Tuteliamo per favore le minoranze del video

Tuteliamo, perfavore le minoranze del video Tuteliamo, perfavore le minoranze del video PARLANDO di destra e di sinistra, dei «trinariciuti» che stanno di qua e di là, della furbizia che non è una diretta conseguenza dell'intelligenza, Indro Montanelli ha terminato domenica il suo percorso tv di «Eppur si muove», compiuto accanto a Beniamino Placido. Badiamo sempre all'audience, madre/matrigna di tutte le decisioni: ebbene, eppur muovendosi su questo terreno minato (e le mine sono i telecomandi, che lo spettatore aziona quando vuole per muoversi contro la noia), la strana coppia ha terminato il suo programma davanti a un milione e mezzo di telespettatori. Qualcuno riderà: e allora? Che cos'è quel milione e mezzo nei confronti dell'eternità diecimilionaria di Castagna? E' meno, si capisce, è molto meno, è incomparabilmente meno: però non è poco. Pensiamo un po'. Dopo una sigla in cui il dottor Jeckill si trasforma in Beniamino Placido-Myster Hyde, alcuni signori si mettono a discutere intorno a un tavolo. Fanno autocritica sugli italiani, si chiedono quali diavolo siano le nostre caratteristiche, così apparentemente opposte. Siamo furbi, siamo fessi, siamo per la don- nost: renti bi, si na, siamo per l'uomo, stiamo a destra, stiamo a sinistra? Parlano, di questi nostri difetti, in modo piano e discorsivo, ma nello stesso tempo ricco di citazioni, di rimandi. Un tipo di conversazione che bisogna mettersi lì e ascoltarla: loro due, un ospite volante (domenica c'era Vittorio Foà) e uno fisso, Renato Mannheimer, il simpaticissimo uomo delle statistiche. Quel milione e mezzo di telespettatori che ha salutato «Eppur si muove» non rappresenta un cattivo risultato quantitativo. Allora Baricco con «Pickwick», che viene dopo? Va ancora peggio, eppure la trasmissione è bella. Vecchio problema. Chissà se erano soddisfatti, alla fine. Montanelli e Placido. Nel congedarsi, Montanelli ha detto: «La nostra trasmissione non ha ottenuto un grande successo di pubblico, ma chi l'ha seguita si sarà reso conto che in Italia si può ancora parlare a bassa voce, e di problemi importanti, con civiltà; si può parlare senza che nessuno cerchi di chiudere la bocca a un altro: e questo in un Paese maleducato». Naturalmente, in una televisione svelta e aggressiva, questi possono essere considerati difetti: ma se una minoranza di un milione e mezzo di persone gradisce, dovrà pur essero tutelata, no? Salvaguardiamo, per favore, le minoranze televisive. Minoranze anche per Gianni Ippoliti, che ha acquisito la fascia della terza serata di Raitre, il lunedì, e non la molla. Si chiama «Spazio Ippoliti», e lui ci mette dentro quel che vuole. Finita la fase dei «Processi somari», il conduttore non è più circondato dalla corte dei miracoli, ma si dibatte cercando, secondo le sue abitudini, di smontare e dissacrare. Come dev'essere difficile, pure per lui. L'altra sera, capelli impomatati e tirati all'indietro, baffetti da sparviero, vendeva all'asta i cimeli della «prima repubblica», dallo scarpone di Biondi ai vecchi libri di Andreotti. Ma la cosa più bella di Ippoliti è che è riuscito a conquistarsi il professor Federico Zeri, il quale, cuffietta in testa, bavaglino al collo, ciucciotto in bocca, rifiutava il cibo: «Ci sono 1500 premi letterari in Italia, io devo leggere, non posso perdere tempo a mangiare la pappa». Un grande pezzo di piccola tv. nostrrentebi, sinost: I renti I bi, si a i — I Alessandra Coma zzi zzi I PROGRAMMI DI OGGI

Luoghi citati: Italia