Cd). Un affresco esistenzialista, tra sogno e sensualità, ammirazione e infatuazione. In continuo rimando tra passato e presente. Disco affollato di personaggi e simboli: Juliette Greco, Miles Davis, St-Germain de Prés, Sid Vicious, Prevert, il Club Tabou (quello di Boris Vian e dei suoi amici). Altre personalità contribuiscono ad accrescere la curiosità di quest'opera, visto che prestano il loro talento Catherine Deneuve, Francoise Hardy, Amina (gran voce la sua, per un'interpretazione rimarchevole in «La main parisienne»). Ma è in particolare l'alto grado di raffinatezza musicale che caratterizza il disco, una difficile ma riuscita contaminazione tra il jazz e la «musique d'ameublement» di Eric Satie. Tredici cartoline d'autore, ora con la vernice brillante dello swing, ora al dolce sapore dell'ironia (quella di Serge Gainsbourg), ora sexy con tutto lo charme di Catherine Deneuve (la sinuosa, provocante, profumata «Paris Paris»). Ma è anche una Parigi moderna, anche quella multietnica fatta di rai arabi e percussioni orientali. Un disco eccellente, concepito e suonato con il cesello. E sempre con il sapiente intervento vocale di McLaren a compensare, completare, raccontare. Oltre un'ora trascorsa in compagnia di atmosfere fascinose, multicolori. Un viaggio dal Tamigi alla Senna, fatto con il cuore e con i sensi, anche peccaminosi. Un disco musicalmente trasgressivo (non nei testi, poco incisivi), intelligente. Conta la musica. E per questo in controtendenza. Restiamo ancora un attimo a Parigi, in compagnia della buona musica, del jazz. Questa volta la capitale francese è solo il luogo di un concerto tenuto da Frank Sinatra nel 1962: «Sinatra and sextet: live in Paris» (Reprise, 1 Cd). Venticinque canzoni, settantacinque minuti di musica di classe, con The Voice accompagnato da Bill Miller al piano, Al Viola alla chitarra, Ralph Pena al basso, Irv Cottler alla batteria, Harry Klee al sax, Emil Richards al vibrafono. Un Sinatra in spendida forma, in un'esibizione cui non mancano brani celebri. Rientriamo nell'ambito del rock-pop più giovanile e meno aristocratico. Genuinità, buon gusto e intelligenza sono gli ingredienti tutt'altro disprezzabili dei cinque canadesi che formano i Crash Test Dummies. Curioso: fertilissime di novità rock in questo momento sono terre lontane come il Canada e l'Australia. Questi Crash Test Dummies sono anche tipi originali. Ironico il nome, Fantocci per test sulla sicurezza in auto (benedetta sintesi dell'inglese). Ironici nelle foto del disco: fotomontaggio la copertina, le loro facce sostituiscono quelle del dipinto «Bacco e Arianna»; fotomontaggi delle facce anche sui cinque ritratti all'interno, copie di altre tele classiche. Questa voglia di scherzo è meno spiccata nei dodici brani del loro secondo album, «God shuffled his feet» (Arista, 1 Cd). Il gruppo è migliorato molto. Il loro stile ha radici country, forti venature di ballate popolari, con una veste aggressiva, moderna, gustosa, piacevole, genuina, spontanea. Caratterizza il suono (molto lavorato tra chitarre, cori e armonica) Brad Roberts, con la sua voce calda, carnosa, robusta, tenorile. Una più spiccata originalità contengono i testi, ricchi di osservazioni filosofiche. Ad esempio l'erotismo controllato di «Swimming in your Ocean» si sposta dalla speculazione teologica all'ansia per la gravidanza. In «Afternoon and Coffeespoon» si disserta sulla contemplazione della decadenza delle spoglie umane e con «How does a duck know» si dibatte il problema dell'esistenza ontologica del male. Forma di gusto ma leggera, contenuti con buon peso specifico. Meno male che c'è ancora chi coltiva questa formula e ci consente di non scontrarci con la solita banalità delle rime per cuori afflitti da pene d'amore. Alessandro Rosa isa^J o o e e a

Luoghi citati: Australia, Canada, Parigi