«Salvale le mie figlie cacciate dall'ospedale» di P. Poi.

«Salvale le mie figlie cacciale dall'ospedale» «Salvale le mie figlie cacciale dall'ospedale» ROMA. Anna e Paola erano due splendide ragazze ma ora, divorate dall'aids a soli trent'anni, per colpa della droga, giacciono su due brandine, in trenta mq a Torrevecchia, periferia romana. Come tutti i malati terminali non possono fare assolutamente nulla, e se sopravvivono lo devono solo alla madre, la signora Lina, 57 anni, una donna bionda e robusta. Da una settimana, da quando le figlie sono state dimesse «per forza» dall'ospedale Spallanzani, si è improvvisata, oltre che mamma, anche infermiera, assistente sociale, cameriera. Ha pregato invano i medici di non dimettere le figlie, di aver pietà, anche perchè in quel minuscolo appartamento vivono i due figli piccoli di Paola, e vive Ennio, il capofamiglia, pensionato a 600 mila lire al mese. Sei persone, quattro sane e due malate, in ben pochi metri. Ma non è servito: i letti del nuovo reparto infettivo sono solo 32 e non possono essere occupati da chi è incurabile, da chi deve aspettare solo la morte. La signora Lina ha chiesto allora l'aiuto di un assistente sociale, poi si è accontentata di chiedere un paio di letti da ospedali, di quelli a più posizioni, infine le sue «pretese» sono scese a una carozzella più moderna per Paola, che ancora si muove, sia pure impercettibilmente. Ma non ha ottenuto nulla di tutto questo, ha solo raccolto la diffi¬ denza dei vicini. Così ieri ha deciso di protestare, tra le lacrime. Prima coi giornalisti dei quotidiani, poi alla televisione, durante il TG Uno delle 20. «Chiedo, se avete un po' di cuore, un po' di umanità: aiutatemi - ha gridato Lina - perché sono disperata, mi vergogno da morire. Sono spariti tutti, amici, amici di mie figlie, quelli che abitano vicino alle mie figlie, e pensare che Anna ha aiutato tutti...Chiedo assistenza, ma è possibile - ha gridato Lina - che per far scattare la solidarietà bisogna ricorrere ai mezzi d'informazione? La gente è un po' buona e un po' cattiva, pensano alle malattie infettive e non si mischiano, io mi sento tanto sola». L'appello potrebbe sortire un effetto oggi, il Comune ha promesso l'invio di un assistente sociale a casa Cattinigrelli. La signora Lina aveva anche inviato un fax al sindaco Rutelli, ma non aveva avuto risposta. «Forse era troppo presto», dice. Giuseppe Visco, primario dello Spallanzani, si difende dalle accuse: «Con tutta la buona volontà non potevamo più tenere Anna e Paola in reparto, erano qui da tre mesi, le avevamo curate per una polmonite e per un'epatite, quei letti ci servivano per casi più urgenti. L'ospedale non può essere usato per scopi sociali, per quelli ci deve essere un'assistenza domiciliare efficace». [p. poi.]

Persone citate: Cattinigrelli, Giuseppe Visco, Rutelli, Spallanzani