«la polizia proteggeva i boss» di Fulvio Milone

Arrestati 2 funzionari, sospesi i capi della Criminalpol. «Coprirono i rapporti tra Gava e camorra» Arrestati 2 funzionari, sospesi i capi della Criminalpol. «Coprirono i rapporti tra Gava e camorra» «la polizia proteggeva i boss» Napoli, in cella l'ex questore Matteo Cinque della questura napoletana, il vicequestore in pensione Ciro Del Duca, in servizio alla squadra mobile e poi dirigente dei commissariati più «caldi» di Napoli. Con loro è stato arrestato Antonio Nunziata, commerciante in odore di camorra. Manzi e Del Duca sono accusati di aver messo la loro firma in calce a una serie di relazioni «addomesticate» nei confronti di Antonio Malvento, socio di Alfieri, per evitare un sequestro di beni. Del Duca, inoltre, avrebbe avuto in regalo da Alfieri marmi pregiati per ristrutturare la sua abitazione. Un quinto personaggio, Gennaro Bifulco, ex sindaco de di San Gennaro Vesuviano, è latitante. Ma la scossa più violenta che ha fatto tremare il palazzo della questura si è sentita alle nove di ieri quando un messo del tribunale ha consegnato due atti giudiziari al capo della Criminalpol, Umberto Vecchione, e al suo vice Carmine Esposito, sospesi dal Per una volta partiamo dalla fine, o meglio dalla «non notizia», posto che la notizia è di quelle che non destano più emozioni. Da ieri, dopo una nuova retata di quindici fra politici, assessori e spicciafaccende, Napoli può contare su tre (dicesi tre) uomini pubblici che non rischiano la galera. Due, Francesco De Martino e Maurizio Valenzi, sono più che ottuagenari e vivono da tempo lontani dalle cose della città: l'altro è Antonio Bassolino, sindaco che comincia ad avvertire i segni dell'assedio. Primo corollario: con gli arresti di ieri, in città i rivelatori di inquinamento istituzionale hanno raggiunto il loro massimo, e ormai non si capisce più quali altri campanelli possano far suonare. La palude ha ricoperto anche gli ultimi isolotti, non esistono più articolazioni amministrative, uffici pubblici, gruppi, enti, associazioni di qualche rilievo che non siano toccati e sconvolti da indagini di una magistratura a sua volta sconvolta e toccata. Seconda, desolante constatazione: Tangentopoli non è servita a granché, almeno in una realtà come questa. Poiché se qualcosa merita di essere rilevato nell'ennesima serie di arresti è che in Campania, e probabilmente anche altrove, mentre cadevano le teste di viceré e governatori c'era chi appena uscito di galera tornava alla carica per riscuotere le ultime rate di vecchie tangenti. Lo hanno fatto esponenti del «nuovo», del seminuovo e dell'usato senza garanzia. A ben vedere, anzi, la lezione più amara della storia che stiamo per raccontarvi sta nella riscoperta di una sorta di rettilario dove il vecchio s'intreccia al nuovo, lo avvolge, lo sopravanza, lo confonde. Parlavamo di quindici persone arrestate: in realtà lo scandalo - se ancora si può definirlo tale - coinvolge una sedicesima persona che era già in carcere e a questo punto non lo lascerà tanto presto. Parliamo di Giulio Di Donato, socialista, già esponente della «Trimurti» che con successo si sforzava di riprodurre su scala locale i trionfi nazionali del Caf. Arrestato pochi giorni fa, l'ex «diverto Giulio» sembra adesso molto provato dal diluvio che gli si sta scatenando servizio per ordine dei magistrati. Anche loro avrebbero coperto indagini imbarazzanti che avrebbero potuto condurre, ancora una volta, ad Antonio Gava. Un colpo durissimo per la polizia napoletana: gli agenti della Criminalpol si sono autoconsegnati per un'ora. Sono tornati al lavoro solo dopo l'intervento del questore. I magistrati della Direzione distrettuale antimafia snocciolano un rosario di accuse che farebbero impallidire un criminale incallito. Cominciano con Matteo Cinque, l'uomo che fino a un anno fa era considerato il terrore di mafiosi e camorristi. In realtà il questore, all'epoca capo della Criminalpol, avrebbe fatto di tutto per coprire la latitanza di Carmine Alfieri, per dieci anni «primula rossa» della mala vesuviana. La prima occasione d'oro per arrestare il boss fu persa il 6 novembre dell'89, quando la questura intercettò una telefonata fra una donna e «don» Carmine. «Ti richiamo fra un'ora» disse il padrino alla sua interlocutrice, e gli agenti si precipitarono nelle campagne di Nola, dove il boss si nascondeva da sempre, nella speranza di rintracciarlo. La seconda telefonata, però, non fu mai fatta. Perché? Il sospetto è che qualcuno, forse all'interno della Criminalpol, avesse fatto la spia. Seconda occasione perduta: 10 febbraio '90, quando gli uomini della questura intercettano un'altra telefonata. Un ispettore si precipita da Cinque e lo avverte che, di lì a poco, i camorristi si riuniranno in un paese della provincia napoletana. Potrebbe esserci anche Alfieri, sicuramente parteciperanno i suoi uomini e un pugno di amministratori locali legati a Gava. Il capo della Criminalpol, però, nicchia. E alla fine ordina ai suoi di non muoversi, perché non ci sono agenti a sufficienza per organizzare un blitz. Fa di più, Cinque: dimenti¬ ca di avvertire il magistrato. Ma questo è niente, rispetto alle altre accuse mosse a Matteo Cinque. I magistrati gli attribuiscono un ruolo determinante in un intrigo politico-mafioso che si dipana fra l'Italia e l'Olanda. Il protagonista è un camorrista ricercato, Francesco Russo. L'uomo, arrestato il 22 aprile del '90 dalla polizia di Amsterdam per possesso di armi, fornisce generalità false: dice di chiamarsi Francesco Esposito. Interrogato, lascia di stucco gli investigatori olandesi rivelando di sapere tutto sulle trattative avviate neh'81 fra servizi segreti, camorra e politici democristiani per la liberazione di Ciro Cirillo, assessore regionale rapito dalle Br. Ma non basta: assicura che ad Amsterdam vive un malavitoso vicino al boss Michele D'Alessandro, Salvatore Cosma, amico di Antonio Gava. Cinque, informato dall'Interpol, manda ad Amsterdam un suo uomo. Riesce ad identificare Russo, ma si guarda bene dal dirlo ai colleghi olandesi e ai magistrati italiani. Non approfondisce il racconto del camorrista, non si muove neanche quando questi, rimesso in libertà, torna per un breve periodo in Italia. Non faranno nulla neanche il suo successore, Umberto Vecchione, e il numero due della Criminalpol, Carmine Esposito. Fulvio Milone