«Non sum dignus» però mi candido di Filippo Ceccarelli

Ma alleati e opposizione: una sciocchezza l'idea di un tutore per Berlusconi IL PALAZZO «Non sum dignus» però mi candido SAGERATO, l'autocandidato... Piccola chiosa quasi in rima da dedicare ai primi, impazienti passettini della nomenklatura della Seconda Repubblica verso le poltrone ministeriali. Questione di etichetta, ma un po' anche di sostanza. Pure sui modi in cui si manifestano gli appetiti viene spontaneo di misurare il più vertiginoso rovesciamento degli usi e costumi della vecchia politica. La sensazione, adesso, è che una vanità, una boria, una sicumera da uninominale, insomma, una specie di post narcisismo vacuo e del tutto privo di senso dell'umorismo abbia scalzato, nella smaniosa prenotazione dei posti, la vecchia, scaltra e proporzionalissima ipocrisia dello «spirito - figurarsi - di servizio». Vedi l'altra settimana, quando si affollava e si gonfiava quel truce mercato di voci e veline che ha nome «toto-ministri», ecco, proprio al culmine del caos è parso del tutto naturale registrare l'intrepida, tenera autocandidatura dell'onorevole Fantozzi. E sì che al cognome dell'incolpevole deputato (ex?) pattista bisognerà fare l'abitudine, fatto sta che le agenzie hanno titolato: «Fantozzi: se richiesto andrei alle Finanze». Se richiesto? «Accetterei - spiegava infatti con motivazioni al tempo stesso criptiche e filantropiche - per dare la possibilità agli altri di giudicarmi per le cose che ho scritto fino a oggi». Evviva. Con maggiore autorità, seppure venata da un fondo di scetticismo strategico, si faceva sentire il generale berlusconiano Caligaris. «Non credo che avrò incarichi nel nuovo governo - era l'incipit precauzionale - ma se fossi chiamato, sceglierei i dicasteri della Difesa, degli Esteri o dell'Interno come possibili campi del mio lavoro». E l'auto-segnalazione, nel suo caso, fluiva da sé come un sospiro così malinconico, e con tale grazia, che ci si poteva chiedere: e perché non tutte e tre le amministrazioni? 1 Pensare che ai tempi d'o1 ro della Prima Repubblica, per gli assetati di poltrone, il massimo consentito era il maneggio del proprio nome alla borsa nera del «toto-ministri». Farlo scrivere a tutto spiano da giornalisti (amici), secondo i canoni della scuola del compianto Bubbico («E' molto probabile, anzi è certo che non sarò ministro, però intanto faccio circolare il nome e così assurgo a statura ministeriale»). Oppure seguire i princìpi dell'accademia gavianea, che imponeva il silenzio e l'impertubabilità, ai limiti dell'ascesi, a tutti gli urti esterni. Tra le due strade, una terza via generalmente attribuita a Fanfani: una smentita secca e a freddo ad assumere incarichi, che poi era una maniera pulita per dire: «Ohi, ci sono anch'io!». Adesso, invece, al solo parlare di un ipotetico ministero per la Famiglia, un altro pattista in fuga, Alberto Michelini, reagisce capovolgendo l'antico, sperimentatissimo non sum dignus: «Se mi offrissero quell'incarico, lo troverei - attenzione alla parola rivelatrice - naturale». 2 così, dunque, con l'inesorabile determinismo di Michelini, l'elegante soffio di Caligaris, l'audace candore di Fantozzi o l'irruenza di un Mastella che fa precedere l'autocandidatura dalla minacciosa evocazione della «collera del Sud», ecco, con tutte queste varietà non solo s'inaugura uno stile, ma forse anche un nuovo, potenziatissimo ego politico - io, io, io - come garanzia di sopravvivenza. «Io ministro?» si chiede il professore berlusconiano Urbani. E si risponde: «Altamente probabile». Esagerato, l'autocandidato. E tanto più smodato, l'ideologo beneficiato. Bili | Filippo Ceccarelli

Persone citate: Alberto Michelini, Bubbico, Caligaris, Fanfani, Fantozzi, Mastella, Michelini