Debutterà a San Miniato «Cristo proibito» l'unico film che lo scrittore girò nel'50 di Osvaldo GuerrieriCurzio Malaparte

Debutterà a San Miniato «Cristo proibito», l'unico film che lo scrittore girò nel '50 Debutterà a San Miniato «Cristo proibito», l'unico film che lo scrittore girò nel '50 ROMA. «Cristo proibito», il primo e unico film di Curzio Malaparte, girato nel 1950, diventerà teatro per iniziativa del festival di San Miniato. Il 15 luglio il regista Massimo Luconi e la compagnia Arca Azzurra diretta da Ugo Chiti rappresenteranno, con l'interpretazione di Massimo De Francovich, Claudio Bigagli e Lucilla Morlacchi, la vicenda di Bruno che, dopo dieci anni di guerra, torna a casa assetato di vendetta per aver saputo che un suo giovane fratello è stato trucidato dai tedeschi dopo la delazione di un traditore. Il vendicatore raggiunge la sua vittima dopo alcuni delittuosi disguidi, ma riesce a perdonarla «in articulo mortis». Film sfortunatissimo. Mario Gromo scrisse su «La Stampa» che «Cristo proibito» era «letteratura "placcata" di cinema», privo di emozioni, con un dialogo «pretenzioso, forbito e gelido, anche se talvolta urlante». Per Malaparte fu un colpo. Aveva girato il film sulle colline terrose di Montepulciano, immerso in un cappottone per proteggersi dal vento gelido e trangugiando pastiglie di penicillina per difendersi dall'influenza. Intorno a sé aveva attori di prim'ordine: Raf Vallone protagonista, Elena Varzi, Gino Cervi, Alain Cuny, Rina Morelli, Anna Maria Ferrerò. Era eccitatissimo dalla scoperta del nuovo mezzo. E non a caso di quel film era stato l'autore totale: aveva scritto il soggetto e i dialoghi, aveva firmato la regia e perfino le musiche. Malaparte non conosceva neppure una nota e allora, raccontò egli stesso, coinvolse nell'impresa il postino, che suonava il clarino nella banda del paese. Il neo-regista fischiava e cantava le sue melodie, il postino-clarino le trascriveva. Ma tanto fervore era destinato a non dare frutti. 11 fiasco del «Cristo» allontanò i produttori e tutti i progetti a cui Malaparte continuò a lavorare rimasero irrealizzati. Massimo Luconi se l'è guardato almeno sei volte quel film. Ora desidera dimenticarlo. Sta lavorando con Chiti alla riduzione teatrale, ma promette di non voler tradire né la sceneggiatura né Malaparte. Nutre per lo scrittore una venerazione profonda, nata da fortuite coincidenze: è di Prato anche lui, casa sua è vicinissima a quella in cui nacque il «maledetto toscano»; ha frequentato a lungo il Fabbricone, dove aveva lavorato il padre di Malaparte: prima giocandoci, poi assistendo Luca Ronconi nella realizzazione della «Torre» di Hofmannsthal, delle «Baccanti» di Euripide, del «Calderon» di Pasolini. La sua fascinazione si è trasformata, col tempo, nel rapporto più meditato della creazione artistica. Nell'87 mise in scena tre spettacoli: «Musiche per Malaparte» con Maurizio Donadoni; «Malaparte attraverso la memoria» al Fabbricone e «Casa come me». Quest'ultimo spettacolo fu rappresentato nella villa di Malaparte a Capri, che venne riaperta proprio per quella circostanza: «Lo spettacolo invadeva tutta la casa, fino al terrazzo. Prepararlo fu faticosissimo: le scenografie furono portate via mare». Ora è la volta del «Cristo proibito», il cui insuccesso, per Luconi, fu la conseguenza di una profonda incomprensione: «Con quel film Malaparte anticipò di qualche anno il Pasolini di "Accattone"». Tuttavia, secondo il regista, Malaparte sbagliò a utilizzare attori famosi: «La storia popolare contrastava con la presenza dei divi. In quel contesto, Alain Cuny doppiato non funzionava». Ma in che modo quel film può ancora interessarci? «Per alcuni seri motivi - risponde Luconi -. Per l'ossessione sempre attuale del Cristo, per il nostro bisogno di rinnovare il sacrificio della Croce; e poi per la presenza di Malaparte, che era un divo assoluto e che potremmo considerare simile a Pasolini, almeno nella capacità di anticipare gli eventi. Nel film il protagonista indossa una divisa americana, quasi annunciando la distruzione della nostra cultura». Crede che, dopo lo spettacolo. potremo modificare il nostro giudizio su Malaparte? «Purtroppo siamo abituati a pensare per cliché, crediamo che lo scrittore sia quasi dimenticato. Invece il club malapartiano è più grande -1' quanto si creda. Oggi Malaparte ci fa pensare allo Strapaese, lo consideriamo uno scrittore regionalistico. Spero di fare un bello spettacolo per rendergli giustizia». Quale potrebbe essere il primo punto da correggere? «L'immagine di Malaparte fascista. Lo fu nella prima ora. In realtà fu un opportunista che pagò col confino il suo antifascismo. Naturalmente tutto ciò non verrà fuori dallo spettacolo. M'interessa che emerga la nostra pietà». E mentre l'editore Vallecchi annuncia la pubblicazione dell'«omnia» malapartiana (primi titoli: «Tecnica di un colpo di Stato» e «La rivolta dei santi maledetti») ecco il bisogno, sollecitato dallo stesso Luconi, di riconsiderare l'esperienza umana di Malaparte: «uomo imprevedibile e imprendibile», disse di lui Raf Vallone, un intellettuale che «seduto sulla riva della vita ne vide scendere il fiume, lo descrisse, ma non vi si immerse mai». Osvaldo Guerrieri Curzio Malaparte sul set del film girato nel 'SO. Sopra: colline senesi

Luoghi citati: Capri, Montepulciano, Roma, San Miniato