Al gran processo di Biagi un video senza piazze né platee

r TIVÙ'& TIVÙ' Al gran processo di Biagi un video senza piazze né platee ALL'APPARENZA non è fatto per sconvolgere, «Processo al processo»: il nuovo programma di Enzo Biagi, concepito per «fare un esame di coscienza» sugli ultimi anni d'Italia e ricostruire la via delle tangenti, è lontanissimo non soltanto dai modelli degenerati di giornalismo televisivo sedicente moderno, ma anche da quelli ormai classici di Santoro o di Lerner &• successori. Non ci sono piazze cui dar voce, non ci sono platee da far parlare, né dibattiti dove contendersi il microfono per l'intervento; non c'è un conduttore che fa proclami e tanto meno si agita. Neppure troviamo atmosfere sofisticate e rarefatte, fumisterie, arredi. Tutto è sobrio, sfondo azzurro cupo, spartane scrivanie in legno, unica concessione alla moda, il fatto che siano ricurve. Figuriamoci le grida o la regola del chi urla più forte vince: qui i pochissimi ospiti in studio non si permettono nemmeno di muoversi sulla sedia, altro che alzare i toni; qui neppure si parla, si interviene, ci si manifesta, se non si è chiamati a farlo. Biagi non si I scompone mai, non reclama I l'attenzione e la disciplina: sem¬ plicemente, a nessuno degli intervenuti potrebbe venire in mente di distrarsi o di interromperlo. Non siamo più abituati a questa televisione all'antica maniera: eppure, se vogliamo dare il solito sguardo ai numeri, 4 milioni 357 mila persone hanno seguito su Raiuno la prima puntata di questo racconto così scarno, così rigoroso, così triste, così lontano, pure, dalle pirotecnie computeristiche e verbali di Di Pietro. «Processo al processo» non ha niente che si possa definire «spettacolare»: non una concessione, non una sbavatura, non un richiamo a un'attenzione superficiale, sei in cucina, vieni, corri, senti quello che dicono. Ma se invece sentivi quello che gli intervistati dicevano, allora potevi anche sconvolgerti. E la testimonianza più sconvolgente è stata quella della vedova di Sergio Moroni, il deputato socialista di Brescia che, coinvolto nello scandalo, ha risolto la sua personale vicenda sparandosi un colpo di fucile. La donna diceva di condividere il gesto del marito, sosteneva che lui era stato coraggioso, che non aveva altra scelta, che non c'era una via migliore. Perché non poteva difendersi. Ecco il punto, l'impossibilità della difesa, che per molti è soltanto un ipocrita paravento, per altri è ragione di vita, o di morte. Le parole della signora Moroni tanto più colpivano quanto più erano pronunciate a ciglio asciutto, con il tono pacato di chi ha capito davvero. Nel programma le schede ricostruiscono i fatti, rilevano le contraddizioni, ipotizzano: quanti anni di galera, a esempio, si beccherebbero i personaggi coinvolti nello scandalo se glieli affibbiassero tutti? Dunque, primo della lista, Citaristi con 912 anni, secondo Craxi con 782, giù giù fino a Cariglia, soltanto 100... Andreotti dice di voler pensare alla sua anima, Di Lorenzo lamenta di «essere stato oggetto di una forma di criminalizzazione» e Di Donato ricorda (prima dell'arresto) che comunque i socialisti hanno portato l'Italia tra i 7 Paesi più ricchi del mondo. Biagi intervista, ne sente di tutti i colori, e non dà giudizi. Ma si chiede: «Ho sempre un dubbio: non è che perseguitiamo un innocente?». Alessandra Co ma zzi

Luoghi citati: Brescia, Italia