Ingrao la mia poesia nel tempo della destra di Pietro IngraoMirella Serri

il caso. Versi intimisti nel nuovo libro del leader politico: «Ma non per sconfitta» il caso. Versi intimisti nel nuovo libro del leader politico: «Ma non per sconfitta» Ingrao, la mia poesia nel tempo della destra ROMA ARA' forse una coincidenza, ma Pietro Ingrao la prima raccolta di poesie Il dubbio dei vincitori l'aveva cominciata a scrivere nel 1979 quando c'era stata una clamorosa sconfitta per il pei. E, proprio adesso, mentre la seconda Repubblica manda i suoi primi vagiti cullata dal trionfo della destra, sta per arrivare in libreria una nuova raccolta. L'alta febbre del fare, nel prestigioso Nuovo Specchio mondadoriano che laurea i poeti della penisola. No, non si sventolano bandiere, non vi sono cortei ma «enormi vessilli spenti», nei versi dell'ex presidente della Camera che il 30 marzo, dopo le ultime elezioni, è andato senza troppa allegria a festeggiare il suo 79° compleanno a Lenola, dov'è nato, in provincia di Latina. C'è la sfera intima, privata, si parla di corpi e di amori («Sei un riccio, / una betulla, / una fame d'erba / un rotolo nel controverso, una goccia / i tuoi stemmi mordicchiati / dallo sporgere nel debole / non giuri vittoria, non urli, ti lasci / cadere cercando»), di padri e figli, di ozio («Non andrei in viaggio. I meli/ quest'anno sono grevi; il profumo si sparge / nella vallata come coltri di uccelli / distese»), dell'assenza di Dio («Così forme si distillano / nell'arso, nessun Dio le sa stringere in pugno»), della morte («C'è un lento sapore della morte, sottile spargersi all'ultimo lucore»). Ma in sottofondo si avverte il brusio delle grandi metropoli segnate dall'«alta febbre del fare» e la politica è come un'eco di voci lontane. Un'eco attraversata, però, da lacerazioni, conflitti dove rosso è una parola che ricorre di frequente, e indica lotte, scontri, lo scorrere del sangue, e il linguaggio è pieno di simboli, di allusioni alle speranze disattese. E' la delusione politica che rende amara la poesia? Un prodigio riservato ai proprietari di statue E' vero che stiamo attraversando tempi nei quali si ha tutti bisogno di credere in qualcosa, e si comprende perfettamente che in questa ricerca la Madonna, come madre di Cristo e di tutti noi, sia particolarmente amata. Ciò che invece riesce un po' difficile da capire è il fatto che tutte le volte che una statua sacra piange lacrime vere o addirittura sangue, come è accaduto a Lazise in questi giorni, il privilegio di assistere al prodigio debba toccare soltanto e direi sempre alla persona che detiene la statua e mai a nessun estraneo. La domanda è: come pretendere che si sia creduti sulla parola per una cosa così grande? Mara De Marsio Spalto Borgoglio (Alessandria) Londra, speaker leale e indipendente Nel suo articolo di fondo di ieri Gustavo Zagrebelsky giustamente sottolinea l'indipendenza partitica dello speaker della Camera dei Comuni britannica citando il costituzionalista Dicey. Aggiungo che esiste anche la pratica: l'attuale speaker, Betty Boothroyd era deputato laborista prima di essere eletta da una Camera di maggioranza conservatrice. Adesso la sua lealtà va rigorosamente alla Camera al punto persino di farle rifiutare come inappropriato un invito a parlare al gruppo di simpatizzanti laboristi di Roma. A prescindere dalle preoccupazioni che sorgono alle contraddittorie dichiarazioni del neopresidente del Senato in cui dice di voler proteggere le istituzioni ma subito dopo di voler essere ben più di un notaio, è più che evidente che il sistema politico che si sta «La politica ha riempito la mia vita - dice Ingrao che nel soggiorno della sua abitazione romana preferisce, contro le sue abitudini, parlare un po' più lentamente del solito, soppesare le singole frasi - di esperienze umane straordinarie: mi ha messo in comunicazione con tanti miei simili che sono stati molto generosi con me. No, non sono un deluso; sono uno sconfitto: me lo ripetono continuamente gli avversari. Ma loro parlano di sconfitte che non lo sono. Le mie sconfitte vere le conosco io, e vanno oltre la sfera della politica. Ad ogni modo, non sto a fare lamenti: sono figlio di un secolo terribile, che tuttavia ha tentato strade impensate e anche fatto cose alte. Adesso, in questo fine di secolo, siamo di nuovo a un crocevia. E' l'era della mondializzazione, della produzione informatica dei media. Questo sconvolge e travolge Bertolt Brecht: secondo Ingrao esempio altissimo di poesia civile «Al disimpegno degli Perché la politica è LETTERi AL GIORNALE A destra, Pietro Ingrao sotto, Franco Fortini intellettuali non credo. anche trama culturale» identità storiche. Si apre una crisi della politica. Non per caso emerge, in Italia, una nuova destra». Nei suoi versi pensa di formulare un messaggio privato o molto vicino alla sua militanza politica? «La poesia non è mai un fatto privato. E' una lettura delle cose, un linguaggio con un suo alfabeto. Quindi è un fatto "generale". Per me non si è trattato di una separazione tra momento privato e momento pubblico. Ma qui tocchiamo questioni molto complicate. Sto rileggendo in questi giorni Vita adiva di Hannah Arendt, che è un libro di straordinaria riflessione sulle forme e i significati dell'agire». Un antico amore, quello per la lirica: nel '43 lei si classificò terzo ai Littoriali, sezione poesia. Oggi quali autori contemporanei preferisce? «Ho letto in questi giorni - appena uscito - Composita solvantur, di Franco Fortini: è un testo di altissima forza poetica, con un estremo rigore di linguaggio e una tensione "tragica". Prima avevo letto un libro molto bello di Cesare Viviani, uomo di una generazione che segue a quella di Fortini: un poema intitolato L'opera lasciata sola. Sono due nomi: voglio dire che c'è una poesia italiana della seconda metà del Novecento che va oltre i classici dell'ermetismo e che merita un'attenzione molto più forte. Ma oggi i libri di poesia cedono rispetto ai prodotti di consumo che trionfano nelle classifiche settimanali. E' un arretramento. Resto convinto che la poesia di questo secolo è una grande poesia: da Eliot a Celan, a Wallace Stevens. Non credo né all'obbligo dell'impegno civile né alla "torre d'avorio". Ai poeti chiedo poesia. E ci sono esempi altissimi anche di poesia civile: da padre Dante a Whitman a Brecht». Pensa che in quest'ultimo periodo gli intellettuali abbiano dimostrato scarsa passione civile? «Al disimpegno degli intellettuali non ci credo. Se politica è anche (e molto) trama culturale (persino "ideologia", dichiarata o meno), gli intellettuali (anzi il "sistema degli intellettuali", come diceva Gramsci) ci stanno dentro fino al collo: e cento volte di più oggi nell'era dei "media". Ci stanno anche quelli che si proclamano disimpegnati, e che a loro modo elaborano l'ideologia del disimpegno». Tutto il suo libro è attraversato da una ferma condanna contro la frenesia della produzione di merci. Come può essere recepita dai giovani la sua invettiva? «Non si tratta di una separazione tra privato e pubblico» «So pochissimo dei giovani, di quelli che oggi hanno 18-20 anni. Vedo però come dilaghi l'ideologia che regge il mondo come mercato, come esaltante, inesausta produzione e scambio di merci nella sua forma capitalistica. Temo però che alla fine questa febbre del fare, questa esaltazione spasmodica stia scatenando controspinte terribili, seminando abulie, vuoti. Da queste desertificazioni e inaridimenti sgorga la violenza moderna, che oggi ci fa tanta paura». Pensa che un'esperienza politica e intellettuale come la sua si possa raccontare in versi? Quali tappe vi metterebbe? «Distinguiamo fra me e il resto del mondo. Quanto a me, la mia esperienza umana sta per chiudersi. Cito ancora Fortini: Composita solvantur: si dissolva quanto è composto. Se lei invece vuole chiedermi ciò che di questa lunga vita mi è più caro, ed ha più carattere pubblico, non ho esitazioni. Rispondo: la mia partecipazione al grande moto antifascista e alla Resistenza. E' stato un tragico spartiacque di questo secolo. Ci sono voluti milioni e milioni di morti, cataste di cadaveri, apocalissi di città famose, un intero continente a ferro e fuoco per abbattere Hitler. Sono stato dentro a quella lotta». «Non si può arrossire. / Non si deve piangere. Né oscillare, / o cadere / in ginocchio. Né allentarsi nell'ombra»: in questi versi è descritta per caso qualche esperienza personale? Me li può spiegare? «Viviamo in un mondo in cui è proibita la debolezza, l'esitazione, la manifestazione della sofferenza. Dobbiamo (cioè è obbligatorio) essere efficienti. La produttività è il nostro mito e allora il dubbio, l'oscillare diventa pericoloso. E' un mondo che non mi piace». Mirella Serri

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