Milano si inchina al re del karaoke

Nonostante la pioggia, trentamila in piazza del Duomo per lo spettacolo di Fiorello Nonostante la pioggia, trentamila in piazza del Duomo per lo spettacolo di Fiorello Milano si inchina al re del karaoke Mugugni in curia: è un'offesa alla dignità del luogo L'assessore Daverio: no, è un vero fenomeno di massa MILANO. Dopo la pioggia, i riflettori, l'urlo o lo sballo: «Fiorellooo!». E trentamila ragazzini diventano una cosa sola, una marmellata di sospiri, nel tele-abbraccio di piazza Duomo, dove la musica è l'unica coperta, 7 mila watt, le torri di amplificatori, i cavi, i quattro Tir bianchi con il grande biscione sulla schiena. Il resto non conta più: Vittorio Emanuele a cavallo, la Galleria vuota, il Duomo laggiù, l'Arcivescovado circondato dall'ombra. Tutto scomparso: il tempo e la tradizione, la polemica politica e il disappunto del cardinal Martini, l'irritazione degli intellettuali e le proteste vere o finte, che palle... Musica. Trionfa il perpetuo presente del karaoke, la sua vita in rima. E qui non frega a nessuno che i bacucchi intellettuali, i sinistri politici abbiano letto chissà cosa in questa gigantesca scorpacciata di sogni: strapotere culturale del berlusconismo, segno di regime, oppio di massa, Milano sottomessa. «Stupidaggini» va dicendo il rotondo Philippe Daverio, assessore alla Cultura. «Questo è un fenomeno di massa, davvero popolare, il resto sono birignao, sciocchezze paraculturali, noie professorali, menate...». «Fiorellooo!», se lo guardano e lo reclamano migliaia di ragazzine, «mamma mia che bello», «cazzo che figo», «ti adorooo», urlano in coro, spremute da questa folla in jeans, tutti con la bandana colorata, e la giubba striminzita, dove non si può più parlare e chi ti dà retta deve proprio gridarti nelle orecchie: «Sono qui da stamattina! Nooo, non ci vado più a scuola, cerco lavorooo». E un altro: «Levatiii». E un altro: «E' fortissimo, io sono anche milanistaaa». Chissà in quale punto della IL LESSICO DELLA DESTRA Qui accanto, il missino Teodoro Buontempo A destra, Gianni Pilo di Forza Italia LE MONDE Gilberto Donnini sbuffava: «0 basta, osteria, ma ci sono robe più importanti, no? Non è vero che ci siamo opposti. Abbiamo chiesto: questa sarebbe cultura popolare? Ecco: era un dubbio, meditate». Più affilato don Angelo Majo, arciprete della cattedrale: «Piazza Duomo ha una sua dignità e deve essere rispettata, lo spettacolo non mi sembra conforme al suo ruolo civile e religioso». Ma ci ha pensato Fiorello, buono e per bene, arrivato poco prima delle 20, in mezzo al puro delirio di mani, guance, spalle, a spegnere tutto in un sorriso: «Volevo ringraziare il cardinal Martini, per noi è un onore essere qui, ai piedi del Duomo, non si preoccupi, cantiamo solo». In effetti il più preoccupato era lui, ma non per la lesa piazza (che gliene frega zero, avendole passate tutte) ma per la pioggia che per l'intero pomeriggio ha allagato l'allagabile. Sarà che il cardinal Martini ha tutti i santi in Paradiso, ma quella pioggia, il torrente obliquo venuto giù dal cielo fino al tramonto, aveva uno scroscio beffardo, che lasciava squarci di sole a imbiancare la già bianca cattedrale. Il contrasto rivelava a colpo d'occhio la trincea incolmabile tra la silenziosa santità dei marmi e quel rumoreggiare di popolo pagano addensato in mezzo alle pozzanghere, che vagava tra ombrelli, cappellini, panini, abbracci, saluti, coca cola, scarpe di tela zuppa, capelli pettinati con il gel, spinte, bacetti e il cuore laggiù, oltre i 280 metri di transenne dove da un minuto all'altro si sarebbe materializzato il loro santo privato, il beautiful Fiorello. E l'umore della città è in questo chiasso e in questa attesa, nella baraonda dell'evento televisivo, ma anche nella suspense di quello politico, che qui in piazza si addensa davanti alle vetrine del bar Zucca, tra i grappoli di anziani (Berlusconi e la Lega, il Craxi e Di Pietro) che i ragazzini disperdono, ignari, a forza di spinte e di «permesso, permesso». «Noi non sappiamo più nulla, non capiamo più nulla», ripete sconsolato lo scrittore Vincenzo Consolo, che alla parola karaoke risponde con un esclamativo «Che orrore!», come il Kurtz di «Cuore di tenebra» intrappolato nel suo volontario esilio africano. Ed è

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