KRAUS l'hidalgo antipavarotti

KRAUS m Intervista con il grande tenore spagnolo, che a 66 anni trionfa nel «Werther» all'Opera Comique di Parigi KRAUS m l'hidalgo antipavarotti PARIGI prego. Non U ESSANTASEI, sessantasette. Sono nato I J nel '27 ma non compio gli hsi. I anni fino a novembre. Però tutti me ne attribuiscono già uno di più». Considerato uno dei più grandi tenori del secolo, ritenuto il cantante dalla migliore tecnica vocale al mondo, fisico asciutto, occhi di cobalto, Alfredo Kraus, spagnolo a dispetto del cognome, si esprime in un forbitissimo italiano e si permette anche la civetteria di fare precisazioni sull'età. Del resto chi altri, a sessantasei anni, è in grado di salire sulle scene dell'Opera Comique di Parigi e trionfare nel Werther di Massenet, fra quegli stessi stucchi che hanno visto nascere l'opera cento e uno anni fa? E' stato, nei giorni scorsi, protagonista di una serie di recite di questo suo cavallo di battaglia, la sua «opera feticcio», come si dice in Francia. Per la critica e per gli ammiratori queste recite già sono entrate nella leggenda di un cantante che ha scoperto l'elisir di lunga vita artistica. Ed è appena uscita in compact la splendida Traviata che ha interpretato due anni fa a Firenze con l'orchestra del Maggio Musicale diretta da Zubin Meha, accanto al soprano neozelandese Kiri Te Kanawa. Non a caso Kraus è stato definito l'antipavarotti («Sarà per una questione di fisico», scherza) e di lui si dice che non sarebbe mai andato a cantare a Caracalla («Non mi vanno i posti dove la gente viene per partecipare al rito senza essere in grado di gustare la musica che ascolta, ma sta lì, applaude tutto, beve Coca-Cola e mangia "perros calientes", sì, voglio dire hot dogs»). Parsimonia e intelligenza, spietata disciplina e un esercizio della tecnica e del gusto senza compromessi, è stato scritto, gli hanno permesso questa longevità artistica. Lei come la spiega? «Prima di tutto c'è sotto un fatto di salute: ho sempre avuto una salute di ferro. Poi molto è dovuto a uno studio approfondito della tecnica e a una scelta di repertorio giusto che non faccia forzare la voce, creare suoni che non siano quelli veri, quelli caratteristici della propria voce e che perciò abbiano potuto danneggiare l'organo vocale». In questo modo lei oggi canta ancora interamente il repertorio che si è venuto a formare in questi lunghi anni di carriera. «Praticamente sì, faccio Traviata, faccio Rigoletto: ecco, Rigoletto per conto mio è la dimostrazione che la voce è ancora intatta, o almeno è ancora come è quasi sempre stata. Rigoletto, secondo quel- lo che la pratica ci ha sempre dimostrato, è un'opera che si canta agli inizi della carriera, e dopo pochissimi anni si abbandona perché è scritta, il ruolo del tenore ovviamente, in una zona diciamo di passaggio e acuta. E quando la voce ha perso quella facilità giovanile è quasi impossibile cantarla. Almeno come è stata scritta». Che cosa altro serve per poter continuare a cantare? «Forza, energia, ma soprattutto serve che il diaframma si mantenga elastico. Per noi è molto più facile continuare a cantare che per un ballerino continuare a ballare dopo una certa età. Certi fenomeni come Alicia Alonso, che a 73 anni è ancora in scena, sono veramente eccezionali. Ma lì conta la straordinaria forza d'animo. La voglia di fare, di vivere. Mi viene in mente un mio amico pittore delle Canarie che a 93 anni ha messo in vendita i suoi quadri. Poiché era bravo li ha venduti tutti e alla moglie che gli chiedeva "Adesso che cosa ne facciamo di questi soldi", ha risposto "Ci facciamo una casetta al mare per il futuro». Si dice spesso che la ferrea disciplina che le ha permesso di continuare a cantare sino a oggi le deriva dalla parte austrìaca della sua famiglia, cioè dal padre, e non dalla madre che come lei era delle Canarie. «Sarà una cosa che mi è rimasta nei geni. Perché io sono cresciuto alle Canarie e ho avuto una educazione spagnola, mediterranea, davvero poco tedesca». Anche lei all'inizio della carriera si dissipava professionalmente passando da un teatro all'altro, girando film musicali per esempio con Diana Dors, o interpretando sullo schermo il ruolo dell'hidalgo Gayarre. Così almeno testimoniano le cronache mondane degli Anni Sessanta. «Ho fatto due film, è vero. Era un momento in cui andava di moda girare film di quel genere. Ma correre da un teatro all'altro no, non l'ho mai fatto. Mi sono sempre preso i miei tempi giusti, rendendomi conto che bisognava fare riposare la voce. Ogni anno, già allora, facevo almeno un mese di vacanze alle Canarie». Di lei si dice che non avrebbe mai accettato di cantare a Caracalla o di fare un megaconcerto al Central Park. «Dipende: al Central Park ho cantato, con il Metropolitan, in Lucia di Lammermoor, in Traviata. In Spagna ho cantato nelle Plaza de Toros. Si tratta di verificare le condizioni artistiche, quello che bisogna cantare. Certo che se sono spettacoli pic-nic dove il pubblico va con il cestino di Coca-Cola e panini e non gliene frega niente di quel che si canta, non mi interessa». Lei ha una fama internazionale, è amatissimo dagli intenditori, ma non è così conosciuto dal megapubblico televisivo che si beve sul piccolo schermo quelle trasmissioni da Caracalla o Central Park. «Se devo essere sincero e rispondere in italiano schietto, non me ne frega niente. Io ho scelto la mia carriera artistica perché mi andava di farla solamente così. Perché credo che questa professione la si debba servire seriamente con una grande onestà artistica». Ma quando è ora di fare polemica lei non si tira indietro. Come è successo per l'apertura delle Olimpiadi di Barcellona quando ha violentemente protestato perché era stato escluso dalla serata inaugurale. «Ma sì, perché quella era una cosa che si verificava nel mio Paese dove erano chiamati a esibirsi gli artisti spagnoli e mi sembrava una ingiustizia essere lasciato da parte. Allora ho lottato per esserci anch'io e ci sono riuscito». Ci sono ancora oggi in commercio incisioni sue con la Callas, per esempio una «Traviata» a Lisbona dei primi Anni Sessanta. Questo, se serve, è una ulteriore dimostrazione che lei è stato protagonista della vita musicale degli ultimi trent'anni. Artisticamente, era più entusiasmante allora oppure oggi fare il cantante lirico? «Purtroppo nella vita bello e brutto vanno avanti insieme. Direi che oggi c'è più interesse per la lirica, però a un livello artisticamente inferiore. I giovani vanno a teatro più di prima. Ma la competenza di questo pubblico è inferiore a quella del pubblico di una volta. Allora c'era un pubblico più selezionato che capiva meglio quello che andava ad ascoltare, si rendeva conto di chi era bravo, chi era meno bravo e chi non lo era del tutto. Oggi forse la quantità è cresciuta a scapito della qualità. Non solo nel pubblico ma anche negli spettacoli. Molti vanno a teatro convinti di assistere a uno spettacolo di altissimo livello e invece non è così. Ma io ho una buona memoria e so quello che ho visto e quello che ho sentito». In che cosa consisteva questa quanta migliore? «C'era più professionismo, i cantanti studiavano più seriamente e più a lungo. Quando si presentavano in scena avevano un livello artistico e tecnica migliori». Anche i direttori d'orchestra sono cambiati? «Allora i direttori erano concertatori, che è diverso. Loro conoscevano veramente le tradizioni, si potevano permettere di dare consigli sulla tecnica del canto, "questa nota la devi prendere così, qui devi fare una mezza voce". Si lavorava giorni e giorni al pianoforte e noi finivamo con il sapere esattamente come si fa un recitativo, come si fa uu 'egato. E poi non si facevano spettacoli come si fanno adesso con certi registi dove non si capisce più quello che si vede e si sente. Allora, quando si tentava di fare una di queste "mosse", la sala protestava sonoramente, si faceva sentire, aveva un peso il suo parere». Ma non è una mania soltanto tedesca quella di dare le opere ambientate al giorno d'oggi? «Soprattutto tedesca, ma anche in Francia non si scherza. I registi di allora magari non erano famosi, ma erano conosciuti e apprezzati nel nostro ambiente ed erano quelli che in tre giorni montavano uno spettacolo e ci davano consigli preziosi. Adesso arrivano con idee stranissime e quello che vi fanno fare sul palcoscenico non ha niente a che vedere con il libretto dell'opera, cambiano tutto. Non è giusto». Allora lei è d'accordo con Alberto Arbasino quando rimpiange i tempi di Visconti e Margherita Wallman. «E come no. Io ho lavorato con la Wallman che ha fatto degli spettacoli grandiosi. Ricordo con lei una Favorita alla Scala, un Dialogo delle Carmelitane che fu un trionfo di regia. Ho fatto molti spettacoli anche con Zeffirelli che allora era il più grande regista ed era rispettoso del libretto. Adesso anche lui segue un po' le correnti attuali». Sergio Trombetta KRAUS m l'hidalgo antipavarotti «Il concerto di Caracalla? Non amo gli spettacoli pic-nic, dove il pubblico va con panini e Coca-Cola» «Zeffirelli una volta era un grande regista Adesso segue le correnti» Luciano Pavarotti. A destra Diana Dors: con lei Kraus interpretò un film musicale Alfredo Kraus: il tenore è figlio di padre austriaco e madre nativa delle Canarie. Nelle due immagini piccole, da sinistra, Maria Callas e Margherita Wallman

Luoghi citati: Barcellona, Caracalla, Firenze, Francia, Lisbona, Parigi, Spagna