KANT RITORNA CON GIUDIZIO
KANT RITORNA CON GIUDIZIO KANT RITORNA CON GIUDIZIO La nuova «Critica» e altri studi NELLA premessa al suo libro L'aristocrazia della preghiera, Giuseppe Sergi fa una osservazione molto opportuna sul giudizio che correntemente si dà di fatti storici, e in particolare medievali: «La nostra cultura - egli dice - soffre di una deformazione prospettica». E' in altre parole alterata da memorie più recenti, e per quanto riguarda la cultura monastica la nostra visione è condizionata da situazioni storiche più recenti, seguite alla Controriforma: ne abbiamo quindi una immagine riduttiva, «si pensa ai conventi dei frati minori, o alla clausura». Il saggio di Sergi è rivolto a far luce su uno degli aspetti più importanti del Medioevo, la funzione e l'attività dei grandi monasteri, il peso storico di quella «aristocrazia della preghiera» che dà il titolo al libro. I monasteri svolsero infatti nel medioevo una attività integrata nella vita sociale e politica: erano, sì, luoghi di ascesi e di preghiera, ma almeno fino al Mille furono gli unici centri culturali, e parte della loro popolazione vi giungeva unendo in modo indissolubile vocazione religiosa e letteraria. Dame della più alta aristocrazia e signori potenti vi si ritiravano in tarda età per trovarvi pace, quando ritenevano che la loro opera nel mondo fosse compiuta, e la loro stessa presenza creava un legame con il mondo aristocratico da cui provenivano. Con la riforma partita dal monastero di Cluny si accentua la tendenza alla ascesi: questo è forse il tempo e il luogo in cui più compiutamente si realizza quella che Sergi chiama «l'aristocrazia della preghiera», se- problema di rendere «oggettivo» il soggettivo, riuscire a parlare della conoscenza, della morale, del pensiero, in termini oggettivi: esplorare i limiti delle nostre pretese al riguardo, ma al tempo stesso toglierci ogni vizio relativistico e scettico. «Non avrai mai il mal di testa che ho io»: così Frege enunciava un classico problema della tradizione empirista, ossia la condivisibilità dell'esperienza. E' chiaro che occorre decidersi: il mistero della condivisione va risolto ammettendo un «terzo regno» (platonico) di significati e pensieri oggettivi (il mal di testa in sé ci sovrasta tutti, purissima entità sovraoggettiva cui ci riferiamo parlando, ovvero muovendoci nel fango dell'intersoggettività); oppure: non c'è niente da fare, l'esperienza resta humianamente sconnessa, e solo per motivi pragmatici (es. la richiesta di un'aspirina) chiamiamo impropriamente «mal di testa» l'oggetto impreciso su cui in quell'istante verte il nostro dire? La specificità e il genio del kantismo consistono precisamente nell'aver mantenuto la filosofia, fino al limite dell'ambiguità, nella strettoia di questa alternativa. E lo dimostra la storia della critica, che ha di volta in volta accusato Kant, in base alle più disparate opportunità teoriche, di soggettivismo oppure di oggettivismo: di aver ridotto la oggettività dell'esperienza alle forme soggettive del conoscere, o di aver preteso di obiettivare e dunque normativizzare l'ambito puramente soggettivo della conoscenza umana. Bolzano appartiene ai critici del «soggettivismo» kantiano. In qualità di logico «puro», disapprova quella visione composta (così si esprime Palàgyi) della conoscenza che anima l'innovazione kantiana in filosofia, e postula un mondo stellare di «verità eterne», «un esercito infinito di pensieri non pensati o non ancora pensati». Ma il problema non si riduce a questo, come nota Palàgyi: un realismo così rigoroso sconfina in un materialismo logico, e rischia l'autocontraddizione; d'altra parte la prospettiva kantiana non riesce a garantire, né a spiegare, il valore oggettivo (eterno) della verità. E' qui in gioco l'ambiguità intrinseca di ogni «formalismo». Si direbbe: di ogni teoria. NEL corso di questi ultimi anni, Kant è stato quasi tutto ristampato ripubblicato, ritradotto. Persino l'introvabile e invitante Saggio sulle malattie della mente, di cui esisteva una vecchia traduzione in volume con altri scritti, a cura di Fulvio Papi (1969), è comparso nell'89 presso l'editrice 10/17 di Salerno (con il titolo Ragione e ipocondria), poi, prontamente esaurito, è riapparso l'anno scorso per le edizioni Ibis (Como-Pavia). L'onda editoriale kantiana è giunta fino a giocare sulle combinazioni, proponendo raccolte diverse degli stessi saggi, in formazioni disparate: vedasi il caso delle ottime raccolte Questione di confine (Marietti, curatore Fabrizio Desideri) e Scritti sul criticismo (Laterza, curatore Giuseppe De Flaviis). L'ultimo evento degno di nota è la traduzione della Critica del giudizio a cura di Alberto Bòsi per l'edizione Utet delle Opere di Kant, iniziata dal compianto Pietro Chiodi negli Anni Sessanta. Di questa nuova traduzione si è già molto parlato: in parte perché costituisce di per sé un fatto di rilievo una nuova edizione della terza critica kantiana, la più trascurata delle tre grandi opere del maestro di Koningsberg; in parte perché il testo e l'apparato critico sono molto curati, e la lunga introduzione di Bosi è in un certo senso esemplare come saggio di una buona armonia tra profondità dell'analisi e chiarezza dell'esposizione, ampiezza dell'informazione e leggerezza della struttura argomentativa. A margine della recente fortuna di Kant, e anche come indice delle ragioni che l'hanno animata, si colloca un libro dei primi anni di questo secolo, scritto dall'ungherese Melchior Palàgyi (1859-1924), ora tradotto e curato da Luca Guidetti per le edizioni Spazio Libri (Ferrara), con prefazione di Enzo Melandri: Kant e Bolzano, un confronto critico. Il testo, che a quanto sembra è la prima opera di Palàgyi tradotta in italiano, appartiene formalmente a un genere filosofico-critico discutibile, quello dei paralleli o confronti, che nel caso di autori come Kant ha una diffusione pari alla inutilità (una eccezione importante, soprattutto per l'eterogeneità dei due soggetti in questione, è il saggio di Georg Simmel su Kant e Nietzsche). Il libro di Palàgyi ha però la risolutezza di un intervento teorico originale. Nell'antagonismo tra Kant e il logico e filosofo austriaco Bernhard Bolzano (1781-1848) si gioca infatti una problematica che è al centro della fenomenologia di Husserl, della stessa «filosofia della mente» contemporanea, e che è anche il punto di partenza del kantismo. E' il Franca D'Agostini Immanuel Kant Critica del giudizio Utet pp. 466, L. 70.000 Melchior Palàgyi Kant e Bolzano Un confronto critico Spazio Libri, pp. 158, L. 24.000 IMMI Età l JJ 1 I I 1 I I
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