Vuoi il potere? Parla lentamente

Vuoi il potere? Parla lentamente Ricerca francese: in politica paga il silenzio Vuoi il potere? Parla lentamente SARA' contento Adriano Celentano: la sua «teoria dei silenzi» non è solo geniale intuizione di guitto (che il 26 marzo scorso, nell'appello finale agli elettori, ha peraltro portato la lista di Pennella al limitare del 4%) ma ha consistenza scientifica. Danielle Duez, ricercatrice dell'Università di Aix-en-Provence, ha provato che più gli uomini politici sono sconosciuti, più sono logorroici. Viceversa più contano, più lunghe sono le loro pause. Potere e silenzio, dunque, vanno a braccetto. Lo studio della Duez parte dal presidente francese Frangois Mitterrand, fotografato in tre momenti chiave della sua carriera: nel 1974, quando perse le elezioni. Nel 1984, Presidente nel mezzo di una crisi. Nel 1988, Presidente in campagna elettorale. Ebbene, nel 1974 Mitterrand parlava in fretta, solo il 30 % del suo discorso era composto da pause. Nel 1984, all'apice della sua popolarità, le pauso erano salito al 40 %. «Non era più obbligato a giustificare o spiegare perché si trovasse in una posizione di potere», commenta la Duez. Infine, nel 1988, le pause erano scese, ma di poco: 36 %. Gli osservatori allora commentavano che Mitterrand aveva preferito giocare la parte del presidente e solo per caso candidato, piuttosto che quella del candidato e solo per caso presidente. La Duez prosegue con gli esempi di grandi silenziosi francesi, da Pompidou (53 % di pause, che durano fino a 2,2 secondi) a Chirac (i cui silenzi medi però non superano il secondo e mezzo). Il più logorroico è invece il socialista Rocard, il suo massimo silenzio non arriva al secondo. Il che non suona a incoraggiamento per le prossime presidenziali. «Sì, è una teoria plausibile commenta lo psicoanalista Aldo Carotenuto -. Le lunghe pause, le poche, scolte, parole, possono ini nanziluttu s;o.iiil„uit; chu la por- Bettino Craxi sona si sente superiore e non ha intenzione di sprecarsi più del necessario. Non solo: se non sono nessuno, devo parlare a lungo per convincere gli altri. Se ho carisma, invece, una parola basta a comunicare tutta una serie di significati». E ricorda, Carotenuto, lo stile lapidario di Winston Churchill, direttamente proporzionale al suo ascendente sugli inglesi. D'altronde, quando Vittorio Sgarbi ha voluto essere ascoltato sul serio (Berlusconi l'aveva ripreso per le continue polemiche interne fra opinionisti Fininvest), non ha usato la solita, rissosa eloquenza. E' rimasto invece zitto, in di- retta, per dieci lunghissimi minuti, esibendo solo alla fine un cartello con su scritto «Basta, sì». Una protesta che ricorda quelle di molti anni prima dei radicali nei confronti delle tribune politiche Rai. Ma sono Sergio Cusani e Bettino Craxi, i campioni italiani del silenzio. L'uno magro, ascetico, elegante, ha attraversato il processo più sensazionale della storia della Prima Repubblica senza quasi aprir bocca, accreditando così un'immagine di implacabile custode della verità. Un silenzio, il suo, in cui il pubblico poteva leggere volta a v'olia disprezzo, riflessione, financo pentimento. Messo a confronto con l'affannarsi logorroico dei tanti testimoni, l'imputato è uscito vincente, almeno quanto a carisma. Di Bettino Craxi vengono spesso e volentieri ricordati silenzi strategici e pause ad effetto, nei discorsi parlamentari degli anni d'oro. Ed è, all'opposto, fresca la memoria del fiume di parole, dossier, accuse post Tangentopoli, per divulgare la sua verità sul sistema corrotto. Il che sarebbe ulteriore prova della teoria che silenzio e potere vanno a braccetto. Perso l'uno, si perde anche l'altro. Bettino Craxi