Il mito di Hitler? Lo inventò un fotografo

Polemiche in Germania per la mostra di Heinrich Hoffmann: sì a Monaco, mai a Berlino Polemiche in Germania per la mostra di Heinrich Hoffmann: sì a Monaco, mai a Berlino Il mito di Hitler? Lo inventò un fotografo Contò più lui di Gòbbels e della Riefenstahl IT MONACO \ EL 1964 scriveva Char» He Chaplin nella sua ■ autobiografia: «Van±-U derbilt mi spedì una serie di fotografie formato cartolina che mostravano Hitler durante un discorso. Il viso era oscenamente comico» E aggiungeva: «Una brutta copia del mio, con i suoi assurdi baffetti, le lunghe ciocche ribelli e una boccuccia disgustosamente sottile. Non riuscivo a prenderlo sul serio. Ogni cartolina ne illustrava una posa diversa: una con le mani simili ad artigli, mentre arringava la folla, un'altra con un braccio levato e l'altro lungo il corpo, come un giocatore di cricket che sta per lanciare la palla, e un'altra con le mani strette davanti a sé come se stesse sollevando un manubrio immaginario. Il saluto con la mano rovesciata all'indietro sulla spalla e col palmo rivolto all'insù mi faceva venir voglia di metterci sopra un vassoio di piatti sporchi. "Questo è matto!", pensai. Ma quando Einstein e Thomas Mann furono costretti a lasciare la Germania, il viso di Hitler non era più comico ma sinistro». Queste fotografie che Chaplin vide nel 1933 e a cui si ispirò nel tratteggiare il personaggio di Hynkel nel Grande Dittatore, facevano parte di una serie di sei cartoline che la casa fotografica Heinrich Hoffmann di Monaco aveva messo in commercio fin dal 1928 e che per almeno un decennio circolarono in Germania, tanto che nel 1937, proprio rifacendosi ad esse, il critico cinematografico Bernhard Viertel proponeva di realizzare un «Hitler-Film»: un film, cioè, che mostrasse la natura e il carattere del Fuhrer nei suoi diversi aspetti ed espressioni. E sono queste foto che costituiscono uno degli elementi di maggior interesse di una mostra, aperta presso il Fotomuseum di Monaco, ma già con- testata da più parti (e fatta decisamente saltare a Berlino) organizzata congiuntamente dai musei storici di Berlino e di Saarbrucken, che si intitola Hoffmann & Hitler, Fotografie als Medium des FiìhrerMythos. Una mostra, e un bellissimo catalogo curato da Rudolf Herz (ed. Kinkhardt & Biermann, Monaco 1994), che ripercorrono non soltanto la carriera di Heinrich Hoffmann, fotografo di fiducia di Hitler fin dai tempi di Monaco, nei primi Anni Venti, ma anche e soprattutto la creazione progressiva di un mito, quello del capo carismatico, che sarebbe stato imposto nel corso del decennio seguente attraverso tutti i mezzi di comunicazione di massa: oltre alla fotografia, il giornale illustrato, la stampa quotidiana, il cinema, la radio. Di questa mitizzazione di Hitler, studiata con molta cura di anno in anno, aggiornata secondo le esigenze della propaganda, controllata nei minimi particolari, Hoffmann fu certamente l'artefice supremo, più dello stesso Gòbbels o di Leni Riefenstahl, che al mito del Fùhrer dedicò il suo straordinario Triumph des Willens, trionfo della volontà, apoteosi del capo in mezzo alla folla plaudente, ai giovani hitleriani, ai militanti e ai notabili del partito durante il congresso di Norimberga del 1934. Perché le fotografie di Hoffmann, che ebbe l'esclusiva dell'immagine di Hitler e fece della sua ditta un'impresa miliardaria, divennero il modello dell'iconografia nazista, divulgarono in milioni di esemplari quel viso, quelle espressioni, quei gesti, quello sguardo magnetico, quegli atteggiamenti che Charlie Chaplin trovava ridicoli e grotteschi, ma che si rivelarono ben presto terribili. Il volto del Male, contrabbandato per due decenni, dal 1923 al 1945, come il volto della sicurezza e dell'ordine, dell'unità nazionale e della rinascita tedesca dopo la crisi de¬ gli Anni Venti. Il percorso della mitizzazione hitleriana attraverso la fotografia - basti vedere alcuni eccellenti manifesti elettorali come quello, modernissimo, dell'aprile 1932, o qualche splendido ritratto, quale il Reichskanzler Adolf Hitler del 1933, o la serie delle copertine del settimanale Illustrierte Beobachter, ben 207 fotografie di Hitler fra il 1933 e il 1945 - è un percorso che testimonia al tempo stesso l'eccellente macchina propagandistica hi- tleriana e l'efficacia di un mezzo di comunicazione che «martellava» il cittadino, unitamente alla radio, alla stampa e al cinema, come oggi riesce a fare la televisione. E poiché allora i mezzi di comunicazione erano sotto il ferreo controllo dell'autorità politica, dell'unico partito che si identificava col governo e con lo Stato, questo capillare indottrinamento degli spiriti assumeva il carattere di una totalizzante identificazione sociale, in cui l'individuo si annullava nella massa: Ein Volk, ein Reich, ein Fùhrer!, un Popolo, uno Stato, una Guida! Al di là dell'interesse storico che questo materiale documentario suscita, c'è una lezione da apprendere: l'immagine, più delle parole - o come le parole semplici ripetute all'infinito -, ha un potere di seduzione che rischia di annullare, o quasi annullare, le facoltà intellettive, la ragione stessa. Gianni Rondolino Charlie Chaplin: «Mi spedirono le fotografie del Fùhrer: era davvero ridicolo. Pensai: questo è davvero un matto» Ma quando Einstein fu costretto all'esilio... Nella foto qui sopra: un ritratto di Hitler del 1925. Da sinistra: le cartoline del 1927 In alto: il poster del 1934 Qui accanto: il Cancelliere nei 1933

Luoghi citati: Berlino, Germania, Monaco, Norimberga