Milano i sommersi e i salvati

L'assessore leghista Vitale promette 3 mila miliardi di investimenti per la rinascita della città L'assessore leghista Vitale promette 3 mila miliardi di investimenti per la rinascita della città Milano, i sommersi e i salvati Franano gli yuppie, l'economia rincorre Silvio LA NUOVA CAPITALE PMILANO ER favore, chiamate i cartografi (e un paio di psichiatri junghiani) perché qui, nella nuova capitale della rivoluzione conservatrice, c'è tutto da riscrivere: mappe, poteri, organigrammi (dei nuovi vincitori) e molto da consolare (tra gli sconfitti). Cosa sta succedendo nel cuore del cuore di Milano, dove transitano l'ossigeno dei soldi e lo specchio delle ambizioni? Che fine faranno gli architetti, i finanzieri, gli stilisti, i banchieri, i pubblicitari, gli imprenditori che hanno navigato, galleggiato, svettato nel mondo di ieri? 0 bella: nessuna fine, per molti di loro, ma un nuovo inizio. Come accade sempre: ai molti sugheri nella corrente basteranno un paio di capriole per saltare dall'ultimo brindisi del Titanio, sul nuovo Rex che salpa. Ma le capriole saranno (pur sempre) uno spettacolo da non perdere, e perciò mettiamoci in prima fila - come l'abbonato Rai - anzi cominciamo proprio da lì, sede di corso Sempione, 5 piani, 1300 addetti. A metter piede nel panettone bianco della Rai, senti un clima da 8 settembre con truppe allo sbando e graduati senza più eserciti e militi ignoti rimasti con la razione di un giorno. La prima voce carbonara racconta che un gruppo di impiegati stia trafficando per fondare il primo club Forza Italia. Mezze voci, mezzi sorrisi, mezze ammissioni, fino a quando arrivi da tale Giordano Scetti, impiegato del commerciale, ex Uil, ex psi, che ti fa: «Il Club nascerà». Tombola: è lui l'ostetrico del nuovo pargolo berlusconiano in terra Rai. Dice, con qualche sospetto: «Stiamo lavorando, qui c'è entusiasmo e attesa... Adesioni? Ne prevedo parecchie decine... Non è mica un reato». E la seconda voce che ti assale come uno spiffero è l'imminente battaglia tra i resistenti dell'Usigrai - sindacato giornalisti finito per intero nelle liste di proscrizione della nuova destra - e i guastatori in doppiopetto battezzati «Gruppo dei 100», organizzati a Roma dalla ex craxiana Giuliana del Bufalo, bionda come un garofano appassito, pronta a rifiorire tra i sali minerali di Forza Italia. Renzo Canciani, capo delle relazioni esterne - ex Uil, ex psi, una recente spolveratina leghista - guarda il paesaggio e non va al di là dei preliminari: «Certo le cose qui cambieranno, auspico in una direzione che personalmente perseguo da tempi non sospetti. Le sede Rai deve sposare la cultura d'azienda. Cosa significa? Merito, efficienza, produttività, mobilità». Parole che hanno uno strano suono metallico tra le pareti di gomma dell'Ente più assistito (con i soldi pubblici) e più coccolati (dagli ex partiti privati). Comunque parole che riverberano direttamente dalla tecno-officina di Arcore, dove il prossimo presidente del Consiglio tutto sa, tutto prevede, a tutto sorride. «La Rai è una piramide - dice un giornalista resistente, niente nomi, per carità - e se verranno spazzati i vertici, la frana arriverà qui, portandosi via i piani alti». Dunque tutto è pronto a traballare: Mario Maffucci, direttore di sede, Barbara Scaramucci, direttore dei tg regionali, il suo vice Ennio Chiodi, il responsabile della redazione Roberto Costa, e poi via a scendere tra i 75 giornalisti, dove (però) compaiono qua e là gli italoforzu- ti. «Non ci risultano ancora - dicono quelli del comitato di redazione - ma non vuol dire: rimarranno clandestini fino a governo insediato, poi si toglieranno la cenere di dosso». E tra le molte ceneri (giudiziarie e carcerarie) impresa, finanza e professioni iniziano a fare i conti con la nuova egemonia politica che è nata a Milano. Assolombarda attende il prossimo 6 giugno per incoronare Silvio. Ma il più è bell'e fatto. «Il grosso delle imprese si è già schierato spiega con disincanto Ernesto Gismondi, titolare di Artemide, uno dei pochi industriali che alle scorse elezioni ha corso per i progressisti -. Il segnale forte è arrivato da Verona, quando Gianni Agnelli ha nominato il povero Spadolini e l'assemblea di Confindustria ha rumoreggiato contro. Quello è il segnale». Chi sale? Chi scende? Chi resta dov'era? Il declino tocca prima di tutto agli ammanettati: Salvatore Ligresti (ex re del mattone), Pompeo Locatelli (ex potentissimo commercialista, stretto entourage di Bettino), 0 demo-sinistro Roberto Mazzotta (ex presidente Cariplo), il sempre allegro Silvano Larini (ex faccendiere personale del solito Bettino). Ma si va pure spegnendo la stella di Gianni Varasi, anche lui craxiano, ex socio di Gardini, che da un po' di mesi aspetta (in terra di Francia) la piega degli eventi. E si va attenuando il lucore di Francesco Micheli, finanziere (celebre la sua scalata alla Biinvest per conto di Schimberni, favolosi Anni Ottanta) da qualche tempo pazientemente tallonato da Di Pietro. Si va allontanando l'ex potente Giampiero Cantoni, che ai tempi del Caf fu presidente dell'Ibi e poi della Bnl. Così come si attenua la voce (e il buon umore) di Piero Bassetti, presidente della Camera di commercio, ex democristiano, avversario di Formentini nella corsa alla poltrona di sindaco, spazzalo via al primo turno. I raggi arcoriani che da una parte spengono, dall'altra accendono. E se mai ce ne fosse bisogno, vanno a posarsi (lievemente) al cospetto di Enrico Cuccia, re di Mediobanca, che in queste settimane sta sistemando la quotazione in Borsa della Mondadori. Tanto tempo fa, anno 1986, Berlusconi fu l'unico, tra i grandi privati, a non entrare in Mediobanca. Disse no grazie, «i salotti non mi interessano», ma oggi è tutta un'altra musica. E non è affatto escluso che il vecchio Cuccia darà almeno un'occhiata (premurosa) al gran lavoro di Tato che di spada e di inchiostro fa dimagrire i conti Fininvest. E brilla sempre di più lo scontroso Marco Vitale, superassessore di Formentini, che ha appena firmato il bilancio di Milano, annunciando privatizzazioni a tutto spiano e «tremila miliardi di investimenti per la rinascita della città». Sarà magari una coincidenza, oppure un indizio, ma nella nuova capitale politica sta iniziando il disgelo di opere e di edilizia. Si è sbloccato, dopo nove anni, il progetto del passante ferroviario, e anche il tira e molla della nuova Fiera, e anche i progetti per la viabilità d'accesso alla città. Tra non molto le schiere di architetti ex tutto si rimetteranno in moto, come prevede l'Andrea Balzani, scottato da troppa vicinanza all'incendio socialista, che firmò il piano regolatore e oggi guarda da lontano gli 11 architetti - tra cui Pier Luigi Nicolin, Enrico Battisti, Raffaello Cecchi, Pippo Traversi, Mario Botta - che hanno firmato il «ridisegno» della sua creatura. «E' finita un'epoca - dice -, l'incarico facile non lo darà più nessuno e i committenti staranno attenti agli spiccioli. Peccato - sospira con tono sconsolato -. A molti di noi è andata male... Pensi alla Roma di Sisto V e alla fortuna che ebbe Domenico Fontana che la disegnò per lui. Ecco: noi anziché incontrare il mecenate dell'epoca, siamo incappati nei mascalzoni del nostro tempo. Anziché fare, siamo stati disfatti». E nel gioco del chi sale, chi scende, c'è l'opposto destino dei due fiscalisti più celebri: Giulio Tremonti, in corsa per un dica- stero economico nell'imminente squadra berlusconiana, e Victor Uckmar che si è infilato nella squadra avversa, quella di Montanelli, capofila degli anti-Silvio. Non sfiorati dal proprio piedistallo ce ne sono pochini e per ora stanno a guardare protetti dal caldo del loro prestigio. Il rettore della Bocconi Mario Monti, che insiste a dire no alle lusinghe governative del Dottore, ma anche un personaggio come Giorgio Armani, uno dei pochi stilisti che mai si mischiò alle fanfare della politica e non ha nessun bisogno di ridisegnarsi il paltò. Tanto per dire, prendete un Nicola Trussardi che con ago, filo e garofani ci ha marciato un bel po', oggi lo sentirete dire: «Io socialista? Mai!». O la Krizia che ha smesso di sorridere ai fotografi delle assembee socialiste, o la Raffaella Curiel che vestiva la signora Anna (Craxi), tutti lì, uffa, ad archiviare l'acqua passata. Con Gianfranco Ferrè che tranquillo dichiara: «Noi della moda ci siamo fatti da soli». «Basta aspettare: siamo tutti figli della lupa, e la lupa adesso si chiama Silvio...» dice il pubblicitario Gavino Sanna, protagonista (e osservatore) di un altro sottomondo milanese pronto alle capriole. «Ancora per un po' yuppini» li definisce Bob Lasagna, che da ex pubblicitario (mega-dirigente della Saatchi & Saatchy) ha curato la campagna elettorale di Berlusconi e già che c'era si è beccato il collegio senatoriale Milano 4. «I pubblicitari sono sempre stati affascinati dalla sinistra, ma adesso cambieranno parere, lo dico in amicizia... Era una posizione incongrua perché in fondo nessuno dovrebbe essere più amante del libero mercato e della concorrenza di chi lavora per la comunicazione delle aziende... E' peccato che sprechino il loro talento. Prenda Emanuele Pirella, per me lui è un leader naturale. Anzi se devo dare un consiglio gratis, i progressisti farebbero bene a metterlo al posto di Occhetto». E' un'idea. Tanto in questa città trasformata può accadere di tutto. Per esempio che si parli con insistenza di uomini Uil in avvicinamento a Forza Italia. Per esempio che una giovane insegnante berlusconiana, Valentina Aprea, batta Antonio Pizzinato, vecchia roccia Cgil, nel collegio ultra rosso di Rozzano. Per esempio che nascano i club come funghi tricolori ( 197 a oggi, ma altri 37 sono pronti). Per esempio che il presidente del consiglio di Borsa, Attilio Ventura, faccia acquistare nuove sedie in occasione della visita di Giancarlo Pagliarini, senatore leghista, probabile ministro economico. Il quale Pagliarini senza malizia racconta: «L'altra mattina davanti al collegio San Carlo mi ferma un tizio e mi dice: "Se posso permettermi, senatore, le darei questo foglio, il mio curriculum. Ero un imprenditore, ora sono disoccupato. Cerco un lavoro qualunque. Anche all'estero, disponibile subito". Guardi, il foglio ce l'ho qua, sulla scrivania, l'uomo si chiama Antonio C, classe 1940, ex titolare di un'azienda di pompe per acidi. Lei ha già capito - continua il Pagliarini - che questa non è una semplice richiesta di raccomandazione, in questo foglio c'è tutto il dramma e tutta la voglia di ricominciare di Milano. Non trova?». Come no. Assomiglia al destino di chi non sa ancora come saltare via dal Titanic. Pino Corrias Nel palazzo Rai di Corso Sempione i giornalisti aspettano il ribaltone e gli impiegati preparano il primo club «Forza Italia» Gli architetti: volevamo fare, ci hanno disfatto