Costa, l'uomo del Quirinale

Costa, l'uomo del Quirinale Costa, l'uomo del Quirinale Scalfaro lo vuole come ministro dell'Interno come la sorte del capo della polizia, Vincenzo Parisi, il Fouché italiano». Eh sì, non è cosa di poco conto scegliere il nome dell'uomo che dovrà gestire il ministero de per eccellenza nel primo governo non democristiano. L'aneddotica di Piazza del Gesù ha sempre individuato nel Viminale il posto chiave di ogni governo. Secondo il manuale Cencelli quel ministero ne vale addirittura cinque di quelli «normali». Un posto di comando, un posto di potere e, soprattutto, un osservatorio privilegiato per conoscere tutti i vizi, gli intrighi, gli scheletri finiti nell'armadio della Prima Repubblica. In più, cosa di non poco conto, il nuovo ministro dovrà decidere se licenziare o no Vincenzo Parisi, un personaggio che era già un pezzo grosso della polizia ai tempi della solidarietà nazionale, che è stato vicecapo del Sisde nell'era Craxi, capo del Sisde negli anni di De Mita e capo della polizia prima nella fase del Caf e, poi, durante i governi di fuoriuscita da Tangentopoli, quelli guidati da Amato e Ciampi. E, altro fatto da non trascurare, il «nuovo ministro» dovrà far fronte a tutto questo proprio mentre si svolge il processo sui fondi neri del Sisde che vedrà sul banco degli imputati Broccoletti e soci. Si comprende, quindi, perché Scalfaro vuole al Viminale un uomo di esperienza come Costa, un personaggio che conosce da più di vent'anni e di cui si può fidare, un piemontese come lui. La «preferenza» del Quirinale è caduta sull'esponente liberale anche perché il primo veto che ha posto la Lega nella trattativa di governo è la presenza di un ex-democristiano al ministero dell'Interno. Così, visto quello che passa il convento, Scalfaro ha visto bene di scegliere un suo cavallo per tempo. Ci riuscirà? Non è detto. Berlusconi, almeno fino ad oggi, ha tenuto sull'argomento lo stesso atteggiamento che ha avuto nei confronti della candidatura di Spadolini al Senato. E' pronto ad assecondare Scalfaro, ma non fino al punto di ingaggiare per i deside¬ ri del Capo dello Stato un duello all'ultimo sangue con i suoi alleati, Bossi e Fini. Certo per lui la prospettiva migliore sarebbe quella di candidare un nome di prestigio a quel posto per evitare le proteste del Presidente o dei suoi alleati: l'idea di portare il giudice Di Pietro al Viminale è nata anche da queste considerazioni ma, purtroppo per il Cavaliere, l'interessato tentenna. In assenza del gran nome Berlusconi ha per il momento scansato l'ipotesi di dare il Viminale al leghista Roberto Maroni, un po' come ha fatto per la presidenza del Senato con Francesco Speroni. «Finora - ha spiegato una settimana fa ai suoi riuniti a Fiuggi - per il ministero dell'In-

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