«Non diamo carta bianca alla Nato»

«Non diamo carta bianca alla Nato» «Non diamo carta bianca alla Nato» L'uomo di Eltsin: ha il nostro ok, a queste condizioni CIURKIN L'UOMO DELLA SVOLTA MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Vitalij Ciurkin, il mediatore, l'uomo della spola tra Belgrado, Pale, Sarajevo e Zagabria, il viceministro degli Esteri cui molti assegnarono un ruolo cruciale nella svolta che evitò l'attuazione del primo ultimatum della Nato, quello per Sarajevo, l'uomo che non dorme mai, che parte in aereo senza scorta e senza appunti, è stato anche il primo che ha perso la pazienza con i serbi di Bosnia. Tornato a Mosca dopo che le promesse di Karadzic su Goradze erano state appena violate, aveva detto subito, fuor dai denti, che sì dovevano tagliare i ponti con i serbi. Era parso uno scatto d'ira, da negoziatore deluso e ingannato. Oggi, dopo il nuovo ultimatum della Nato, appare l'antesignano della svolta nella posizione russa che è maturata nel corso della settimana. E se accetta di farsi intervistare da noi è perché sa di averla spuntata lui. Vitalij Ivanovic, il momento è delicatissimo. La Nato sembra voglia fare sul serio questa volta. I serbi di Bosnia potrebbero accettare l'ultimatum, ma potrebbero anche ignorarlo. Può dirci come la diplomazia russa si prepara ai diversi scenari che da oggi si delineano? «Non è un ultimatum. Si tratta di alcune condizioni poste dalla Nato dopo averci consultato e in risposta alla lettera del segretario generale dell'Onu. Mi auguro che a Pale le accettino. In tal caso lunedì stesso andrò a Londra per riprendere le consultazioni con americani e inglesi. Kozyrev andrà a Ginevra per incontrare Christopher. A Londra gli esperti cominceranno subito il lavoro per una strategia comune tra America, Europa, Nazioni Unite e Russia. Insomma riparte il negoziato per una soluzione politica. Ma se dovesse succedere il peggio, allora ripeto quello che ho già detto altrove: cioè che i serbi di Bosnia hanno superato ogni limite e che è necessario fare tutto il possibile per bloccale la catastrofe di Goradze e impedire che essa si ripeta altrove». Dalle sue parole capisco che lei non ha nulla da contestare alle decisioni della Nato e che le considera giuridicamente, politicamente e militarmente ineccepibili. E' così? «E' un documento complesso che stiamo studiando. Di alcune nostre obiezioni è stato già tenuto conto. Altri chiarimenti li avanzeremo. In particolare sul fatto che dev'essere il Consiglio di sicurezza a tenere sotto controllo la situazione. E' importante che tutti capiscano che il conflitto bosniaco non è passato, per così dire, sotto la competenza della Nato. Il che, per altro, I non è nemmeno nel suo interesse. I non è nemmeno nel suo interesse Per quanto concerne Goradze noi riteniamo che la barbarie dev'essere fermata e che, se i serbi bosniaci non torneranno alla ragione, anche le misure estreme possono essere giustificate». Dunque per Goradze la vostra posizione è molto diversa da quella tenuta per Sarajevo. Perché? «A Sarajevo c'era stato un accordo tra serbi e musulmani. Inoltre l'ultimatum della Nato era stato deciso senza consultare la Russia. C'era tutta una serie di cose che non ci piacevano affatto. Tra l'altro che la decisione era stata presa dopo la bomba al mercato, di cui non erano stati individuati i responsa¬ bili, ma che venne attribuita ai bili, ma che venne attribuita ai serbi nonostante vi fossero seri dubbi al riguardo. Insomma avevamo la sensazione che si volesse colpire per il solo gusto di colpire. A Goradze è tutt'altra cosa. Si tratta di una provocazione contro il mondo intero, un massacro senza scuse. Per giunta non abbiamo più alcuna garanzia che i serbi bosniaci manterranno le loro promesse. Purtroppo io ne sono testimone diretto». Ma dopo i due attacchi aerei attorno a Goradze il ministro Kozyrev aveva addirittura frenato sulla firma della Russia alla «partnership for peace». In segno di irritazione, parve. Ora tutto è cambiato? «Dovevamo vederci chiaro. Secon- «Dovevamo vederci chiaro. Secondo noi la Nato deve agire nel contesto e sotto l'egida dell'Onu o della Csce e rispettare la cooperazione con la Russia. Abbiamo studiato la situazione e siamo giunti a una decisione. La firma della partnership doveva avvenire il 21 aprile. Non ci pareva il momento più adatto per celebrare cerimonie. Penso che, una volta risolta la crisi bosniaca, decideremo anche questo. Il mio pronostico è che la Russia aderirà al programma alla fine di maggio». Consenta ancora un confronto tra febbraio (Sarajevo) e aprile (Goradze). Allora la direzione russa apparve compatta. Ora non è così chiaro. Eltsin, ancora pochi giorni fa, Eltsin, ancora pochi giorni fa, ha detto di essere contrario ai bombardamenti aerei. Kozyrev, appena l'altro ieri, criticava la Nato che stava «preparando un piano di guerra» prima che i grandi si riunissero per «preparare un piano di pace». Il ministro della Difesa, generale Graciov, tirava un siluro direttamente a lei affermando che mediazioni così delicate come quella bosniaca non devono essere affidate a viceministri degli Esteri. Che ne dice? «Dico che lei ha scelto solo alcune citazioni, e per giunta incomplete. Preferisco non commentarle. Dirò invece che, essendo stato direttamente presente alle fasi cruciali, ho delle cose da dire e su cui insistere. Tornato a Mosca ho riferito quello che ho visto e sentito. Innanzitutto al ministro degli Esteri, con cui sono stato chiuso in una stanza fino a mezzanotte, poi ai presidenti delle due Camere e ai militari. Tutti hanno convenuto sulla fondatezza delle mie valutazioni. Ora tutti hanno un'idea più chiara dell'accaduto, e quanto sto dicendo ora rappresenta la linea ufficiale della Federazione russa per quanto concerne la crisi di Goradze». Se si verificherà l'ipotesi peggiore, i bombardamenti, come ha detto il senatore Sani Nunn, gli Usa devono prepararsi a contare delle vittime. E' inevitabile? «No. Penso che una soluzione politica sia possibile. Ma penso che anche gli americani devono mettere i piedi sulla terra bosniaca. La loro presenza non sarà abbastanza autorevole finché si limiteranno a volare nei cieli di Bosnia». Lei si è trovato al centro di un dramma. Come l'ha vissuto? «Con straordinario interesse. Il mio destino professionale ne sarà determinato. Conservo ricordi indelebili». Ad esempio quali? «I nove giorni trascorsi tra Pale e Sarajevo. Ogni giorno era una svolta drammatica, inattesa. Roba da scriverci un romanzo». Giulietta Chiesa «Quello di Gorazde è un caso unico» Il viceministro degli Esteri Ciurkin