Clinton molla anche in Bosnia

Clinton molla anche in Bosnia Clinton molla anche in Bosnia Critiche negli Usa al nuovo disimpegno WASHINGTON RASSEGNATA WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ieri, mentre i carri armati serbi violavano una tregua concordata solo un'ora prima e entravano a Gorazde, Bill Clinton stava dedicando la sua attenzione a un altro tipo di veicoli, vecchie Ford Mustang messe in mostra a Charlotte, North Carolina, di cui il Presidente ha ammesso di andare «pazzo». Qualunque cosa fosse successa in Bosnia, la strategia dell'amministrazione americana era già stata ridefinite: tenersi il più possibile fuori. Questo, in sostanza, era stato il risultato di una riunione svoltasi venerdì alla Casa Bianca, poco dopo l'abbattimento di un «Sea Harrier» inglese sui cieli di Gorazde: escludere, innanzitutto, il ricorso a azioni di forza decisive, lasciando il compito di una simbolica presenza a un episodico uso di «limitate azioni aeree» da parte della Nato solo qualora venissero richieste dal comando Onu in Bosnia; secondo, accettare la proposta francese di discutere su una possibile e progressiva eliminazione delle sanzioni contro la Serbia. In serata, poi, Clinton ha escluso la possibilità di nuovi bombardamenti su Gorazde: «Non sarebbe possibile in quanto un appoggio aereo ravvicinato non avrebbe 1' effetto militare sperato. Inoltre, noi cerchiamo di ottenere un accordo negoziato che possa servire come base non soltanto per salvare Gorazde ma per rimettere in moto il processo». Ancora sabato, in una telefonata al suo collega russo Andrei Kozyrev, il segretario di Stato Warren Christopher ha avvertito che la Nato, qualora richiesta, avrebbe potuto ripetere in ogni momento azioni aeree simili alle due di domenica e lunedì scorso. Poche ore dopo era arrivata la risposta di Kozyrev, che, uscendo da un incontro a Belgrado con il presidente serbo Slobodan Milosevic, ha ribadito l'opinione che la reazione Nato fosse stata «eccessiva». La Nato aveva impiegato due aerei in ciascuna delle due azioni. I quattro aerei hanno scaricato due bombe ciascuno. Delle quattro bombe tre non sono esplose e la quarta ha danneggiato un autoblindo. Si è saputo che sabato, l'inviato dell'Onu in Bosnia, Yasushi Akashi, si era deciso a chiedere di nuovo l'intervento dell'aviazione Nato, dopo avere respinto numerose altre richieste di intervento. Gli aerei sono partiti e rientrati senza scaricare una bomba, a causa - è stato spiegato - delle non buone condizioni atmosferiche. La stessa cosa si è ripetuta ieri, mentre i serbi continuavano ad andare a vedere il bluff della comunità internazionale. Mentre la comunità internazionale oscilla tra l'impegno a proteggere i bosniaci e la paura di attirarsi l'ostilità dei serbi, si fa strada un'altra verità: che in sostanza gli Usa e l'Onu hanno data Gorazde per persa da tempo. Lo stesso faceva ieri una fonte anonima dal quartier generale della Nato a Bruxelles che sottolineava come la caduta della città l'osse la conseguenza dell'inazione dell'Onu, condizionata dalle incertezze americane. L'idea che circola riservatamente è che, poiché con Gorazde i serbi avrebbero preso in Bosnia tutto quanto potrebbero prendere, a quel punto necessa¬ riamente la politica prenderà il posto delle armi: la pace arriverebbe comunque per esaurimento delle ragioni della guerra. Ma, se sarà così, non sarà certo stato per l'efficacia di un intervento internazionale che, comunque, è apparso segnato da gravi contraddizioni. Di questo l'opinione pubblica americana comincia a attribuire sempre più apertamente la responsabilità al Presidente. Un appello firmato, tra gli altri, da Zbigniew Brzezinsky e Jeanne Kirkpatrick, accusa Clinton di «neutralità di fronte a un nuovo massacro». Sul «Washington Post» di ieri Robert Kaplan ha sostenuto che «quanto accade in Bosnia influenzerà gli sviluppi politici nell'Europa dell'Est e in Russia, oltre che incoraggiare il già dilagante cinismo nell'Europa occidentale». Paolo Passarmi Il presidente Clinton e il segretario dell'Onu Ghali Sulla crisi bosniaca sembra prevalere la linea morbida