Addio al dandy dell'arte povera
Scomparso a 54 anni il pittore torinese Alighiero Boetti Scomparso a 54 anni il pittore torinese Alighiero Boetti Addio al dandy dell'arte povera Vicino a Ducbamp ma meno austero N ON si vedrà più la sua caracollante, ascetica, quasi scavata figura allampanata di dandy contemporaneo, che striava i vernissage e le fotografie d'epoca. Il mondo dell'Arte Povera piange Alighiero Boetti, uno dei patriarchi dell'arte concettuale, morto alle soglie dei 54 anni dopo una crudele malattia che l'ha simbolicamente colpito al cervello. Nato a Torino nel dicembre del '40, proprio a Torino esordì con una personale presso Christian Stein: la gallerista musa e papessa dell'Arte Povera torinese. Dopo una breve «prova generale» a Genova, la città del critico Germano Celant, che li tenne a battesimo: Boetti, Merz, Pistoletto, Penone, poi sarebbero arrivati anche Fabro, Anselmo, Calzolari. Alighiero e Boetti, come amò presto sdoppiarsi: in onore ad un fotomontaggio, che lo vedeva passaggiare teneramente per corso Vinzaglio, tenendo se stesso per mano, dandy baudelairiano all'epoca degli hippy e della Seicento, solitudine dell'artista post-avanguardistico nella Torino della Fiat e della caserma Cernaia. Alighiero e Boetti: unica differenza, l'uno dei due s'era lavato i capelli (i verdi capelli dell'artista d'avanguardia). All'inizio, si trattò davvero di Arte Povera, di residuati tridimensionali: ma non di objets trouvés presi dalla strada. E nemmeno elementi primari, vergini, «poetici», come il granito di Anselmo o l'acqua, il legno, il cotone idrofilo di altri. Piuttosto era già forte da subito la mediazione tecnologica, l'idea di manufatto artigianale: i legni raccolti come fascine per accendere un camino mentale. Nulla a che fare con il dadaismo od il new-dada pop di un Rauschenberg. Spiega Ann-Marie Sauzeau Boetti, che è stata a lungo la moglie dell'artista e come una divertita, ironica Penelope ha collaborato a cucire e ricamare questi oggetti «unici»: ((Alighiero è stato certo un artista concettuale, vicino a Duchamp, ma non nel senso duro degli americani o di certi italiani, cioè scarno, ideologico, austero. Aveva un enorme senso del colore, delle materie, della piacevolezza e adorava solle¬ citare la creatività altrui. Aveva soprattutto un'enorme fiducia nel caso». Come nei suoi puzzle, che chiamava il rutto o della serie Mettere al mondo il mondo, con due tabelloni profilati di sagome, che il pubblico doveva colmare di blu di biro. Nell'occasione, un uomo ed una donna, Adamo ed Eva di fronte alla creazione, in modo che si potesse distinguere il tracciato più rude e maschile da quello delicato e femminino. Dal 1970, infatti, decennio che coincide con il passaggio a Roma, progressivamente Boetti abbandona la tridimensionalità per le opere su parete, carte e ricami. Magari parodiando la rivoluzione dell'impressionismo e realizzando paesaggi con la stoffa mimetica delle tute militari. Si fa insomma sempre più «matissiano», attento ai profili, ai ritagli, al colore. Come si deduceva anche dagli ultimi suoi raffinati kilim, ricamati in monocromie bianche e nere, che recentemente aveva esposto a Grenoble, in quella Francia che lo aveva sempre trattato come un piccolo maestro. [m. vali.] «Adorava sollecitare la creatività altrui» «La natura, una faccenda ottusa», gouache di Alighiero Boetti del 1980. Sopra l'artista scomparso
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