23 APRILE La riconciliazione è la democrazia di Gian Enrico Rusconi

25 APRILE Resistenza, consenso popolare e forzature politiche: ne parliamo con Renzo De Felice e Claudio Pavone 25 APRILE La riconciliazione è la democrazia S~~| TANNO venendo alla luce problemi irrisolti di consenso attorno alla Resistenza, momento I fondante della Repubblica. E' un dato di fatto preoccupante per chi, come lo scrivente, non ha nessun dubbio sulle ragioni per cui quell'evento dà legittimità storica alla Repubblica. Dove sta allora il problema? Perché c'è in giro tanta inquietudine per il 25 aprile? Si tratta soltanto di una sconsiderata montatura post-elettorale? Una montatura da spartire equamente tra una sinistra alla ricerca di conferme ed emozioni compensative per una sconfitta elettorale, e una destra post-fascista che vuole impossessarsi o guastare una data simbolo? In nome della «riconciliazione nazionale», nel senso inteso dalla destra, o viceversa in nome della intoccabilità dei criteri che qualificano «la guerra di liberazione», secondo la sinistra, questo 25 aprile rischia di essere il più divisivo della storia recente. Almeno sul piano simbolico e retorico delle parti in piazza. La maggioranza della popolazione infatti potrebbe stare a guardare apprensiva o infastidita: avremmo una paradossale riedizione dell'«attendismo». Brutto segno, appunto, di un problema irrisolto. La domanda di «riconciliazione» che viene da destra mette insieme elementi disparati. Apparentemente in primo piano c'è la richiesta del riconoscimento della dignità e dell'onore personale dei combattenti della Repubblica Sociale Italiana. In realtà, questo riconoscimento soggettivo non è mai stato negato dai partigiani - e non soltanto da oggi. Quello che ora si aggiunge è qualcosa d'altro e di politicamente più specifico. Infatti non si dice semplicemente che i combattenti neofascisti di allora meritano rispetto per la buona fede soggettiva delle loro motivazioni, ma che quella «fede» aveva le sue buone ragioni storiche che oggi si possono dire ad alta voce senza complessi: erano anticomunisti militanti. Naturalmente anche questa affermazione è tutt'altro che nuova! Ma è cambiato l'effetto di risonanza nel nuovo clima politico. A ben vedere, il vero destinatario della campagna per la «riconciliazione nazionale» non è la sinistra, ma il blocco moderato che si è staccato dalla democrazia cristiana e dai suoi alleati per affidarsi a Forza Italia e alla Lega. Si tratta ora di ricreare il cemento ideologico che ha tenuto insieme questo consenso centrista che non può essere ricostruito sul karaoke milanese. Si tratta cioè di rinverdire alcuni elementi del moderatismo storico, rilanciando l'ostilità contro la sinistra anche a costo di spostare l'asse più a destra. Su questa linea di collisione c'è l'antifascismo storico che la de e i suoi alleati hanno sempre sostenuto in modo cauto e ri- tuale, lasciandolo spesso gestire - compensativamente - alla sinistra. Qualcosa non ha funzionato nel modo in cui la Resistenza è stata accolta dalla stragrande maggioranza degli italiani (sul nesso tra questo atteggiamento della popolazione e della sua democratizzazione attraverso la de si vedano le osservazioni di Renzo De Felice e Claudio Pavone, qui accanto). O meglio, il prezzo della democratizzazione di larghi strati popolari, operato dalla de, è stato il mantenimento di un margine di reticenza sul significato effettivo della Resistenza, soprattutto di quella rossa. Oggi, dopo la rottura dell'unità politica dei cattolici, dopo il loro passaggio da Andreotti-Forlani a Berlusconi e il flirt con la destra post-fascista, il polo moderato si trova di fronte a una proposta che la de non aveva mai osato fare: relativizzare il significato storico e fondante della Resistenza. Per la destra post-fascista si tratta di un passaggio psicologico importante, mentre per il centro moderato è una tentazione, soprattutto se la sinistra si chiude a riccio facendo della Resistenza una «cosa propria». Vale la pena seguire sinteticamente il ragionamento che sostiene questa operazione. Esso parte dall'assunto che fascismo storico e comunismo storico appartengono alla stessa matrice totalitaria, e arriva alla conclusione che la lotta antifascista condotta da e con i comunisti aveva in sé un vizio di origine. Questo ha giustificato il mancato riconoscimento della Repubblica democratica da parte dei neofascisti e la reticenza della popolazione che si è messa al riparo della democrazia cristiana. Il rimescolamento elettorale che oggi dà inizio alla seconda Repubblica azzera questa situazione e quindi la proposta della «riconciliazione nazionale» si presenta come il naturale correttivo di quel vizio d'origine. Si tratta in realtà di un ragionamento basato su passaggi logici e storici sbagliati. Primo: il movimento della Resistenza non è storicamente identificabile con l'attività del partito comunista, per quanto determinante sia stato il suo contributo. Secondo: la strategia comunista aveva come obiettivo prioritario l'instaurazione della democrazia, per quanto ambigue e sospette fossero le sue riserve e prospettive per il futuro. In ogni caso è grottesco far credere che la Repubblica sia nata ostaggio dei comunisti. Terzo: l'antifascismo storico ha instaurato un sistema democratico, sia pure fragile, anche col contributo dei comunisti, mentre l'opposizione di destra neofascista non ha mai rinunciato alle sue pregiudiziali antidemocratiche; ha goduto del funzionamento della democrazia contribuendovi soltanto in modo reattivo. Quarto: la Resistenza armata non esaurisce certamente i contenuti ideali e materiali della Costituzione e le pratiche politiche della democrazia italiana che si rifanno anche ad altre continuità istituzionali e culturali. Quinto: l'involuzione del sistema partitico (il «consociativismo») non ha alcun rapporto diretto e meccanico con il patto costituzionale dei partiti d'origine della Repubblica (Cnl). Sesto: ben vengano ricostruzioni storiche che correggono visioni unilaterali o mitiche o semplicemente utopistiche della Resistenza e ridiano dignità storica ai suoi nemici, ma se l'Italia oggi ha una democrazia capace di autocorrezione e che consente al post-fascismo di farsi avanti, lo deve all'antifascismo storico con tutte le sue contraddizioni. Soltanto la catena di queste ragioni storiche oggettive - non di parte - fornisce la piattaforma su cui si può costruire un consenso comune attorno alla nostra storia. Gian Enrico Rusconi Z<2 partitocrazia non è «figlia» del patto costituzionale e del Cln Un gruppo di partigiani nei giorni della Liberazione a Milano. Mai come per questo 25 aprile la discussione sulla Resistenza ha assunto toni fortemente polemici

Persone citate: Andreotti, Berlusconi, Claudio Pavone, Forlani, Renzo De Felice

Luoghi citati: Italia, Milano, Quarto, Sesto