L'urlo misterioso scuote il museo

Le indagini per ritrovare il capolavoro di Mundi rubato a Oslo: storia d'uno scacco Le indagini per ritrovare il capolavoro di Mundi rubato a Oslo: storia d'uno scacco L'urlo misterioso scuote il museo Le inutili piste di veggenti, fanatici e sciacalli P OSLO OTREBBE esserci qualcosa», dice l'investigatore Gunnar Halset, scivolando dalla sedia e precipitandosi lungo il corridoio che porta alla stanza degli interrogatori, al commissariato di polizia. Sono passati quasi due mesi da quando hanno rubato L'urto di Edvard Munch - il quadro più famoso di Norvegia - dalla Galleria Nazionale. Un colpo durato appena 52 secondi, che ha gettato nell'imbarazzo l'intero Paese alia vigilia dei Giochi Olimpici invernali. L'investigatore Halset ha appena saputo che Pai Enger, l'uomo che nell'88 rubò un altro dipinto di Munch, si è presentato alla polizia perché ha qualcosa da dire. Non è però esattamente quello che il detective vorrebbe sentire. «Non sono io il ladro», esordisce infatti l'ex calciatore, che nell'88 uscì dalla Galleria Nazionale con II vampiro sotto il cappotto. «Ho sentito dire un sacco di cose in giro - confida - ma 200 mila corone...». Dalla sua bocca esce un versacelo di scontentezza per la cinquantina di milioni (di lire) che la polizia offre come ricompensa: «Dovrebbero arrivare almeno a un milione di corone...». Un'altra pista finisce nel nulla. Come dimostra l'esperienza norvegese, non è facile recuperare un capolavoro dell'arte, anche quando i ladri lasciano non poche tracce. Le ricerche dell' Urlo hanno fatto più curve e più svolte di un colpo di spazzola di Van Gogh, arenandosi però sempre in un punto morto. «Questo purtroppo non è Miami Vice», bofonchia il vicecommissario Leif Lier. Finora, la polizia ha setacciato l'intera Oslo, esaminato decine di denunce per furto d'auto, interrogato cinquanta dipendenti del Museo, in servizio o in pensione, fatto oltre cento telefonate in tutto il mondo e ipotizzato l'intervento di un medium. Seppure ben quattro detective siano impegnati sul caso, la polizia oggi non è più vicina alla soluzione di quanto non fosse il primo giorno. Ogni anno si rubano - in musei, gallerie e collezioni private - oggetti d'arte per dieci miliardi di dollari, ma neppure il dieci per cento viene recuperato. La polizia sta ancora cercando i due Rembrandt e il Vermeer spariti una notte di aprile del 1990 dal Gardner Museum di Boston: pare che i ladri si fossero travestiti da poliziotti. Lo scorso gennaio dalla Galleria Robert Gray di Chicago ò stato portato via un Picasso da cinquecentomila dollari. Dalla stessa galleria, nell'85, era stato portato via un altro Picasso, che ancora non è stato trovato. Il fatto è che vendere un quadro rubato non è difficile come si crede, neppure se si tratta di un pezzo notissimo come L'urlo, dice Michael Lape, dell'International Registry of Antiques & Fine Art di Roxbury, Connecticut. Nonostante le dimensioni del problema, soltanto poche città - tra cui Londra, Roma, New York e Los Angeles - hanno investigatori che si dedicano esclusivamente ai furti d'arte. Così la maggior parte dei casi ricade su persone come Halset, che per il resto del tempo sono alle prese con taccheggi e rapine. Lui finora si è occupato di un solo caso di furto d'arte, quello appunto del Vampiro. Particolarmente facile. Sei mesi dopo il fattaccio, il ladro si presentò alla polizia con il dipinto sotto il braccio. Confessò di averlo preso per pagare i debiti di gioco, ma la fortuna era girata e aveva deciso di consegnarsi alla polizia. L'urlo si presenta come un caso particolarmente imbarazzante. Le telecamere di sicurezza hanno filmato il furto. Ma a quanto pare esso è sfuggito all'attenzione dell'uni- co sorvegliante in servizio, che, sentendo la sirena, inspiegabilmente pensò a un falso allarme. Il vicecommissario Lier e i suoi uomini stanno ancora cercando lo Studio per un ritratto, un altro dipinto di Munch, rubato dalla Galleria Nazionale lo scorso agosto in pieno orario di apertura. Pare che i ladri l'abbiano nascosto sotto una giacca e siano usciti tranquilli dalla porta principale. Due anni fa, i ladri se ne sono andati con 7/ bambino imbronciato, la più famosa statua del parco di Oslo. E' stata ritrovata, ma solo grazie a una soffiata a un giornale locale. La polizia, comunque, non è mai riuscita a mettere le mani sui ladri. Per quest'ultimo furto, la polizia teme che la Norvegia diventi lo zimbello del mondo dell'arte. «Siamo un piccolo Paese, appena quattro milioni di abitanti. Eppure, sembra che non riusciamo a tenerci strette le nostre opere d'arte», si lamenta Lier. L'attacco alla Galleria Nazionale, secondo la ricostruzione del filmato, inizia alle 6,30 del mattino dello scorso 12 febbraio. Due persone con una scala a pioli tentano di raggiungere una delle grandi finestre dell'edificio. Il primo arriva al davanzale, ma poi la scala scivola sulla neve e lui piomba tre metri più in là. Al secondo tentativo, il ladro rompe il vetro della finestra, entra nell'edificio e dopo pochi attimi fa scivolare il quadro lungo la scala, fino al complice giù in strada. I ladri trovano anche il tempo di lasciare un messaggio: una cartolina con tre uomini che ridono, riproduzione di un quadro che molto convenientemente si intitola La bella storia. Sul retro, a matita, scarabocchiano: «Grazie mille per le pessime misure di sicurezza», insieme a un gesto osceno. L'investigatore Halset - alto, azzimato, portamento eretto da soldato - riceve la prima telefonata mezz'ora più tardi. Inizialmente, sembrava che i ladri avessero lasciato moltissime tracce. La scala di alluminio portava il nome del costruttore. Nel giro di poche ore, la polizia era riuscita a risalire a una ditta che lavorava in un edificio accanto al museo, ma questa aveva denunciato il furto della scala. Sono state trovate anche le forbici che hanno reciso i cavetti per tenere appeso il quadro, ma non avevano impronte. Quanto alla cartolina, ce n'erano altre 1600 esattamente uguali in vendita in centinaia di negozi e chioschetti di Oslo. Del caso si sono occupati anche investigatori dilettanti e gente a caccia di pubblicità. Un medium si è offerto di sospendere un pendolino su una cartina della Norvegia per localizzare il dipinto. Un uomo ha chiamato per dire che sua moglie aveva visto in sogno il dipinto, nascosto in una casa grigia su una collina. Un attivista del movimento per la vita ha indetto una conferenza stampa per informare il mondo che avebbe detto quanto sapeva sull'Urlo se una stazione televisiva avesse trasmesso un filmato sull'aborto. Messo alle strette, ha confessato che si riferiva all'urlo del feto che viene eliminato. La caccia all'auto bianca che ha lasciato il museo pochi secondi do¬ po il furto si è rivelata solo in apparenza più proficua. Gli esperti in furti d'auto l'hanno identificata come un Mazda station wagon 626. Due giorni dopo il furto, alla periferia di Oslo la polizia ne trova una che corrisponde alla descrizione: il proprietario ne aveva denunciato la scomparsa il giorno prima dell'assalto al museo. Lo scorso 16 febbraio, senza nessuna soluzione in vista, uno sconsolato Knut Berg, il direttore della Galleria Nazionale che solo una settimana prima l'aveva definita «sicura come una banca», appare in televisione supplicando i ladri di restituire il dipinto. «La Norvegia vi sarà grata», dice testualmente. Poi, lo scorso 1 marzo, Tor Erling Staff, un avvocato di grido, riceve la telefonata da un uomo che dice di sapere dove sia il dipinto e si offre come intermediario. L'uomo vuole otto milioni di corone. Staff fa un viaggio avventuroso, in parte in macchina e in parte a piedi, per incontrare il misterioso personaggio, poi passa le informazioni al direttore del museo. Cominciano le trattative. Se il museo era d'accordo a pagare un riscatto, come si poteva organizzare 10 scambio? Se il museo depositava la somma sul conto dell'avvocato Staff, la polizia avrebbe potuto congelarlo? Si poteva aprire un conto in un Paese straniero? Come poteva 11 museo essere sicuro di riottenere il quadro nel momento stesso in cui i ladri avrebbero avuto il denaro? La polizia, tenuta all'oscuro dei negoziati, va su tutte le furie: «Non vogliamo dare neppure una corona ai ladri», dice Lier. Il misterioso mediatore dà un ultimatum al museo: le dodici dell'8 marzo. Poi però si rifiuta di fornire, come gli era stato chiesto, un'istantanea del dipinto con una copia del quotidiano del giorno, per dimostrare che effettivamente era nelle sue mani. A questo punto, i funzionari del musco chiudono la trattativa. Da allora l'intermediario non si ò più fatto vivo. Judith Valente Copyright «The Wall Street Journal» e per l'Italia «La Stampa» In Norvegia record di furti di opere d'arte: le telecamere filmano i ladri, ma la polizia non riesce a recuperare neppure uno dei dipinti fi! s «ira I Qui accanto: «L'urlo» di Edvard Munch, rubato nella Galleria nazionale. A sinistra: il palazzo reale di Oslo