Scintille greche nella polveriera dei Balcani di Enzo Bettiza

Scintille greche nella polveriera dei Balcani Scintille greche nella polveriera dei Balcani Pressioni su Macedonia e Albania, Atene imbarazza l'Europa I NUOVI FRONTI DELLA CRISI CHURCHILL usava dire che i popoli dei Balcani sono oberati da un sovraccarico di storia che essi non riescono a portare sulle spalle. Dopo i serbi, i quali da sempre hanno nutrito il loro nazionalismo con reminiscenze e leggende che affondano nel Medioevo balcanico, adesso anche i greci si vanno mettendo sullo stesso sentiero mitico riesumando memorie che risalgono addirittura ai tempi di Alessandro Magno. La guerra economica dichiarata il 16 febbraio dalla Grecia di Papandreu alla Macedonia, la più pacifica e più tollerante fra le ex repubbliche multietniche jugoslave, si è ulteriormente complicata su un altro versante con l'aggressione effettuata da un commando di terroristi in divisa militare greca contro un accampamento militare nel Sud dell'Albania. L'attacco inaudito, che ha provocato la morte di due soldati albanesi, e il blocco commerciale antimacedone rischiano ora di trasformare davvero la Penisola Balcanica già in fiamme nella «polveriera d'Europa» di cui si parlava all'inizio del secolo. Secondo il governo greco la nuova repubblica balcanica che oggi si chiama Macedonia dovrebbe cambiare nome e sopprimere perfino l'antica stella di Vergina, patrimonio della tradizione ellenica, sulla propria bandiera. Per quanto concerne invece l'Albania, gli irredentisti greci sostengono che il Sud albanese non sia altro che il Nord dell'Epiro abitato da ben quattrocentomila greci (per Tirana sarebbero appena sessantamila): rivendicandone l'ellenicità, Atene, ufficiosamente se non ufficialmente, lascia intendere di aspirare così al possesso di quasi la metà del territorio della repubblica limitrofa. Il neosciovinismo ellenico ricorre ormai ad ogni mezzo per fomentare disordini nel meridione albanese e per destabilizzare, nel contempo, la Macedonia con un embargo senza precedenti nelle relazioni fra Paesi europei confinanti e non in guerra fra loro. Accompagnane queste manifestazioni di ostilità regionale dichiarazioni infuocate di alti prelati del clero ortodosso greco, trasmissioni radiofoniche e televisive di carattere irredentistico, mobilitazioni e scatenamenti di folle esaltate per le strade delle principali città a cominciare dal porto macedone di Salonicco. Come se non bastasse, la virulenta aggressività greca si è abbattuta simultaneamente anche sull'Italia durante la recente campagna elettorale, con ingerenze indebite all'interno degli schieramenti politici e delle competizioni politiche italiane. Non va infine dimenticato che la Grecia, sin dall'inizio della disintegrazione jugoslava, ha sempre sostenuto con energica imparzialità la causa della Serbia e delle «pulizie etniche» serbe in Bosnia e nel Kossovo: l'embargo internazionale con¬ tro Belgrado è stato costantemente e scopertamente violato da Atene, che non l'ha mai rispettato e ha fatto sempre affluire armi, petrolio, farmaceutici e derrate alimentari verso il tradizionale alleato slavo ortodosso. E' venuta a crearsi così all'interno e ai vertici dell'Unione Europea la più paradossale e più incongrua delle situazioni immaginabili. La presidenza dell'Unione è esercitata infatti per la durata del presente semestre da una Grecia che, contravvenendo a tutte le regole di convivenza europea, polemizza con l'Italia in difficoltà, dà una mano alla Serbia isolata, tenta di strangolare la Macedonia pacifica, spalleggia o quanto meno tollera palesi incursioni terroristiche nei confronti dell'Albania vicina. Per questa sua politica estera minacciosa e turbolenta, soprattutto per la sua strategia d'assedio nei confronti della Macedonia ex jugoslava, la Grecia, che presiede l'Unione Europea, è stata posta sotto accusa dalla Commissione di Bruxelles, organo di governo della medesima Unione, ed è stata addirittu¬ ra deferita alla Corte di giustizia del Lussemburgo per violazione dei trattati comunitari. Il minimo che si possa dire è che non si era ancora vista, nella storia pur travagliata della Comunità dei Dodici, la presidenza di uno Stato membro così irresponsabilmente impegnato a turbare l'ordine e il galateo politico europeo proprio nella regione oggi più vulcanica del continente. Inquietanti e sempre più bellicosi accenti di stampo serbo risuonano nei giornali, nelle televisioni, nelle piazze manipolate e nei chilometrici discorsi degli uomini di Parlamento e di governo ateniesi. Mentre i serbi hanno scatenato le loro epurazioni razziali esaltando la leggendaria battaglia del Kossovo Polje del 1389, i greci evocano la figura di Alessandro il Macedone sprofondando nei secoli anteriori all'era cristiana. A questo punto, mentre si vocifera di movimenti sospetti di truppe greche ai confini con la Macedonia e l'Albania, è più che lecito domandarsi: si prepara una nuova operazione di pulizia etnica, da parte ellenica anziché serba? Si prepara la conquista militare dell'Epiro del Nord? Si prepara forse una nuova spartizione fra serbi e greci della Macedonia, come avvenne nel 1913, durante la seconda guerra balcanica, quando Belgrado e Atene attaccarono insieme e sconfissero l'alleato bulgaro? Sono domande estremamente allarmanti. Da un lato, esse mettono in discussione l'esistenza stessa della Macedonia presieduta da un politico esemplare come Kiro Cligorov, uomo di grande equilibrio e di grande competenza, il migliore dei ministri economici della ex Jugoslavia titoista, che ho avuto l'occasione di incontrare più volte personalmente a Belgrado ricavandone sempre utilissime informazioni e indicazioni. Dall'altro lato, esse rischiano di dare la miccia a quella reazione a catena i-iterbalcanica, allargando il conflitto dalla Bosnia alla Macedonia, dall'Albania al Kossovo fino alla Turchia. Ciò che, disgraziatamente, darebbe alla guerra già in atto da due anni un carattere non più regionale ma continentale. Enzo Bettiza Il premier greco Papandreu è in rotta di collisione coi partner europei

Persone citate: Alessandro Magno, Kiro Cligorov, Papandreu